Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Gianni Tonin Ridatemi i miei vicini rom

L'appello dell'imprenditore veneto

di Elisa Cozzarini

A San Giorgio in Bosco tutti lo conoscono
come “il re degli zingari”. Per sei anni ha ospitato sul suo terreno diverse roulotte.
Poi sono arrivati i giornalisti… «Ci mandano via dappertutto? Dicono che non possiamo fermarci in nessun posto per più di un’ora? D’estate ci arrangiamo, ma da settembre come facciamo con i bambini che devono tornare a scuola?», è preoccupata Maria, nomade di San Giorgio in Bosco, provincia di Padova. La sua voce arriva dal cellulare di Simonetta Tonin, la figlia dell’imprenditore che per sei anni ha ospitato tre, a volte quattro roulotte di rom originari dell’Alto Adige nel suo terreno.
Ora accanto al capannone di Gianni Tonin, “il re degli zingari” come lo chiamano in paese, non c’è traccia né di roulotte né di anima viva. Li hanno mandati via. Il neosindaco leghista di San Giorgio, Renato Roberto Miatello, ha denunciato l’imprenditore per abuso edilizio e i rom se ne sono andati spontaneamente, per non creare problemi, senza bisogno di ordinanze di sgombero. «Ma non è finita qui, li farò tornare», promette Tonin, «conosco queste persone da sempre, vivono qua e là, nei paraggi. Li aiuto da vent’anni e, da quando hanno iniziato a far storie ovunque si mettessero, ho deciso di ospitarli nel mio terreno, pagargli acqua, cibo ed elettricità. Hanno la residenza qui, non possono togliergliela da un giorno all’altro».
«Noi non siamo i cattivi e lui il buono! Basta con questa storia!», tuona il sindaco Miatello e spiega: «Abbiamo semplicemente fatto il nostro dovere notificando un abuso edilizio a chi di competenza. Se Tonin voleva risolvere il problema davvero, avrebbe dovuto mettere questi zingari in un appartamento. Ci accusano di razzismo, ma noi non siamo razzisti, vogliamo solo difendere la nostra cultura». Tonin risponde: «I rom che ospitavo qui non davano fastidio a nessuno, anzi, c’era anche chi veniva a portargli da mangiare ogni tanto. In questi anni l’unico problema che abbiamo avuto è stato con la scuola. Un giorno ci hanno chiamato dicendo che i bambini erano sporchi, allora io e mia figlia siamo andati a prenderli, li abbiamo lavati e vestiti di nuovo e nessuno si è più lamentato».
Insomma, è filato quasi tutto liscio per sei anni, finché i media hanno scatenato un polverone e l’Italia si è accorta di Gianni Tonin e dei rom nel suo terreno. «I giornalisti sono arrivati a San Giorgio quando, in febbraio, il sindaco ha negato a una squadra di calcio formata da cittadini romeni l’uso del campo sportivo», racconta Simonetta Tonin, «e per caso hanno saputo di mio padre. Poi non si è visto più nessun giornalista ed è successo quel che è successo. Tu sei la prima a venirci a trovare da quando Maria, Davide e gli altri rom hanno dovuto andare via».
Nel suo ufficio, proprio dietro la scrivania, Tonin ha appeso la foto della baracca dove viveva da piccolo, con i suoi genitori e i sei fratelli. «Eravamo miserabili, non avevamo niente, ma non ci disperavamo, anzi, cantavamo e la fede ci sosteneva. Mia mamma era profondamente credente e ci ha trasmesso i valori cristiani». «Qualcuno ci aiutava», continua, «ma la maggioranza non vedeva l’ora di poterci mandare via. Eravamo proprio come gli zingari». Simonetta: «Mio papà voleva solo sposare mia mamma e mettere un tetto sulla casa dei suoi genitori. Usava proprio queste parole, perché un vero e proprio tetto quella baracca non ce l’aveva. Faceva il camionista e guadagnava bene, così è riuscito a realizzare le due cose che aveva promesso. Il resto è arrivato dopo, quasi per caso, ma noi viviamo ancora nella stessa casa, costruita dove è cresciuto mio padre».
Poi c’è stato il grave incidente che ha troncato la sua carriera e lo ha riportato a casa per miracolo, a San Giorgio, con sette vertebre rotte. L’impero “Tonin Casa” è nato dal nulla, quando Gianni, che oggi ha 69 anni, ha comprato un furgone con le cambiali e ha iniziato a vendere scarpiere. Da allora l’azienda è cresciuta e dieci anni fa Tonin ha lanciato una linea propria di mobili. «Tanto successo è stato la nostra fortuna e sfortuna allo stesso tempo, perché ha creato delle tensioni in famiglia», continua Gianni, «comunque, appena ho potuto ho iniziato ad aiutare i missionari, ho finanziato una scuola in Mozambico e ho dato una mano ai bambini di strada che ho incontrato in Romania, dove ho una fabbrica e dove vado almeno quattro volte all’anno. Li ho sistemati in una casa e sono stato anche indagato per pedofilia, perché aiutavo i bambini?».
Oggi, sulla sua grande scrivania c’è un mucchio di lettere di persone in difficoltà, che gli chiedono aiuto dopo averlo visto in tv. «Ma come si fa a dare una mano a tutti, adesso che c’è anche la crisi?».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA