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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cooperanti sotto le bombe

«Siamo disperati non sappiamo più che fare», si dispera Jerome Socie, responsabile dell’ong italiana Coopi in Israele e nei Territori palestinesi

di Daniele Biella

“Gli attacchi non risparmiano nemmeno noi cooperanti, l’ultimo caduto è di mercoledì mattina. Siamo disperati, non sappiamo più che fare”. Dure, tristi parole sono quelle di Jerome Socie, responsabile dell’ong italiana Coopi in Israele e nei Territori palestinesi. Socie si riferisce alla morte del cooperante palestinese dell’ong Care international Mohammed Ibrahim Samouni, padre di sei bambini, tre dei quali in gravi condizioni. Morte avvenuta dopo che una bomba sganciata da un aereo dell’esercito israeliano ha colpito la casa di Samouni. “Un’ulteriore prova che qualsiasi attacco, anche mirato, provoca perdite civili”, riporta afflitta Martha Myers, direttrice di Care nei Territori. “Fino al 27 dicembre, davamo ogni settimana alimenti freschi a 60mila persone della Striscia di Gaza. Da allora, abbiamo potuto farlo solo due volte, per poco tempo”.

L’operatore locale di Care non è stata l’unica vittima tra gli operatori umanitari dall’inizio dei bombardamenti: Arafa Abdul Dayem, conducente di un’ambulanza della Mezzaluna rossa, e’ stato ucciso martedì da un mortaio durante un’operazione coordinata di evacuazione a Jabaliya, nella Striscia. “Almeno altre quattro ambulanze e tre staff medici sono stati colpiti nelle ultime ore dalle bombe israeliane”, denuncia il portavoce della Federazione internazionale della società di Croce Rossa e Mezzaluna rossa. La situazione per gli operatori umanitari a Gaza è disperata”, spiega Dominic Nutt, dell’ong Save the children, “non hanno acqua né elettricità per la maggior parte del giorno, e i bambini sono a rischio di ipotermia”.

Gli operatori palestinesi di alcune ong, tra le quali le italiane Coopi e Gvc, sono dall’inizio del conflitto chiusi nelle case-ufficio delle organizzazioni, in una zona per ora non colpita direttamente dai bombardamenti. “E’ dal 4 novembre 2008 che a noi internazionali ci viene negato senza spiegazioni  l’accesso alla Striscia”, riprende Socie, responsabile di Coopi, raggiunto al telefono a Gerusalemme. “In questi giorni ci è stato risposto dalle autorità israeliane che al massimo saremmo potuti arrivare al confine, poi ci avrebbero lasciati soli, esposti ai bombardamenti. Chi se la sente di rischiare così tanto?”. E ancora: “attualmente l’unico interlocutore che accetta Israele per l’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese è l’Onu. Le ong devono quindi far pervenire i loro aiuti attraverso le Nazioni unite”.

Il responsabile di Coopi denuncia anche un fatto che sta passando pressoché inosservato fuori Israele: “Per le strade di Gerusalemme tutti gli israeliani, che siano o meno contrari all’offensiva in corso, sono d’accordo che il vero obiettivo dell’attacco è, per il partito ora al potere (Kadima, il partito di Olmert, Livni e Barak, perdente nei sondaggi, ndr), guadagnare consensi in vista delle elezioni del prossimo 10 febbraio. E’ una notizia sconvolgente che non trova spazio nei media occidentali. Perchè?”.


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