Non poteva farsi più incandescente il clima in cui il Papa si accinge a compiere il pellegrinaggio in Terrasanta (8-15 maggio). Tra ebrei e palestinesi, per motivi opposti, crescono malumori o diffidenze verso il viaggio di Benedetto XVI. Con gli ebrei tutto sembrava appianato, dopo i ripetuti chiarimenti sull’affare Williamson. Anzi, proprio da parte israeliana si era insistito per la realizzazione del viaggio, che sembrava destinato a nuovi rinvii dopo la guerra di Gaza. Ma la partecipazione del Vaticano alla Conferenza di Ginevra contro il razzismo e le parole di sostegno del Papa all’iniziativa (boicottata da Israele) hanno riacceso il sospetto. «Decisione incauta», ha tuonato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.
Nemmeno fra i cristiani di Terrasanta, in maggioranza cristiani palestinesi, si può dire che la gioia sia l’unico sentimento davanti alla visita del Papa. Temono che Ratzinger debba pagare un prezzo troppo alto per fare pace con i “fratelli maggiori”. «Sembra un viaggio a Canossa», è stato l’acido commento dell’arcivescovo greco ortodosso Teodosio, di Sebaste, in Galilea. Ma anche il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, non ha nascosto i dubbi del suo gregge: «La comunità cristiana locale, palestinese, ci ha manifestato i suoi interrogativi e i suoi timori».
Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme
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