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Cooperazione & Relazioni internazionali

Burundi: la celebrazione imbarazzante di Expo 2015

Ieri a Milano Expo2015 ha reso omaggio al Burundi, accogliendo in pompa magna una dignitare del regime burundese messo al bando dalla Comunità internazionale dopo l’ondata repressiva che da fine aprile ha fatto 70 morti, provocato l’arresto di 1.000 persone e messo in fuga 140.000 burundesi nei paesi limitrofi. “Lo sviluppo del Paese procede al profumo del caffè e al ritmo dei tamburi”, titola un articolo del sito ufficiale di Expo. Surreale.

di Joshua Massarenti

Celebrare il cibo e promuovere gli investimenti a tutti i costi, anche quando non è il caso. E’ questa la trappola in cui è cascata ieri Expo 2015 festeggiando la Giornata nazionale del Burundi con tanto di cerimonia ufficiale, balli tradizionali (immancabili) e assaggio di caffé, di cui il paese africano è noto produttore.

Se è vero, come ha sottolineato il Commissario Generale di Expo Milano 2015 Bruno Antonio Pasquino durante la cerimonia, che “il Burundi è un Paese ‘viziato da Madre Natura’, a giudicare dalla grande ricchezza di biodiversità di cui è dotato”, è altrettando vero che il Burundi è viziato da un altro fenomeno che agli organizzatori di Expo è sfuggito: la regolarità con la quale chi sta al potere reprime coloro che ne contestano la legittimità.

Parliamoci chiaro. Che all’Esposizione Universale si cerchi di promuovere uno dei paesi più poveri al mondo non c’è nulla di male, anzi, ma ieri Expo ha commesso un passo falso clamoroso accogliendo in pompa magna (vedi foto) la ministra burundese per il Commercio, l’Industria, le Poste e il Turismo, Irina Inantore. Sul perché, forse in pochi lo intuiranno. Ad Expo, forse nessuno.

Irina Inantore è giunta a Milano in rappresentanza di un regime, quello del Presidente Pierre Nkurunziza, al centro di un’ondata repressiva che negli ultimi due mesi e mezzo ha fatto in Burundi oltre 70 vittime, provocato l’arresto di 1.000 cittadini e messo in fuga verso i paesi limitrofi 140mila persone. La crisi burundese è iniziata il 26 aprile, in seguito all'annuncio da parte del presidente uscente Pierre Nkurunziza di volersi candidare per un terzo mandato alle elezioni presidenziali del 26 giugno (poi posticipate al 15 luglio), nonostante il limite di due mandati fissato dalla Costituzione e dagli Accordi di Arusha firmati nel 2000 per porre fine a 20 anni di guerra civile. L’opposizione, la società civile e la Chiesa cattolica hanno contestato questa candidatura chiedendo a Nkurunziza di ritirarsi, ma senza successo.

In un rapporto di nove pagine pubblicato il 2 luglio scorso, la Missione di osservazione elettorale delle Nazioni Unite in Burundi (MENUB) ha denunciato il “clima di paura e di intimidazione generalizzata” in cui si sono svolte le elezioni legislative e comunali del 29 giugno, boicottate dai principali partiti di opposizione.

Nonostante le pressioni della Comunità internazionale (Unione Africana, East African Community, Unione Europea e Stati Uniti) di rimandare il processo elettorale per integrare gli oppositori e consentire una copertura libera da parte dei media privati distrutti durante un golpe militare fallito a metà maggio, il mediatore dell’Onu, Abdoulaye Bathily, sostiene che il governo burundese “non intende partecipare al dialogo prima delle elezioni e rimane determinato a mantenere un calendario elettorale unilaterale”.

Secondo le principali organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani, la polizia e la temutissima milizia giovanile Imbonerakure (vicina al regime) si sono rese protagoniste di omicidi e torture, sia a Bujumbura (la capitale) che in provincia.

In un post pubblicato pochi giorni fa, Carina Terstakian di Human Rights Watch assicura che “durante la mia visita in Burundi, tutte le persone che ho incontrato mi hanno detto di sentirsi in preda all’angoscia. Tra loro, quasi tutti si chiedevano come fuggire dal paese”, seguendo l’esempio dei 53 giornalisti burundesi scappati nel vicino Rwanda o di alcuni alti dignitari del partito di Nkurunziza, come il Presidente dell’Assemblea Nazionale e il secondo vice Presidente della Repubblica.

Per la ministra del Commercio Inantore, ieri ospite d’onore di Expo 2015, la fedeltà al regime non è in discussione. Anzi, ha approfittato del palscoscenico offerto dall’Expo per offrire “la vera immagine del Burundi” e, secondo un articolo pubblicato sul sito dell’Esposizione Universale di Milano, per porre “l'accento sul desiderio e l'importanza per il Paese di attrarre investimenti stranieri, in un momento in cui il Burundi si sta stabilizzando politicamente”.

E pazienza se nello stesso giorno era in corso una riunione di emergenza a Dar es Salaam (Tanzania) a cui hanno partecipato i capi di Stato dei paesi della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) di cui il Burundi è paese membro per trovare una soluzione alla crisi burundese. Per Expo, nessun problema: “con la sua partecipazione a Expo Milano 2015 nel Cluster del Caffè, il Burundi intende valorizzare le sue risorse naturali, culturali ed economiche e mostrare le proprie potenzialità e prospettive di sviluppo. Lo spazio espositivo si ispira all'architettura tradizionale delle case burundesi, i Rugo, ed è caratterizzato dall'uso di materiali naturali come la paglia e di piante tipiche come il banano. La metafora dei cinque sensi fa da guida verso la scoperta del Paese. Si parte dalla vista per mostrare al mondo la bellezza dei paesaggi e degli habitat naturali ancora poco conosciuti dai viaggiatori e dagli operatori turistici. Si passa poi al gusto e all’olfatto per descrivere uno dei prodotti più apprezzati del Burundi: il caffè arabica dolce. L’udito e il tatto sono invece interpretati come strumenti per onorare la tradizione culturale e la tenacia del popolo burundese”.

Di tenacia in un momento così difficile ce ne vuole. Lo sanno bene i burundesi, ma anche i principali donatori internazionali del Burundi, che dopo un lungo braccio di ferro con il regime di Nkurunziza, sono sul punto di sospendere i loro aiuti budgetari al governo, risparmiando il popolo. Lo ha già fatto la Germania, sono in procinto di farlo il Belgio, i Paesi Bassi, il Lussemburgo, mentre l’Unione Europea ci sta riflettendo sul serio. Tra loro, nessun ministro o alto funzionario penserebbe di accogliere a braccia aperte un rappresentante del governo burundese. Expo 2015 invece sì. Questo gesto desta tanto più stupore che – forse è il caso di ricordarlo – nel settembre scorso tre suore italiane sono state uccise a Bujumbura in circostanze tutt’ora oscure. Secondo un’inchiesta di un giornalista locale, uomini vicini al regime sarebbero implicati nel triplice omicidio.

Ora, il Burundi è lungi dall’essere l’unico paese Partecipante di Expo 2015 dove i diritti umani e civili non vengono rispettati. Ce ne sono altri, a cominciare dalla Cina. Ma Pechino non è Bujumbura. Rifiutare un’accoglienza ufficiale ad una delegazione cinese di questi tempi sarebbe rischioso, per molti una follia, ma con il Burundi, Expo 2015 poteva dimostrare maggiore coraggio, mantenendo la partecipazione del paese nel cluster Caffè per promuovere i produttori burundesi, ma celebrando diversamente il Burundi Day.

Purtroppo, l’incidente di ieri rispecchia in qualche modo certi limiti “politici” di questa Esposizione Universale, ben simboleggiati dalla Carta di Milano. Questi limiti sono già stati sottolineati su Vita.it dal direttore di ‘Popoli e Missioni’, Padre Giulio Albanese, secondo il quale “la Carta di Milano tralascia totalmente le sanguinose guerre che si combattono in Africa e in altri continenti”. Eppure, ricorda il fondatore dell’agenzia di Misna, “è stato ampiamente dimostrato che questi conflitti rappresentano la prima causa di fame nei Paesi del Sud del mondo”.

Quella di Padre Giulio non è una voce fuori dal coro. Per strana coincidenza, oggi si riunisce per la prima volta il Consiglio Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo istituito dalla nuova legge 125/2014 e di cui VITA è membro. A Roma si discuterà del documento strategico di indirizzo e programmazione triennale della cooperazione internazionale. E questo documento parla molto chiaro: “l’attenzione alla qualità del contesto politico, democratico, al rispetto dei diritti umani in generale e in particolare dei diritti delle donne, costituirà la prima delle priorità nelle prossime attività della cooperazione italiana”. Una priorità imprescindibile per nutrire il pianeta.


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