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Cooperazione & Relazioni internazionali

GAZA. Un italiano sotto le bombe

Vittorio Arrigoni, 33 anni, è a Gaza come volontario per il movimento nonviolento Ism. Ecco la sua testimonianza e quella di una cooperante dell'ong Gvc bloccata a Gerusalemme

di Daniele Biella

Notte tra il 29 e il 30 dicembre 2008.“Mi trovo in una casa a 200 metri dal porto, è un momento di calma quasi irreale”. Boom. “Aspetta…oh no, ricominciano”. Boom. Boom. “Stanno bombardando il porto”. Click. La comunicazione telefonica si interrompe, per essere ripresa solo mezz’ora dopo, a pericolo scampato: “questa volta hanno sparato solo una decina di missili, colpendo le imbarcazioni incustodite dei pescatori ormeggiate nel porto”. L’interlocutore di Vita si chiama Vittorio Arrigoni, ha 33 anni, è volontario dell’Ism, International solidarity movemente ed è l’unico italiano in questo momento presente nella Striscia di Gaza, attaccata dall’aviazione israeliana da sabato scorso e, dopo tre giorni di pesanti bombardamenti che hanno causato 360 vittime e 1.600 feriti palestinesi (i razzi lanciati da fondamentalisti legati ad Hamas hanno provocato finora 5 morti e una trentina di feriti israeliani), minacciata in queste ore da un’operazione via terra dell’Idf, l’esercito di Israele.

Arrigoni è arrivato a Gaza il 21 dicembre, a bordo della nave Dignity, del movimento di pacifisti Free Gaza. Era la seconda volta: arrivato nell’agosto scorso, a fine novembre è stato rapito e arrestato dall’esercito israeliano mentre stava accompagnando i pescatori di Gaza nel loro lavoro (come racconta nel suo blog). “Sono tornato per stare più vicino possibile alla popolazione civile, quella che non ha nessun legame con le azioni di Hamas ed è oggi allo stremo delle forze: prima quasi due anni di embargo israeliano, poi gli attacchi di questi giorni”, spiega Arrigoni. “Con me qui al momento ci sono altri sette internazionali, da Canada, Australia, Spagna, Inghilterra, Grecia, Polonia, Cipro. In queste ore sta per tornare a Gaza la barca Dignity con 13 persone a bordo tra medici, attivisti, parlamentari, speriamo riesca a passare”. Ma è una speranza finora vana: stamattina le navi dell’esercito hanno prima speronato, poi obbligato alla deviazione verso il Libano l’imbarcazione. È la prima volta che accade.

Ma niente a che vedere con quello che sta accadendo nella striscia. “Qui è un inferno”, riprende Arrigoni, “non si dorme la notte per la paura e i rumori, le finestre nonostante il freddo sono aperte per evitare le schegge di vetro in caso di scoppio. Di giorno, pochi si muovono dalle case, le moschee e l’unica chiesa cristiana di Gaza sono vuote (ecco la testimonianza del parroco cattolico, ndr). Noi andiamo dove siamo utili, seguiamo i medici dell’ospedale, doniamo sangue, e abbiamo appena imparato come si fa un’iniezione, per casi urgenti”. Ieri il giovane attivista italiano era sul luogo dell’esplosione che ha ucciso cinque sorelline. Ha scattato foto, che parlano da sole, le ha messe sul blog, “perchè documentare è fondamentale”.

Anche per Daniela Riva, 30 anni, cooperante a Gaza per conto dell’ong italiana Gvc, esserci ora, nei territori palestinesi, è importante. Ma, dallo scorso 4 novembre, lei e tutti gli operatori delle ong sono confinati a Gerusalemme: “da un giorno all’altro non ci hanno fatti più entrare nella Striscia. Ora si è capito il perchè: stavano preparando l’attacco e non volevano presenze internazionali”, racconta la cooperante, responsabile di un progetto sull’accesso all’acqua. “Siamo in costante contatto con i partner locali, ma viviamo ore d’angoscia: Sami, uno dei nostri collaboratori palestinesi, mi ha chiamato la mattina in cui l’attacco e’ iniziato, ha visto persone portate via, corpi dilaniati. È terrorizzato, ha appena abbandonato casa sua perchè l’abitazione vicina è stata distrutta. E la stazione di polizia davanti all’ufficio è stata colpita, così come il porto: ma in quello che Israele chiama ‘obiettivo Hamas’ ci sono anche i civili e le loro famiglie”, prosegue Riva. Ma non è tutto: “A Bashar, il formatore di una ong palestinese con cui stiamo collaborando, e’ stato chiesto di poter adibire ad obitorio le stanze previste per i corsi di formazione che sarebbero dovuti iniziare il giorno seguente”. E le ong che possono fare? “Ci siamo incontrati tutti ieri, qui a Gerusalemme. Per ora possiamo solo far sapere cosa sta succedendo, dare un’informazione alternativa a quella che leggiamo sui giornali. Siamo testimoni, privilegiati nostro malgrado, di questo massacro”, ammette la cooperante. “Liberi di decidere di chi sia la colpa di tutto ciò, ora è il momento di ascoltare la speranza di Gaza, che tutto questo finisca presto”.

Nel frattempo, le bombe continuano a scendere. E i razzi di Hamas si intensificano. Gli appelli della politica mondiale sono finora troppo deboli per fermare la macchina da guerra israeliana, nonostante anche in patria il dibattito è acceso (si veda il sito del quotidiano progressista israeliano Haaretz , che riporta oggi l’intervento dello scrittore David Grossman per un immediato cessate il fuoco). L’agenzia di stampa palestinese Maan  si aggiorna ogni dieci minuti con nuove, nefaste, notizie. La società civile sta manifestando in varie città nel mondo, Italia compresa. In Cisgiordania, a Ni’lin e Ramallah, ci sono state due vittime palestinesi. Decine le persone arrestate davanti alle ambasciate d’Israele.

Sul fronte dell’associazionismo, Amnesty international non si è fatta attendere, lanciando nella giornata di ieri un appello allo stop ai bombardamenti illegali israeliani e ai razzi dei fondamentalisti palestinesi, al quale ne è seguito un altro che chiedeva il rispetto dei civili, vittime indifese dell’escalation della violenza. Anche Ernesto Olivero, presidente delle Acli, che si trova tutt’ora a Betlemme (che, dopo il boom di turisti del Natale, in conseguenza dell’attacco è oggi una città fantasma con le saracinesche abbassate in segno di lutto e centinaia di prenotazioni disdette) per seguire i progetti dell’associazione in loco, ha denunciato: “È un bombardamento indifferenziato. La vera questione da porsi non è di chi sono le colpe o le ragioni, ma chi sono oggi le vittime”. Anche la vicepresidente del Parlamento europeo, Luisa Morgantini, si trova in queste ore da quelle parti: è tra Tel Aviv e Gerusalemme, con un gruppo di 50 esponenti della società civile italiana, e martedì incontra il primo ministro dell’Autorità palestinese Salaam Fayyad, nel tentativo di arrivare a una mediazione che interrompa la strage in atto.

Da dove può arrivare uno spiraglio di speranza? Arrigoni, l’unico italiano sotto le bombe, prova a rispondere: “Di certo non da Hamas: sembra strano, ma qui i loro leader non si vedono in giro, sono all’estero, e seppur influenti, non hanno il controlli di chi lancia i razzi verso Israele, perchè ci sono altri gruppetti di fondamentalisti indipendenti, che crescono man mano che aumentano i bombardamenti”.  Aggiunge Arrigoni: “Bisogna fare pressione su Israele, perchè è pur sempre una democrazia: per ora, nonostante le voci di dissenso crescano, chi governa tira dritto. Ma la comunità internazionale, attraverso, ad esempio, un boicottaggio mirato, come successo verso il Sudafrica durante l’Apartheid, può portare frutti insperati”. E conclude: “l’importante è mettersi in gioco, farsi sentire. Io lo faccio, come italiano e in modo nonviolento, da qui. Ognuno agisca come può”.


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