Welfare

Vuoi comandare? Primo, impara a convivere

L'esperienza di un incubatore americano

di Redazione

Zeenat Rahman è responsabile dell’Interfaith Youth Core, una ong impegnata nella formazione dei futuri leader. Dal suo osservatorio privilegiato consiglia due cose:
«Chi vuole essere “capo”, anche nelle comunità musulmane, deve aprirsi al diverso. E deve raccontarsi»di Lubna Ammoune
Zeenat Rahman è la testa pensante dell’Interfaith Youth Core, una ong con sede a Chicago impegnata nella formazione di futuri leader in grado di valorizzare la convivenza in una società sempre più multireligiosa. Il suo è un punto di vista molto aperto e molto innovativo. Per parlare di leader, non c’è cosa migliore che iniziare da lei e dalla sua esperienza.

Yalla: Nel mondo musulmano ci sono troppi leader?
Zeenat Rahman: Penso che sia nei Paesi a maggioranza musulmana che in quelli occidentali i leader non possano ignorare i loro giovani. A questo punto della storia umana si assiste a un’interazione sorprendente fra comunità religiose diverse e di tutto il mondo. Ultimamente sono i giovani che hanno adottato forme nuove di comunicazione globale da cui dipenderanno gli esiti di questa interazione. Ci sono anche maggioranze giovanili in molte parti del mondo. L’età media è di 17 anni in Afghanistan e nella Striscia di Gaza, 20 in Iraq e Pakistan, 21,5 in Siria e Arabia Saudita. Le comunità musulmane dell’Europa occidentale sono una chiave da non sottovalutare. Nel 2003 erano 15 milioni i musulmani europei (il triplo degli americani musulmani attualmente), anno in cui la percentuale di nascita dei musulmani era inoltre tripla rispetto a quella dei non musulmani. Entro il 2015 la popolazione musulmana europea sarà raddoppiata mentre la popolazione europea non musulmana avrà uno scarto del 3,5%. L’esprimere e l’avvicinarsi alle identità religiose da parte dei giovani può avere influenza ben oltre la loro portata individuale. Dobbiamo far emergere i loro sentimenti rispetto alla fede e all’identità per promuovere uguale dignità e una reciproca lealtà fra le varie comunità. Questo diventa un imperativo e ci deve essere una politica sociale che si deve impegnare. I giovani devono crescere, acquisendo la capacità di costruire ponti tra le comunità.

Yalla:Come sono organizzati i vostri corsi di formazione all’Interfaith Youth Core?
Rahman: Formiamo la capacità di leadership dei giovani che potranno diventare leader interconfessionali nelle loro comunità. Ci occupiamo di corsi in senso globale. I nostri programmi si basano su tre punti: l’affermazione di valori condivisi, racconto di storie e azioni sociali. Abbiamo constatato che spesso in contesti religiosi e interconfessionali non c’era lo spazio in cui i giovani potessero essere rappresentanti e parlare delle loro esperienze e mostrare i loro punti di vista. Incoraggiamo i giovani a capire cosa significa per loro la fede. Parlando della loro esperienza è chiaro che non sono rappresentati o rappresentanti della loro fede nella sua totalità, ma solo della loro esperienza religiosa. Questo ha anche portato a una discussione per trovare una collaborazione tra religiosi e non religiosi per delineare un disegno comune. Questo può includere la visita insieme a un responsabile di un centro o dare da mangiare ai senzatetto.

Yalla: Quanto è specifico il vostro training in relazione alla realtà di pluralismo culturale e religioso esistente in America?
Rahman: Gli Stati Uniti sono il Paese più religioso in Occidente. La storia statunitense è quella di persone di differenti etnie, religioni, estrazioni sociali che sono venute qui per realizzare i loro sogni e creare una vita comune coi loro vicini. Detto questo, credo che la nostra filosofia possa assolutamente essere applicata all’Italia. La nostra filosofia funziona perché crediamo nel pluralismo religioso che significa rispetto per l’identità religiosa, costruendo relazioni attraverso le linee di differenza e partecipando cooperativamente a progetti che promuovono il bene comune. Penso che questo sia assolutamente applicabile alla società italiana.

Yalla: Cosa rende un giovane leader coinvolto nel dialogo interreligioso un comunicatore credibile?
Rahman: Penso che la chiave sia la capacità di parlare partendo dalla propria esperienza e di focalizzarsi sui punti comuni più che sulle differenze. I leader che prepariamo non devono pretendere di parlare a nome della loro fede nella sua totalità. Per esempio, io in quanto musulmana non rappresento certamente l’Islam, eppure una parte di questa religione è presente in me, attraverso le mie esperienze. Ci rendiamo conto che le religioni sono diverse tra loro. Per questi giovani è importante saper articolare la propria fede e la propria identità in modo che riesca a connettere altri giovani. Il nostro lavoro consiste nello spiegare loro le esperienze di collaborazione interconfessionale cercando di trasmettere una consapevolezza per capire l’espressione religiosa in questo modo.

Yalla: Quale consiglio si sente di dare a un giovane che sente la vocazione ad essere leader?
Rahman: Che racconti la propria storia! Penso che solo attraverso la narrazione le generalizzazioni e le categorie potranno essere sfidate e le persone umanizzate. Le uniche storie che sentiamo dai media e che coinvolgono persone di fedi diverse sono di conflitto. La nostra responsabilità diventa quella di usare i media come strumenti per raccontare storie positive, di collaborazione e di sinergia. Il primo passo per avvicinarsi all’altro è quello di capire la sua esperienza. Proprio per questo ammiro molto Yalla Italia, perché dà la voce a storie di giovani italiani musulmani e sono loro a raccontarsi in prima persona. Questo è un punto chiave.

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