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Ecco chi sono i corpi civili di pace italiani

Grazie a un emendamento alla Legge di Stabilità, per la prima volta si finanzia l'invio "di 500 giovani all'anno dal 2014 al 2016" per attività di peacebuilding. Martina Pignatti Morano, referente del Tavolo Interventi civili di pace, anticipa l'identikit di una figura attesa da decenni

di Daniele Biella

Che la notizia sia arrivata nelle pagine centrali dei quotidiani nazionali, uscendo quindi dai normali canali degli addetti ai lavori, è un mezzo miracolo: poco prima di Natale il Parlamento ha approvato un emendamento alla Legge di Stabilità che, per la prima volta, finanzia i ccp, corpi civili di pace, ovvero l’alternativa non armata e nonviolenta alle forze militari presenti in luoghi di conflitto. Nove milioni di euro all’anno dal 2014 al 2016, utili all’invio di 500 giovani in “azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio, o nelle aree di emergenza ambientale”. Ora, perché si realizzi l’altra metà del miracolo (che farebbe sorridere, da lassù, ottimi maestri come Alex Langer e Massimo Paolicelli, quest’ultimo scomparso di recente), si attende che tale provvedimento cammini sulle proprie gambe, ovvero trovi una road map per capire ‘di chi e di cosa stiamo parlando’: associazioni e movimenti, è bene chiarirlo subito a chi ha in mano le redini della questione, sono pronti a fare la loro parte. In questo senso Vita.it ha raggiunto Martina Pignatti Morano, referente del Tavolo Interventi civili di pace (che l’anno scorso ha messo nero su bianco identità e criteri degli interventi, vedi allegato) e presidente dell’ong Un ponte per proprio per fare una prima luce su questa nuova forma di servizio che, grazie all’iniziativa parlamentare (che ha avuto in prima linea Giulio Marcon, ex portavoce della campagna Sbilanciamoci! e attuale deputato di Sel), è destinata a far parlare di sé.

Quale dovrebbe essere l’identikit dell’operatore di un corpo civile di pace?
è chiaro che le regole sono tutte da definire, ma noi lo pensiamo come una persona che, dopo un profondo momento di formazione della durata di almeno un mese e mezzo, abbia la possibilità di operare nel luogo prescelto per un minimo di un anno, ma anche per due, data l’importanza del suo ruolo. Stiamo parlando di persone che oltre ad avere un forte controllo di sé, un’elevata capacità di gestione del rischio e una calma di fondo, sappiano per esempio come gestire la trasformazione nonviolenta dei conflitti, come utilizzare al meglio il metodo del consenso nelle decisioni, come facilitare l’armonia di gruppo anche in presenza di elementi molto diversi tra loro.

Quale il suo ruolo?
Abbiamo identificato almeno 15 tipologie di attività in cui i corpi civili di pace possono cimentarsi (vedi il documento a lato), tra queste la promozione di azioni nonviolente e opere di riconciliazione. Con un punto di partenza molto chiaro: non sono dei pacificatori, piuttosto sono persone che sostengono le realtà della società civile locale che, in dialogo fra loro, possono arrivare a una soluzione comune. Il lavoro dei ccp si potrebbe svolgere in situazioni di tensioni di vari livelli, nel mondo ci sono già esperienze attive molto efficienti come quella dell'ong Nonviolent peaceforce, da cui si può prendere spunto.

Al momento attuale, dove potrebbe essere inviato?
In Italia e all’estero, ovunque ci siano luoghi in cui il corpo civile di pace possa avere un ruolo significativo. Penso alla Palestina, in attività di accompagnamento di esponenti della società civile a rischio per la loro attività o semplici abitanti nelle situazioni di pericolo (sulla stregua dell’esperienza dell’Operazione Colomba, corpo civile di pace dell’associazione Papa Giovanni XXIII, che si autofinanzia ed è presente nel villaggio di At Tuwani dal 2004, ndr), ma anche a Israele, a fianco di chi lavora per una risoluzione nonviolenta del conflitto. Oppure in Iraq, nelle province del Kurdistan iracheno, dove la sicurezza per operare è più che buone e si può lavorare, per esempio sulla riconciliazione tra le varie etnie.

Dopo l’approvazione dell’emendamento, qual è il prossimo passo?
Prima di tutto la definizione ufficiale della figura del corpo civile di pace e di chi, tra le organizzazioni non governative, è accreditato alla sua preparazione. Il tutto, come è logico che sia, è ora in mano all’Unsc, Ufficio nazionale servizio civile, perché all’interno del servizio civile ci sono esperienze che vanno nella giusta direzione, come i ‘Caschi bianchi’, la cui operatività però oggi è legata ai parametri di rischio della Farnesina. Auspichiamo che tali parametri vengano rinnovati in futuro, proprio per dare il giusto inquadramento ai corpi civili. Allo stesso modo, l’auspicio è che venga allargata la platea degli enti che possano formare e inviare in loco gli operatori: molte associazioni che da tempo si occupano di peacebuilding hanno sviluppato nel tempo una grande competenza in merito e, dato che spesso sono presenti nel luogo, sono del tutto idonee a gestire questa nuova figura. Che finalmente, grazie all’emendamento, trova concretezza dopo anni di preparazione teorica.


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