Non profit

Vi do la ricetta dell’azienda felice

Da Christian Boiron, a capo del big dell'omeopatia, la "medicina" per lavorare (e vivere) senza stress

di Redazione

Di questi tempi non è facile sentire qualcuno, in particolare se questo qualcuno è un imprenditore che tiene le fila di un’azienda che opera in 85 Paesi del mondo, che parla con fiducia della possibilità di essere felici. È per questo che ci si avvicina con grande curiosità a Christian Boiron, 64 anni, da trenta alla guida della multinazionale francese dell’omeopatia. Imprenditore, filosofo, artista, scrittore (il suo ultimo libro è Siamo tutti fatti per essere felici). L’abbiamo incontrato in occasione di Torino Spiritualità, che quest’anno titola con un poco felice In-Fine: vivere sul limite dei tempi, e che lo vede tra i relatori.
Che cosa intende con la parola felicità?
Anche se tutti crediamo di saperlo, non c’è niente di più generico della parola “felicità”. La definizione più coerente è quella corrispondente allo stato radioso di chi riesce a esprimere il proprio essere profondo, a dare un senso alla propria vita, a sentirsi ogni giorno più libero. Certo, tutti i giorni ci si presentano di fronte degli ostacoli alla felicità. Sono quelle convinzioni, quei condizionamenti, solitamente risalenti all’infanzia o scritti nel nostro codice genetico, che possono rivelarsi molto potenti, specie se non se ne ha coscienza. È possibile smascherarli grazie a un meccanismo che individua nelle emozioni la spia di un conflitto fra intelligenza e condizionamento, che impedisce di esprimerci in autenticità.
Lei sostiene che in realtà la felicità sia la normalità; come si fa a essere felici?
Attraverso un percorso concreto, semplice ed efficace che io chiamo “la ginnastica della felicità”. Veri e propri esercizi. Per esempio: scrivere il nostro “libro di filosofia” dove appuntare i pensieri più profondi; imparare a conoscerci e a gestire le emozioni; ritagliarci dei momenti di silenzio per meditare; “masticare” la vita cercando di vivere appieno ogni istante; liberarci dal senso di colpa; sdrammatizzare, perdonare e perdonarci; esprimere liberamente il nostro senso artistico; coltivare l’istinto alimentare attraverso una dieta adeguata. Praticati quotidianamente, già in sei mesi ci riappropriamo della nostra vita, cambiamo prospettiva e impariamo a esprimere il nostro sé.
Lei scrive di aver sperimentato la sua idea di felicità nella vita d’azienda. Come?
Quando a 21 anni sono entrato nell’azienda di famiglia, fondata da mio padre e da suo fratello nel 1932, ho intuito che quel piccolo cosmo composto allora di “sole” 200 persone avrebbe potuto diventare il laboratorio dove sperimentare la mia idea di felicità. All’epoca, mio padre non esprimeva ai dipendenti il tipo di rispetto che io volevo portare e manifestare, temeva fosse scambiata per debolezza. Io invece non avevo questo condizionamento: ho comunicato a tutti che volevo essere l’uomo più disponibile dentro l’azienda, come ritengo dovrebbe fare un capo. Per far cambiare un po’ l’ambiente ho dovuto, prima di tutto, lavorare molto su di me. Poi ho lavorato sul progetto dell’azienda, perché dire ai lavoratori che l’azienda fabbrica medicinali omeopatici non bastava. Sono sceso nei reparti e ho spiegato a tutti il nostro progetto.
Quali sono i valori che trasformano un’azienda in un luogo con persone felici?
La creatività, innanzitutto. Poi, considerazione, trasparenza, autenticità, chiarezza delle regole del gioco, fiducia. Rendere i dipendenti felici non è una questione di filantropia, ma ha una ragione molto concreta: trarre il massimo beneficio dalle potenzialità di ognuno, condividendo con loro il progetto dell’azienda. Il progetto rappresenta il fil rouge dell’impresa e unisce tutti coloro che vi operano, dipendenti, azionisti, fornitori e clienti. Purtroppo, la maggior parte delle aziende non sono concentrate sul progetto, ma sugli obiettivi, sul fatturato, sulla redditività. Le persone che lavorano in aziende basate sulla logica degli obiettivi finiscono per diventare vittime dello stress e della frustrazione; si allontanano dalla felicità.
Non le pare una visione un po’ troppo idealistica, soprattutto di questi tempi?
Non c’è progresso dell’umanità senza utopia e passione per le idee. Purtroppo, negli ultimi tempi, il significato di questi concetti ha subìto un declino. Se solo politici, filosofi, scienziati, imprenditori avessero ancora voglia di impegnarsi in progetti e avessero ancora voglia di cimentarsi a sognare, di quel sogno che porta a ribellarci a quanto ci risulta inaccettabile spingendo l’umanità a cercare soluzioni migliori…

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