Mondo
Zimbabwe: diavolo di un Mugabe
I "senza terra" neri, a cui il presidente zimbabweiano aveva deciso di concedere le terre espropriate ai bianchi, ora si vedono a loro volta espulsi per lasciar posto agli oligarchi del regime
di Redazione
La questione era diventata di importanza vitale per la sua politica interna e internazionale, fino al punto di non esitare a lacerare i rapporti diplomatici con l’ex potenza coloniale inglese, a costo di venir espulso dal Commonwealth.
Per Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, la restituzione delle immense terre espropriate agli ex proprietari rodesiani (regime “bianco” diretto da Ian Smith fino al 1980) alla sua gente (i poveri contadini neri zimbaweiani) era diventato una questione di vita o di morte. Agli occhi di molti cittadini africani, e non solo, i sogni di Mugabe, concretizzati nel marzo del 2002, simboleggiavano l’inizio di una (nuova) leadership africana finalmente capace di fronteggiare il potere dei “bianchi”, di qualsiasi latitudine essi appartengano. “Sir” Mugabe, un esempio per quei predatori africani pronti solo a fare da zerbino ai diktat neocolonialisti escogitati alla Casa Bianca, all’Elysée o a Downing Street.
Eppure, la notizia apparsa pochi giorni fa sul settimanale sudafricano Mail & Guardian, e riportata da Vita ai suoi lettori, mette a nudo le illusioni date da Mugabe a molti cittadini (a partire da quelli dello Zimbabwe), pronti a chiudere un occhio (se non entrambi) sulla natura dittatoriale del suo regime.
All’origine dello scandalo che sta gettando lo scompiglio nelle più alte sfere del partito (unico) presidenziale – Zanu-PF -, é l’espulsione di oltre 400 famiglie dalle 22 fattorie dove erano state installate in seguito alla decisione presa dal regime Mugabe nel corso delle ultime legislative del marzo 2002 di espropriare i farmers bianchi dalle loro immense propriatà terrieri per restituirle ai cittadini neri dello Zimbabwe.
Per il presidente dell’associazione degli ex combattenti (tristi protagonisti della vicenda), Jabulani Sibanda, “queste espulsioni sono un insulto ai 14 milioni di zimbabweiani”. Protagonisti felici sono invece alti funzionari del governo, già proprietari di molte fattorie e accusati da Sibanda di espropriare terre a “contadini che non avevano fatto altro che lasciare le terre aride a loro riservate dai rodesiani per occupare spazi concessi dalle stesse autorità zimbabweiane”.
Ora gli ex combattenti chiedono a Mugabe di porre un termine a questa scandalosa vicenda. Tuttavia, il malcontento si sta diffondendo nel cuore stesso del regime presidenziale. In un articolo pubblicato sul The Sunday Mail, un settimanale controllato dal partito di Mugabe, un certo Lowani Ndlovu, su cui vige il forte sospetto che sia un pseudomino usato dal Ministro dell’informazione Jonathan Moyo, ha giudicato le espulsioni di “violazione della politica del governo” in quanto “compiute senza pietà, in modo illegale, che ricordano l’espulsione dei neri fatta dal Premier rodesiano Ian Smith”.
A diffendere il governo, o a scaricare le sue responsabilità, ci ha pensato il Ministro della riforma agraria, John Nkomo, a detta del quale le espulsioni sono la diretta conseguenza delle raccomandazioni fatte dalla commissione creata ad hoc per indagare sull’evoluzione della riforma agraria. Secondo Nkomo, nel maggio 2004, Mugabe aveva chiesto a 12 persone di valutare la situazione. Il rapporto, noto come rapporto “Utete”, ha evocato irregolarità compiute durante il processo di redistribuzione delle terre.
Intanto, sul terreno, lo sconcerto è totale. E’ il caso della proprietà di Inkomo, una cinquantina di chilometri a nordovest della capitale Harare. Per Wilbert Chimbudzi, uno dei contadini espulsi, i nuovi coloni “sono stati colpiti alle spalle”. Le sue due case sono state incendiate e ora, la sua famiglia senza tetto. Della sua fattoria, non rimangono che case e recinzioni distrutte, campi disertati. “Non ci hanno lasciato nulla. Nulla” prosegue il contadino mortificato. “Non ci hanno nemmeno concesso il tempo di prepararci. E’ disumano. Non si capisce perché ci fanno soffrire, dopo che era stato lo stesso governo a spingerci ad occupare le fattorie”.
Al silenzio delle autorità locali risponde con i fatti un alto responsabile del governo, sul punto di installare il suo bestiame nella fattoria del Sig. Chimbudzi, fino a pochi mesi felicemente proprietario di terreni che decenni erano solo un miraggio.
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