Memoria

Lia Pipitone, la donna che liberò se stessa e il figlio dalla mafia

Non una mattonella commemorativa, ma il racconto di una storia individuale e collettiva. Quella di Lia Pipitone, uccisa 42 anni fa all’Arenella, quartiere ad alta densità mafiosa di Palermo, per essersi ribellata al patriarcato mafioso. Oggi la sua posa nel luogo in cui la sua vita è stata brutalmente interrotta, alla presenza del figlio Alessio Carbone, delle istituzioni cittadine e di Libera che ha inserito questa iniziativa nella campagna nazionale di Libera “Fame di verità e giustizia”, che in questi giorni sta attraversando la Sicilia

di Gilda Sciortino

Non uno slogan dietro al quale si cela solo una richiesta di risposte a specifiche urgenze sociali, ma una piattaforma sulla quale, come una tavola imbandita, disporre una serie di portate difficili da digerire. Un menu, offerto a chi crede nel valore della memoria da Libera Palermo che, a 30 anni dalla sua nascita, ha dato il via da Palermo, con un flash mob davanti alla sua sede, un viaggio che attraverserà tutta l’Italia per rimettere al centro della vita pubblica l’urgenza nel contrasto a mafiosi e corrotti partendo dai punti dell’agenda civile. Una campagna “Fame di verità e giustizia”, che, dopo il capoluogo siciliano, toccherà le città di Messina, Catania, Avola e Modica coinvolgendo il territorio attraverso flash mob, speaker corner, incontri sui temi della campagna, dall’emergenza educativa alla verità e giustizia per le vittime innocenti delle mafie, dai temi della pace alle grandi opere.

Ci batteremo sempre per tutte quelle madri e donne che, come Lia Pipitone, hanno diritto a essere libere di scegliere una vita senza violenza e oppressione per sé e i propri figli

Chiara Triolo, Libera Palermo

Una tavola dalla quale assaggiare i bocconi più prelibati, per esempio come nel caso di “Liberi di scegliere”, il progetto che ha come padre il giudice Roberto di Bella, che sta dando l’occasione di una nuova vita a coloro che desiderano uscire da contesti familiari mafiosi, offrendo loro protezione, sostegno e nuove opportunità. In modo particolare le donne con i propri figli.

Un  menu che, purtroppo, offre anche portate non digeribili come  la ”Legge bavaglio”, i cui ingredienti sono il divieto di informare, il corto circuito dell’informazione, le querele temerarie, oppure il “sovraffollamento delle carceri” con celle sovraffollate, la carenza di personale, la scarsità di attività educative e di reintegrazione. Tra i dessert dimenticati, ma essenziali, la “Verità per le vittime innocenti delle mafie ingredienti”: 80% dei familiari non conosce verità.

Non pochi i reati spia che figurano nell’indagine di Libera

Usura, estorsione e riciclaggio denaro, delitti informatici e truffe e frodi informatiche: son o solo alcuni dei reati che indicani una possibile infiltrazione delle mafie nel tessuto economico. Nel 2024 il numero in Italia è di 322.071, pari a 822 reati al giorno, 34 ogni ora. Il 50,4% dei reati sono concentrati al Nord, il 28,1% al Sud comprese le isole e il 21,4 % al centro.

Nel 2024 il dato complessivo dei reati spia in Sicilia è pari a 27.110: seconda regione del Sud. In particolare, sono 995 le estorsioni, 8 i reati di usura, 160 di riciclaggio e impiego di denaro, il picco è sulle truffe e le frodi informatiche (19.441) e sui delitti informatici (2055).

Se avessi davanti mia madre, le chiederei solamente di abbracciarmi. Il resto non ha importanza perchè lei vive in me.

Alessio Cordaro, figlio di Lia Pipitone

Fame di verità e giustizia dicevamo, per rispondere alla quale servono risposte concrete. Come quella che oggi ha visto  la città riunirsi davanti la mattonella che Libera ha posto davanti la saracinesca, abbassata perché non c’è alcuna attività in vita, dove 42 anni fa Lia Pipitone venne uccisa perché si ribellò al patriarcato mafioso.  

Meglio una figlia morta che separata

Figlia di un uomo per nulla qualunque, Antonino Pipitone, boss del quartiere popolare dell’Acquasanta e uomo di Totò Riina, appena comincia a capire chi fosse veramente suo padre inizia a ribellarsi, già a partire dalla scelta della scuola superiore da frequentare, il liceo artistico, per coltivare la sua passione per il bello. Vince questa battaglia, ma il padre proverà a fermarla a ogni costo. Proverà a rinchiuderla in casa, ma Lia riuscirà a fuggire con il fidanzatino Gero, conosciuto a scuola, con il quale si sposerà e dalla cui unione nascerà Alessio. Come tante storie, però, anche la loro finirà, provocando l’ira del padre. Perché le regole di Cosa nostra non prevedono altro che la sottomissione delle donne. L’onore della famiglia è leso e, quando nel quartiere circola anche la voce di una sua presunta relazione con Simone Di Trapani, a tutti gli effetti un amico, la sentenza è inevitabile. Il 23 settembre del 1983 due uomini entrano nella sanitaria dove Lia si recava spesso e le sparano, uccidendola sul colpo. Omicidio che passa quindi, come rapina. Nonostante sia sempre stata chiara la vicenda che  la riguarda, Lia Pipitone è stata riconosciuta vittima di mafia solo dai giudici che hanno condannato a trent’anni i boss Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo. Il riconoscimento, però, non è giunto dal ministero dell’Interno, lasciando aperta un’ulteriore fertita.

