Medio Oriente

Yona Rosemann, obiettrice di coscienza: «L’esercito israeliano è un nemico a cui dobbiamo resistere»

In una lunga lettera Yona Rosemann spiega le ragioni del suo rifiuto: «Ogni giorno che passa, la lista di anziani schiacciati sotto le macerie, di uomini e donne a cui è Stato sparato mentre aspettavano del cibo, di prigionieri che marciscono nei campi di tortura e di bambini che muoiono di fame o per il freddo e il caldo estremi si allunga all'infinito. Non ci sono parole per descrivere la portata delle atrocità a Gaza. L'idf, l'esercito dello Stato in cui sono nata, attraverso tutti i suoi soldati, dal soldato semplice al generale, è il principale responsabile di queste atrocità. Il progetto di punta dello Stato di Israele è quello di ripulire questa terra dai suoi abitanti palestinesi. Uno Stato con queste fondamenta è illegittimo»

di Anna Spena

Domenica 17 agosto la diciannovenne Yona Rosemann è stata condannata a 30 giorni di prigione militare per essersi rifiutata di arruolarsi nell’esercito israeliano, l’avevamo intervistata in questo articolo “Yona Roseman, obiettrice di coscienza israeliana: «Non mi arruolo in un esercito che sta commettendo un genocidio»”. In Israele la leva militare è obbligatoria. La polizia israeliana ha disperso brutalmente la manifestazione di sostegno a Yona, organizzata dalla Rete Mesarvot di fronte al campo di arruolamento di Haifa, arrestando anche 10 attivisti, che sono stati poi rilasciati. Mesarvot è un’associazione israeliana che offre supporto e sostegno legale ai giovani che scelgono di non combattere. In questa lettera aperta Yona Rosemann spiega punto per punto le motivazioni del suo rifiuto.

«Lo Stato di Israele», scrive, «sta commettendo un genocidio. Ogni giorno che passa, la lista di anziani schiacciati sotto le macerie, di uomini e donne a cui è Stato sparato mentre aspettavano del cibo, di prigionieri che marciscono nei campi di tortura e di bambini che muoiono di fame o per il freddo e il caldo estremi si allunga all’infinito. Non ci sono parole per descrivere la portata delle atrocità a Gaza. Con il passare dei mesi, mentre i corpi dei civili assassinati continuavano ad accumularsi in foto e video, e il compito di ricordare i loro nomi si faceva sempre più impossibile, mi sono ritrovata a perdere ogni capacità linguistica per esprimere il mio orrore per ciò che stava accadendo intorno a me.

Nessuna azione, protesta o articolo allevia il dolore causato dal genocidio a Gaza. Nessuna corda che possa lanciare è abbastanza lunga da arrampicarmi fuori dall’abisso di sofferenza vissuto dai suoi residenti che sono ancora vivi, per ora. Senza un rifugio, senza sapere quando potranno mangiare di nuovo, e quando in qualsiasi momento possono essere rapiti a insaputa della loro famiglia, o morire per colpi di arma da fuoco o bombardamenti.

L’idf, l’esercito dello Stato in cui sono nata, attraverso tutti i suoi soldati, dal soldato semplice al generale, è il principale responsabile di queste atrocità. Ogni soldato, dal pilota, al fante, al tecnico, all’istruttore, al poliziotto, al propagandista, al burocrate, è responsabile di questo crimine. Questa conclusione è difficile da sopportare, un’accusa assoluta contro membri della famiglia, amici d’infanzia, colleghi e la maggior parte delle persone che mi passano accanto per strada; ma la decisione che ne deriva è molto semplice. Riconoscendo questa morbosa realtà, sono giunta alla conclusione che l’unica scelta giusta di fronte a me è rifiutare.

