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Teatro e carcere, a Torino i detenuti improvvisano e rispondono agli spettatori

Da martedì 24 a venerdì 27 novembre alla Casa circondariale Lorusso e Cutugno va in scena "Le altre facce della medaglia": chi assiste potrà rivolgere domande agli attori su ogni aspetto della vita dietro le sbarre, con occhio particolare alla legge di riforma penitenziaria che quest'anno compie 40 anni. Intervista al regista Claudio Montagna: "Questo tipo di rappresentazione facilita l'incontro tra dento e fuori, anche perché è supportato in prima linea dall'amministrazione penitenziaria"

di Daniele Biella

Cos’è e cosa dovrebbe essere il carcere? Quali sono le sue regole? Come lo vive chi è ogni giorno a contatto con questa realtà e cosa ne pensa chi la guarda da lontano? A Torino, presso il teatro della Casa Circondariale Lorusso Cutugno, dal 24 al 27 novembre 2015 queste domande troveranno una o più risposte: verrà infatti messo in scena Le altre facce della medaglia”, spettacolo teatrale che mette a confronto i punti di vista sulle trasformazioni e sulle innovazioni introdotte dalla legge di riforma penitenziaria del 1975, sul suo stato di attuazione oggi, sulle sue modifiche che, a quarant’anni dalla sua approvazione, sono state discusse in questi mesi dagli Stati generali sull’esecuzione penale promossi dal Ministero della Giustizia. A rappresentarlo la compagnia Teatro e Società, con la regia di Claudio Montagna e in collaborazione con la Cattedra di Sociologia del Diritto del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino. “Ogni rappresentazione sarà diversa dall’altra, perché si basa sull’improvvisazione e soprattutto gli attori risponderanno alle sollecitazioni del pubblico”; sottolinea proprio Montagna, che si occupa di teatro fin dal 1971 e promuove spettacoli in carcere con Teatro e Società da 23 anni con un laboratorio settimanale, anche grazie al contributo di Comune di Torino e Compagnia di San Paolo.

Le quattro serate di “Le altre facce della medaglia” hanno già 750 prenotazioni. Da dove nasce secondo lei l’interesse verso un’opera così non convenzionale dato che sarà il pubblico a decidere i temi portanti che andranno in scena?
Le persone esterne vogliono conoscere com’è la vita dietro le sbarre, chi sono i “detenuti”. Il nostro è un tipo di teatro che facilita questo incontro, perché è vincente il fatto che non siano previste parti a memoria ma risposte e ragionamenti che nascono al momento, a seconda di quello che un attore sta provando e di quello che la sua testa gli propone di dire. Gli spettatori formulano una domanda, anche sulla scorta di esempio che diamo loro al momento della prenotazione, e una volta che l’attore-detenuto ha detto la propria, arriva a sua volta la risposta di un educatore o di un agente della polizia penitenziaria, sempre sullo stesso tema. È fondamentale, per il buon esito della rappresentazione, che la direzione penitenziaria appoggi completamente questo tipo di azione culturale: è ciò che avviene a Torino e questo crea un’unione d’intenti molto efficace tra pubblico e mondo carcerario.

Perché l’enfasi sull’anniversario dei 40 anni della legge di riforma penitenziaria?
Da tre anni, grazie a docenti e studenti della Cattedra di Sociologia del Diritto del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, ci occupiamo di legge nei nostri spettacoli. L’enfasi è dovuta al fatto che la percezione della pena, con il passare del tempo, sta pian piano mutando in positivo: da una visione restrittiva si sta passando a termini più riparativi, con l’aumento dell’esecuzione penale esterna e in generale un maggiore ingresso del mondo esterno nel carcere. C’è da fare ancora molto, ma la strada è quella giusta e per questo è importante che gli spettatori conoscano quello che un detenuto può fare o meno.

Chi sono gli attori?
Sono persone detenute che variano da 22 a 70 anni, con una media di 15 presenze annue. Se il pubblico, con questi spettacoli “interattivi”, scopre un modo nuovo di avvicinarsi al carcere conoscendo direttamente come funzionano le cose sotto ogni aspetto e acquisendo una maturità nuova, anche il singolo detenuto può fare un percorso personale importante grazie all'esperienza teatrale. Sottolineo questo perché non capita di rado che un attore venga da me dicendomi: “Se sapevo dell’esistenza del teatro prima di delinquere, non sarei finito dentro”. È chiaro che si tratta di un ragionamento a posteriori, ma il concetto che passa è più che significativo.

Alla luce della sua esperienza ventennale nel teatro dietro le sbarre, qual è la priorità assoluta per migliorare le condizioni generali del mondo carcerario?
I detenuti vogliono lavorare, o comunque avere una formazione che permetta loro di gettare la basi per un futuro socialmente positivo che faccia evitare loro la recidiva. Trovi ancora la persona che ti dice: “faticare per mille euro al mese? Meglio una rapina”, ma è l’assoluta minoranza. È importante sottolineare invece come la quasi totalità voglia mettersi in gioco in vari settori, dalla cucina a qualsiasi altra mansione. Ogni detenuto che oggi fa lavori in carcere versa un rimborso spese che viene decurtato dalla paga, rimborso che tra l’altro negli ultimi mesi è aumentato di molto lasciando interdette molte persone. In generale, c’è comunque da sottolineare che in varie strutture l’impulso a maggiori possibilità lavorative sta migliorando la vita carceraria e le prospettive. Ora però è arrivato il tempo di una visione d’insieme valida per tutto il circuito detentivo italiano.


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