La storia di tante donne che sono morte in nome di un sogno di libertà

«Ho dei ricordi di mia madre», racconta il figlio, Alessio Cordaro, «ma mi sono chiesto spesso se fossero reali o ricostruitio dalla mia memoria. Quando la uccisero io avevo 4 anni, quindi possibile, anche se sono convinto che alcuni si riferiscono a momenti passati con lei. Ricordo la sua passione per il mare, la natura. Molti mi dicono che sono cocciuto e determinato come lei e di questo vado orgoglioso. Il mio amare la vita, sfidarla mettendomi alla prova negli sport più estremi, in un certo senso mi avvicina a lei».

Attimi di vita lontani per Alessio, che ha ben in mente quando la mamma non tornò più a casa e chiedeva come mai, dove fosse

«Mi dissero che aveva avuto un incidente in bicicletta», prosegue il suo racconto il figlio di Lia Pipitone. «Poi crescendo, da adolescente, qualcosa comiciava a non tornarmi, così ho cominciato a cercare, chiedere, cercare di sapere. Con l’età per poter scegliere, ho detto che non ne volevo sapere più di questa famiglia, ma prima sono andato da mio nonno per chiedergli di mia madre, cosa fosse accaduto, che ruolo avesse avuto. Quando mi ha detto che non ne sapeva niente, ho capito che dovevo prendere le distanze da tutto e tutti».

Uno spirito ribelle, Lia Pipitone, che oggi rivive nella mattonella realizzata dall’artista Sofia Melluso che ha riunito l’amore per il mare, l’arte e la lotta contro la mafia. Un’opera che si spera non venga danneggiata, come accaduto nel passato per le targhe che Libera ha realizzato e che qualcuno ha creduto che strappandole avrebbe divelto anche la sua memoria. Dopo 42 anni dal suo omicidio, la mattonella ricorderà la figlia ribelle del boss dell’Acquasanta.

«Chiederemo il riconoscimento e un maggiore supporto», afferma Clara Triolo, Libera Palermo, «per tutte quelle donne e madri che, come Lia, hanno diritto a essere libere di scegliere una vita senza violenza e oppressione per sé e i propri figli. Ribadiremo la necessità del diritto alla verità per le tante storie ancora in attesa. La sua è una storia che già da più di un anno abbiamo scelto, insieme a tanti e tante, di raccontare proprio a partire dall’Arenella, il suo quartiere, nel luogo della sua uccisione, dove finalmente imprimeremo un segno di memoria e impegno».

Alessio Cordaro (foto di Gilda Sciortino)

Una donna, una madre che ha sacrificato la sua vita per liberare suo figlio

«La memoria è una delle risorse fondamentali nella lotta contro la criminalità organizzata, nella sensibilizzazione delle nuove generazioni affinché in queste possa crescere una forte cultura della legalità e dare riconoscimento e valore alle tante e troppe vittime di mafia. Vittime, come mia madre», conclude Cordaro, «che ci hanno lasciato in eredità la speranza di una società più giusta. Fin quando avrò voce continuerò a portare avanti la battaglia per il riconoscimento della sua memoria, affinché nessun uomo, ma soprattutto nessuna donna, sia mai più privato della propria libertà di scelta e di azione. Nella storia di mamma è racchiusa la voglia di libertà di ogni ragazza e di ogni ragazza palermitana, di ogni famiglia normale che non sceglie nient’altro che poter vivere la propria vita in libertà. Se oggi volessi descrivere mamma, direi che è stata ed è una figura simbolo che si è sacrificata, una persona che non è potuta scendere a compromessi per la sua idea di libertà, per la sua libertà e per quella di suo figlio».

L’incanto dei bambini quando ascoltano la sua storia

«Quando vado nella scuole e racconto la storia di mia madre credo che i ragazzi si annoino, anche perchè in molti casi non proferiscono parola. Torno a casa e vengo sommerso da messaggi pieni di amore. Quando, invece, riescono a interagire con me dopo l’incontro, è capitato più volte che mi abbiano chiesto degli abbracci. Ecco, se avessi mia madre davanti a me, credo che non le chiederei null’altro che un abbraccio. Tanto forte e prolungato come i 42 anni che dividono la fite dfelle nostre due vite».

La foto di copertina è stata fornita dall’ufficio stampa di Libera Palermo

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