Non è sufficiente “toglierci dall’equazione” – come cittadini in un paese che sta commettendo un genocidio, non abbiamo questa capacità, per quanto potremmo desiderarla. Come soldati, come dipendenti pubblici, come contribuenti e come cittadini rispettosi della legge, siamo tutti partecipanti, volenti o costretti, alla desolazione che si sta verificando a poche ore di distanza dalle nostre case. Dobbiamo lavorare attivamente per smantellare la macchina dello sterminio in ogni modo a nostra disposizione. Non dobbiamo cooperare con i suoi sistemi e mettere dei bastoni tra le sue ruote ad ogni occasione. In 77 anni di occupazione, espulsione e dominio militare, e in particolare negli ultimi 2 anni, l’Idf è diventato non solo un esercito in cui non vale la pena servire, ma un nemico a cui dobbiamo resistere.

Il progetto di punta dello Stato di Israele è quello di ripulire questa terra dai suoi abitanti palestinesi. Tutti gli organi dello Stato, fin dal giorno della sua fondazione, sono stati usati come arma per questo obiettivo. Subito dopo l’espulsione di 750mila palestinesi nella Nakba del 1948, lo Stato ha lavorato per espropriare i residenti espulsi e rimanenti della terra con leggi e ordini amministrativi che sono applicati ancora oggi per minimizzare la presenza dei palestinesi nella loro patria. Le forze di sicurezza dello Stato per loro natura vedono ogni palestinese come una minaccia: ai checkpoint, nelle loro città e villaggi, nelle stazioni dei treni e nelle scuole. Nei servizi di assistenza sociale, sanitaria ed educativa c’è una discriminazione sistemica volta a stabilire la supremazia degli ebrei sui palestinesi in ogni aspetto della vita. Questo progetto di espropriazione è realizzato in ogni area sotto la sovranità dello Stato, all’interno della Linea Verde, a Gerusalemme Est, in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e contro i rifugiati sfollati dal loro paese.

Uno Stato con queste fondamenta è illegittimo. Le sue basi costituzionali sono vuote, il suo sistema legale non ha validità e non ha autorità per applicarlo. Non ha il diritto di dettare cos’è un crimine e chi è un terrorista mentre esso stesso commette il crimine di tutti i crimini. La resistenza all’omicidio e all’apartheid è inevitabilmente messa al bando. Se vogliamo lottare contro di essi, non abbiamo altra scelta che infrangere la legge. A causa del mio rifiuto, sarò probabilmente inviata in una prigione militare per diversi mesi. Una detenzione politica è solo un piccolo prezzo da pagare per resistere al terribile crimine del nostro tempo. Soprattutto di fronte ai prigionieri palestinesi, che anch’essi sono detenuti perché agli occhi dello Stato hanno minacciato il sistema oppressivo.

I prigionieri palestinesi sono tenuti in campi di tortura, affamati in condizioni di sovraffollamento e malattia, e subiscono quotidianamente attacchi e violenza sessuale. A metà di loro viene negato il giusto processo, e l’altra metà si trova di fronte a un sistema legale truccato. Decine sono già stati assassinati nelle carceri dall’inizio della guerra, e il numero completo è sconosciuto. I 10mila prigionieri “di sicurezza” sono tutti prigionieri politici, e lo Stato non ha l’autorità di metterli in gabbia. La definizione “di sicurezza”, come “terrorismo”, è stata formulata per incriminare l’intera popolazione occupata e chiunque minacci il carattere del regime, e permette l’uso di strumenti draconiani contro di loro.

Il vero riconoscimento della dimensione della distruzione che il nostro Stato semina, della sofferenza totale che inculca nei suoi sudditi, richiede un’azione appropriata. Se vedete la portata delle atrocità, e vi considerate persone morali, non potete continuare a fare come al solito, nonostante il costo, sociale o legale. Lo Stato di Israele sta commettendo un genocidio. La sua autorità morale si annulla con ogni bambino che seppellisce sottoterra; dopo decine di migliaia, scompare come se non fosse mai esistita. Le sue istituzioni non meritano di vedere un centesimo, ma di essere macchiate dai fiumi di sangue che versano. Non commette alcun atto che non meriti condanna, non impiega alcun agente che meriti rispetto, non dà alcun ordine che meriti obbedienza e non emana alcuna legge che non meriti di essere violata. Lo Stato di Israele sta commettendo un genocidio, e noi dobbiamo resistere». 

Credit foto: Soul Behar Tsalik, Mesarvot Network

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