Non profit
Welfare triplo, la persona al centro
Forum Il ministro Maurizio Sacconi e alcuni leader del non profit nella redazione di Vita
di Redazione
Riccardo Bonacina: Il senso del lavoro di questa riunione di Comitato editoriale è cercare percorsi condivisi utili a ridefinire un modello sociale di welfare, come invitava a fare il Libro verde del Welfare pubblicato lo scorso 25 luglio. Abbiamo chiesto al ministro di essere qui oggi proprio perché potesse ascoltare dal vivo la ricchezza di proposte del volontariato e del terzo settore.
Maurizio Sacconi: Il metodo è inusuale, in Italia non si è mai usata la concertazione pubblica per il Libro verde anche se lo fa spesso la Commissione europea e lo fanno Paesi dell’Unione. Gli inglesi sono usciti nel nostro stesso periodo con un’analoga consultazione sul Libro verde. Noi per la prima volta usiamo un mezzo di questo tipo nella convinzione che il Libro bianco che produrremo a valle di questa consultazione, almeno nelle intenzioni dovrebbe essere un libro largamente condiviso: non il programma di governo, non il modo con il quale si dovrebbe transitare dall’attuale modello al modello auspicato, ma soltanto il disegno dei valori e della visione del modello da raggiungere, in modo che possa diventare il quadro entro cui poi si sviluppa anche la dialettica tra maggioranza e opposizione, Stato e Regioni, istituzioni e soggetti sociali, ecc. Proprio nella misura in cui sarà condiviso consentirà a ciascuno di mettere in mora l’altro sulla coerenza rispetto all’ideale punto d’arrivo. Non so se ce la faremo, ma l’intenzione è questa, perciò vi ringrazio di essere presenti così numerosi e ringrazio Vita della convocazione di questo momento di lavoro.
Johnny Dotti: Gli italiani spendono almeno 17 miliardi di euro all’anno in sanità leggera, ossia per tutti quei servizi usciti dal pubblico ed entrati in un mercato di domanda-offerta a contrattazione individuale. L’idea di Welfare Italia è quella di riposizionare il non profit in questo spazio, sottraendolo al ruolo marginale cui è stato confinato per legarlo direttamente alla domanda pagante e, quindi, alle fasce di reddito medio (da 800 a 3mila euro al mese), che rappresentano il 65-67% delle famiglie italiane. La domanda è: il governo è disponibile a considerare il non profit come un attore che si occupa del benessere, cioè dei bisogni più comuni, dalla casa alla salute, al tempo libero, e non più soltanto come estrema risorsa in situazioni di disagio grave? Il governo è disposto a fare un ragionamento insieme al terzo settore in merito ad alcuni campi come l’housing, la sanità o la ristorazione, aiutandolo ad assumersi responsabilità economiche? È disposto, in sintesi, a considerarlo soggetto economico vero e non residuale? Si possono vendere case a meno di mille euro al metro quadrato? Sì, così come si può andare dal dentista o dal ginecologo spendendo il 40% in meno per un servizio di qualità. Welfare Italia conta di fare un’operazione che nei primi tre anni fatturi 140-150 milioni di euro, con un risparmio netto dei cittadini di 60 milioni di euro, circa 1.100 euro all’anno per famiglia. Credo che si possa aiutare la classe media, trovando allocazioni e modalità di redistribuzione del valore diverse partendo da esperienze già esistenti. La politica può giocare un ruolo importante nel favorire la nascita di soggettività imprenditoriali nuove.
Sacconi: Questo ragionamento nel Libro verde è segnalato là dove ci si preoccupa della crescente spesa privata della famiglia out of pocket, cioè non prevista, volendo quindi organizzare la persona o la famiglia attraverso strumenti collettivi: le mutue, i fondi contrattuali, ecc. Questi strumenti sono per noi importanti interlocutori. Perché non è solo la famiglia singola, ma è la persona o la famiglia attraverso gli strumenti collettivi di intermediazione con chi offre servizi o prestazioni. Purtroppo ci sono resistenze a questa riorganizzazione della domanda che stimola poi un’offerta nell’erogazione dei servizi di cura alla persona. Questi, oggi, non sono un mercato, ma un suk dove domina l’irregolarità. Capisco bene l’osservazione: noi dobbiamo sempre guardare agli ultimi degli ultimi che rischiano di non essere mai rappresentati ai tavoli usuali del confronto, perché minoranza, ma poi bisogna guardare anche ai grandi numeri, che rischiano per assenza di risposte di scivolare in queste stesse fasce marginali.
