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Vertice

Lezione di geometria: quanto più il centro si ricorda di fare il centro, tanto più il vertice, qualunque vertice, implode su se stesso.

di Alter Ego

In fondo, più che di politica è stata una lezione di geometria. Degna di Reimann o di Lobacewsky.
Fino alla settimana passata, infatti, sapevamo abbastanza bene cosa fosse un vertice. E chi non lo sapeva, doveva soltanto andare a prendere un dizionario qualunque. «Vèrtice. Sostantivo maschile. In geometria, il punto d?incontro dei lati di un angolo, dei due spigoli di un angoloide, il punto più alto di una cosa». Vertice dunque come sommità, apice, cima. In senso figurato, invece, nel dizionario vertice risultava il livello più alto di un?organizzazione. Insomma la dirigenza (sempre e comunque in opposizione alla ?base? e al ?centro?). Concretamente, invece, vertice era l?insieme dei dirigenti. Oppure, vertice era anche l?incontro stesso.
È chiaro a tutti, così, che le cose sono cambiate, almeno per quanto riguarda il vertice della maggioranza di governo. Fallito il vertice, quindi, per la prima volta negli ultimi tre anni, mercoledì 14 luglio, il capo del governo si è presentato in parlamento con la maggioranza divisa, ovvero senza un vertice del vertice del Paese.
La morale della storiella del vertice politico è così di una chiarezza cristallina, anzi, appunto, geometrica. In Italia l?idea di centro vale più non solo dei voti reali del centro ma anche della realtà del vertice. Nel qual caso non solo il vertice (qualunque vertice, persino quello verticistico della verticizzata Casa delle Libertà) non può farcela.
Una lezione verticale da non dimenticare.

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