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E nelle tende tornò la “normalità”

L'addio del G8 visto dalla tendopoli di Coppito, a due passi dalla sede del summit

di Daniele Biella

Il G8? «Poliziotti che sparano». Non hanno dubbi i bambini della tendopoli di Coppito, alle porte dell’Aquila, nel descrivere quello che secondo loro è successo lì dietro l’angolo, a 150 metri dalle loro tende, dove inizia quella che ai loro occhi è la «misteriosa» zona rossa, sede della caserma della Guardia di finanza dove si è svolto il summit dei Grandi. «Come possono i bambini pensare al G8 in altro modo, con tutto il dispiegamento di forze militari che hanno attorno a loro da una settimana a questa parte?», si chiede Alessandra Pierattelli, 35 anni, educatrice volontaria per un mese nella ludoteca della tendopoli assieme a un’altra decina di ragazzi provenienti da tutta Italia tramite una rete di associazioni. Nei paraggi si è appena conclusa la marcia della piccola rappresentanza del movimento no global che è scesa in Abruzzo, poco prima c’era stata la conferenza finale di Silvio Berlusconi. «Finalmente è tutto concluso, si torna alla “normalità”. Non lo dico io, lo dice la gente della tendopoli», spiega la giovane milanese, «considerando che “normalità” qui significa quella post terremoto, ovvero l’essere sotto le tende da tre mesi». E l’eco del G8? «Qui a Coppito, per i 500 bambini e adulti del campo, ha avuto un solo significato: stallo completo, e almeno sette giorni di impedimenti, a cominciare dalla libertà di movimento».

Controlli ovunque nell’area attorno alla caserma, «sia appena fuori dalla zona delle tende, che nei campi e nel bosco attorno, e in paese. Anche per questo la gran parte della popolazione se n’è andata, prendendosi una settimana di ferie forzate», spiega l’educatrice. «Un dato: dei 60 bambini in media con cui operiamo ogni giorno, durante i giorni del summit ne sono rimasti solo 20». E l’unico bar del paese negli ultimi giorni è rimasto chiuso, così come il tabaccaio, «i due punti d’incontro del paese, che per primi erano riaperti poche ore dopo il sisma del 6 aprile. La gente se n’è andata anche per la preoccupazione che potesse succedere qualcosa». Ci sono stati malumori, recriminazioni tra gli sfollati? «Nessuna. Le persone, del resto, hanno altro a cui pensare, e non hanno la forza per ribellarsi. Chi ce l’ha ancora, va e viene dalla propria casa ma poi continua a dormire in tenda, o in camper. Il loro chiodo fisso è il sapere quando verranno pronte quelle che chiamano “le casette di legno”», ovvero le new town promesse dal governo, in cui dovrebbero trovare alloggio prima del prossimo inverno. «Solo per questo motivo vedono i notiziari alla tv o leggono i, pochi, giornali», riprende Pierattelli. «A tutti quelli con cui ho parlato, nessuno escluso, non importava davvero nulla di quello che accadeva in fondo alla strada, nella caserma. L’arrivo di Obama e degli altri semplicemente non era nei loro interessi». Ma il fatto che la sede del G8 fosse spostata da quelle parti per mantenere viva l’attenzione sull’Abruzzo non ha colpito qualcuno in positivo? «”Ci sono cose più importanti”, è stata la risposta più frequente. E i disagi provati, alla fine, hanno fatto prevalere sulla popolazione l’idea che tutto ciò sia stato come qualcosa da subire e basta. Un problema pratico, più che etico o politico».

Ma ora è tutto finito. «Che nelle ultime ore l’atmosfera sia cambiata è palpabile, sembra che con la fine del G8 l’intera tendopoli abbia tirato un sospiro di sollievo. Menomale, anche perché cominciavano a scarseggiare i beni primari, come latte e caffè». Per quale motivo? «Le restrizioni di questi giorni a Coppito hanno riguardato soprattutto i fornitori, che in molti casi non potevano usare i loro mezzi di trasporto», chiarisce l’educatrice. «Ad esempio, fin dal primo giorno a uno dei lattai è stato vietato il trasporto del latte in macchina, poteva farlo solo a piedi. Il risultato? Niente lavoro: l’ho rivisto il giorno stesso seduto al bar». Prima che chiudesse anche questo.


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