Paola Menetti: C’è un dato segnalato anche nel Libro verde che ritengo importante: oggi abbiamo un welfare in forte difficoltà. Il welfare è una infrastruttura essenziale per il Paese e quindi investire sul welfare significa investire sul Paese. E perché funzioni c’è bisogno di tutti. Non esiste una risposta univoca, occorre una pluralità di risposte, bisogna lavorare insieme. Vorrei sottolineare tre punti per noi fondamentali: sussidiarietà, lavoro e dimensione comunitaria. È grazie a questi principi se oggi la cooperazione sociale mette al lavoro 30mila persone socialmente svantaggiate che così hanno un lavoro regolare.
Sacconi: Come giudica l’articolo 14 della legge Biagi?
Menetti: Un’opportunità importante se fosse applicabile. Oggi applicarlo è un settimo grado verticale. Può consentire di strutturare rapporti fra imprese, pubbliche amministrazioni e imprese sociali positivo per tutti. Inoltre è necessaria una rivisitazione della legge 381 rispetto alle definizione di “svantaggio”. Oggi c’è una discrasia tra quello che dice l’Europa in materia di fasce deboli sul mercato del lavoro e quel che dice la 381. Queste categorie vanno allargate per consentire l’ingresso a fasce che fanno sempre più fatica a entrare o a rientrare nel mondo del lavoro. Un’altra questione: abbiamo un contratto di lavoro che è un grande risultato della nostra esperienza. Ora questo contratto va onorato: c’è una responsabilità specifica delle amministrazioni, non è sostenibile che le amministrazioni pubbliche non adeguino i prezzi dei servizi in modo da consentire l’applicazione del contratto. Non è poi pensabile che un’impresa possa lavorare con tempi di pagamenti che per la pubblica amministrazione vanno da otto mesi a due anni. Tre sono campi in cui l’impresa sociale può sviluppare nuovo welfare: il primo è quello dei servizi all’infanzia. Il secondo è la non autosufficienza. Dobbiamo pensare a interventi centrati sul territorio, a partire da interventi di domiciliarità. L’ultima questione è quella del disagio sociale, compresi quegli ambiti che nel Libro verde non sono stati affrontati, come quelli dell’immigrazione e delle dipendenze.
Fausto Casini: L’organizzazione del volontariato ha un valore non solo per l’attività che svolge, ma come voce dei territori. Perciò deve essere ascoltata di più. Oggi c’è un sistema di rapporti tra volontariato e pubbliche amnministrazioni che è lasciato al caso. Ci si scontra con la mancanza dei livelli essenziali, così quando si interloquisce con l’amministrazione pubblica non si capisce quale sia il livello essenziale che deve essere garantito. A seconda di dove si è in Italia i diritti sono esigibili in modo diverso.
Sacconi: Non è la legge che li garantisce, è la determinante della buona o della cattiva gestione, e dire quale sia una buona o cattiva gestione è battaglia anche vostra.
Casini: D’accordo, ma bisognerebbe avere elementi comuni sulla valutazione della buona e della cattiva gestione.
Sacconi: Bisognerebbe poter chiamare cattiva gestione quella che è tale e viceversa. In Lombardia, Veneto ed Emilia, per esempio, c’è una buona gestione. I servizi socio-sanitari essenziali sono integrati. Sotto la Toscana è un altro mondo. Questo è vitale anche per il volontariato, non è un caso che in alcune Regioni ci sia più volontariato e in altre meno. Non è un problema “etnico”, è un problema di modelli organizzativi. In alcune Regioni il volontariato non è semplicemente previsto: nei fatti, non nelle intenzioni. Non deve essere solo una battaglia del governo, ma anche un contenzioso sociale quello di rovesciare questi modelli del Centro-Sud in cui tutta la spesa finisce nelle strutture sanitarie. Ci sono ospedali da 20 posti letto con primario. Quando la spesa va tutta lì, è ovvio che non ci siano risorse per altro. È tutta ospedalità, inappropriata, pericolosa, incapace di affrontare i bisogni acuti. Questa è una battaglia che il volontariato deve sentire sua. L’orientamento della spesa: per una buona azienda sanitaria il 50% deve esssere orientato sul territorio e il 50% sull’ospedalità.
Casini: D’accordo che il volontariato abbia la sua responsabilità?
Sacconi: I Lea, ad esempio, sono utili come benchmark, ma poi bisogna andarseli a conquistare.
Casini: Però è utile avere elementi di valutazione comune nel momento in cui ogni Regione tende ad andare per conto suo. È necessario avere una supervisione e dei riferimenti a livello nazionale. Occorrono poi processi di riforma: la 266 è deficitaria perché vecchia e perché non riconosce le reti nazionali. Alcuni suoi punti andrebbero poi rilanciati. Poi preoccupano le definizioni di leggi scritte “a prescindere” dal fatto che il volontariato esista, vedi il Testo unico sulla sicurezza che tratta i volontari come dipendenti.
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