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Shakil e gli altri minori accolti nei Villaggi Sos

Sono trenta i minorenni stranieri non accompagnati nei Villaggi Sos di Mantova, Morosolo e Vicenza. Per loro un percorso fatto di supporto psicosociale, inserimento e sostegno scolastico, formazione professionale

di Redazione

Sono i più vulnerabili, esposti a rischio sfruttamento e di essere coinvolti in attività illegali perché sono soli. E sono tanti. Sono i minorenni stranieri non accompagnati che giungono in Italia senza genitori, o altre figure adulte di riferimento. Il più delle volte fuggono da conflitti e persecuzioni. Ad accogliere questi minori vi è Sos Villaggi dei Bambini che ha individuato tra le sue priorità, in questi anni, proprio la promozione e realizzazione di interventi rivolti ai bambini e ai ragazzi stranieri. Si tratta di interventi centrati sull’accoglienza, sull’orientamento, l’accompagnamento e il supporto all’inclusione sociale e lavorativa.

Al momento sono 30 i minori non accompagnati accolti dai Villaggi Sos di Mantova, Morosolo (VA) e Vicenza. Sono ragazzi tra i 14 e i 18 anni fuggiti dall’Egitto, dall’Afghanistan, dal Mali, dal Bangladesh, dal Congo, dalla Somalia e dal Senegal. Nei Villaggi Sos ricevono accoglienza, supporto psicosociale, inserimento e sostegno scolastico, formazione professionale ed attivazione di tirocini formativi.

Ed è dal Villaggio Sos di Mantova che arriva la storia di Shakil,

«Mi chiamo Shakil, sono nato 18 anni fa in Bangladesh. Molti qui in Italia non sanno nemmeno dove sia il mio Paese. Forse è per questo che gli stranieri fanno paura. Non hanno paura di noi ma delle terre che non conoscono. Forse dovrebbero partire da lì. Dalla conoscenza. La paura andrebbe via. Ne scoprirebbero le meraviglie e poi vedrebbero che noi siamo come loro. Nessuna differenza.
La mia terra è bellissima e a volte la sogno. Mi manca tanto. Vivevo lì insieme ai miei genitori e alle mie sorelline. Mia mamma si occupava di noi, mio padre invece lavorava la terra. La povertà mi ha impedito di studiare: è colpa sua! Di nessun altro. Non c’erano i soldi per andare a scuola. Seguivo mio papà tutti i giorni nei campi ma io volevo altro. Pensavo all’Europa. Tutti dicevano che “si sta bene in Europa”. Si può lavorare, studiare, sognare un futuro. Non ci sono bambini europei che a 5 anni lavorano nei campi. No. È per questo che sono partito. Volevo andare in un luogo dove i bambini potessero essere bambini. Per andare via ho chiesto aiuto a mio zio. Ha pagato lui il viaggio. Fu così che mi ritrovai su un camion con altri 20 ragazzi. Avevamo età diverse, altezze diverse ma lo stesso sguardo. Avete presente quando la paura e la gioia giocano insieme? Avete presente quando vi tuffate in mare da una roccia altissima? Ecco. Avevamo quella espressione lì.

Non ci sono bambini europei che a 5 anni lavorano nei campi. No. È per questo che sono partito

Shakil accolto nel Villaggio Sos di Mantova

Il viaggio è stato lunghissimo. Uno dei signori che guidava il camion ci aveva detto che sembravamo dei piccoli Ulisse e non ho mai capito cosa significasse. Ci diceva: “Siamo in India”, “Siamo in Pakistan” e poi “Iran”, “Turchia” e “Grecia”. Prima sul camion, poi in barca e infine su una grande nave verso l’Italia. Ci abbiamo messo 5 mesi. Ricordo la fame e la paura quando dovevamo attraversare le frontiere. In Italia ci siamo separati. Alcuni sono andati a Roma, io e altri a Milano. È strano arrivare in una grande città dopo aver attraversato il deserto. Pensi sia un’oasi, pensi che qualcuno ti accoglierà e ti darà da mangiare e da bere. Non so cosa pensavo di trovare. Forse un Paradiso invece… mi hanno preso e portato davanti a uomini in divisa con pistole e cappello. Non capivo niente. Non sapevo cosa mi stessero dicendo. Ho ripensato al camion e ho pensato che mi avrebbero rispedito in Bangladesh. Quando mi hanno fatto salire su una grande auto mi sono messo a piangere. La signora che guidava mi sorrideva. Abbiamo fatto un po’ di strada e ricordo solo che mi sono addormentato e risvegliato in un letto e in una stanza coloratissima, allegra. Sentivo dei bambini ridere. Vedevo giochi, poster strani, matite, cartelle.

Mi avevano portato in una città che si chiama Mantova e in una Casa che si chiama Villaggio Sos. Grazie al Villaggio Sos ho potuto scrivere questa storia. Ho imparato la lingua italiana e ho finito le medie. Dicono che sono bravo e che imparo in fretta. Io voglio fare il pizzaiolo perché penso che la pizza sia la cosa più buona che esista. Appena potrò, tornerò in Bangladesh e aprirò una Pizzeria grandissima. Sapete perché? Perché così gli italiani verranno qui per mangiare la mia pizza e non avranno più paura dei ragazzi come me che arrivano dal Bangladesh. Avranno conosciuto il mio paese e il suo popolo, grazie alla mia pizza»