Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

Rifugiati siriani, il 45% è in Turchia. In tutta la Ue solo il 15%

Le persone in fuga dalla guerra stanno per raggiungere quota sei milioni, a cui si aggiungono altri sei milioni di sfollati interni. La Serbia è il primo Paese europeo sia come numero assoluto di presenze registrate sia in rapporto alla propria popolazione, superando Germania e Svezia. "Ma parliamo di numeri bassi, imbarazzanti per un'Europa che ora chiude le frontiere. Dove sono nella pratica i valori universali così tanto declamati?", chiede l'archeologo Alberto Savioli, con all'attivo un ventennio di vita tra Siria e Iraq. Ecco le tabelle con i dati per nazione

di Daniele Biella

Siria, sei milioni di rifugiati in cinque anni di guerra. E il 45% di loro – stiamo parlando di quelli registrati – ovvero quasi uno su due, al momento vive in Turchia. L’Europa? Arriva a malapena ad accogliere il 15% dei siriani in fuga (di cui il 9% concentrato in due Paesi, Serbia e Germania) e ora chiude le frontiere. Sono inesorabili i dati raccolti nella mappa del network World conflict maps, aggiornata al 22 marzo 2016: come valori assoluti lo Stato turco accoglie di gran lunga più di tutto il territorio europeo messo assieme, mentre in rapporto al numero di abitanti di una nazione è il Libano, prima di Giordania, Serbia e Turchia, ad avere l’impatto numerico più elevato.

La fuga nello Stato turco, essendo Paese confinante, è la strada più naturale per chi vive a Nord della Siria, dove tutti i profughi sperano di rientrare, prima o poi. Ma la cessazione delle ostilità è una prospettiva ancora troppo irreale. “A scappare verso la Turchia sono soprattutto persone che vivevano in zone controllate dai ribelli e bombardate dal regime di Bashar al Assad”, spiega Alberto Savioli, archeologo che oggi fa la spola tra Iraq e Italia occupandosi di ricerche sulle tribù beduine dopo avere vissuto 15 anni in Siria – fino al 2010, pochi mesi prima dello scoppio delle ostilità – collaborando anche a un progetto legato alle rovine di Palmira e, in un'altra occasione relativa a una riserva protetta, entrando in relazione con la Fondazione della moglie del presidente-dittatore siriano. “Certamente in Turchia c’è anche chi è fuggito da Isis, ma in misura minore, perché lo Stato islamico sottopone gli abitanti delle città controllate a un rigido controllo per evitare lo spopolamento”, specifica, “ne ho testimonianza diretta avendo conoscenti che vivono in quelle zone: per esempio, una persona si era recata da un paesino alla città di Raqqa con l’obiettivo di chiedere i permessi per uscire dallo Stato, ma è stato messo in prigione, e solo l’intervento amichevole di un combattente Isis suo compaesano che l’ha riconosciuto e ha testimoniato a suo favore – accreditando il fatto che si fosse spostato a Raqqa per visitare un parente, cosa che lui sosteneva come copertura – gli ha permesso di uscire di prigione, con l’obbligo di ritornare al suo villaggio”.

A sud della Siria, invece, “sono fuggiti verso il Libano – che ospita il 18% dei rifugiati, ovvero 1,3 milioni di persone a fronte di una popolazione di 5 milioni – i sunniti delle montagne del Kalamun, luoghi dove c’è uno stato di guerra permanente e i villaggi sono presi di mira sia dalla fazione ribelle fondamentalista legata ad Al Nusra come dal regime”. In Giordania la cifra si attesta sull’11%, “ma da tempo le frontiere sono chiuse”; mentre in Iraq c’è il 4% dei rifugiati siriani, “soprattutto curdi dato che si è nel Kurdistan iracheno”. La prospettiva dell’Arabia Saudita (2%)? “Pochissimi cercano di andarci, sapendo che è uno Stato dove i musulmani moderati avrebbero difficoltà a vivere e anche perché per raggiungerla servirebbe un visto per il passaggio aereo”.

Più in là della Turchia, ecco il mar Mediterraneo e, per chi sopravvive al viaggio della speranza in barca, le porte della Fortezza Europa. “Porte chiuse che non fanno di certo onore all’Unione europea: dove sono i valori universali con i quali ci si è riempiti la bocca per decenni?”, si chiede Savioli. “Ora che c’è da metterli in pratica nel concreto non valgono più? Stiamo parlando di persone che scappano da una guerra”. In cima alla lista degli Stati europei che accolgono – sia in termini assoluti che in rapporto alla popolazione locale – c’è a sorpresa uno degli ultimi entrati, la Serbia, con poco più del 5%. Poi la Germania con meno del 4% e la Svezia con quasi il 2%. Il resto? Tolto l’1% abbondante dell’Ungheria, tutti gli altri Stati vanno dallo 0,5% in giù. L’Italia, per dirla tutta, non rientra nelle percentuali minime della tabella, ovvero è sotto lo 0,1% (il Brasile, con lo 0,15%, fa meglio). “I siriani, ma questo si sa da tempo, non vogliono fermarsi qui. Sanno che troveranno migliori opportunità altrove”, conclude Savioli.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA