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Stefano Rho: “Io, quella pipì, il ritorno a scuola e le parole di mia figlia”

Giovedì 7 aprile 2016: torna dietro la cattedra il professore licenziato per avere omesso nell'autocertificazione - in buona fede, come riconosciuto ora anche dalla giustizia - una precedente multa per una vicenda sfortunata accaduta nel 2005. Del suo caso si è parlato nelle scorse settimane in tutti i giornali e le televisioni d'Italia: "ora spero che ritorni la mia vita normale. Ma conserverò sempre la solidarietà ricevuta, così come aiuterò chi si trova in situazioni come la mia: non sono pochi".

di Daniele Biella

La torta e gli applausi, le strette di mano e gli abbracci: ieri, giovedì 7 aprile 2016, studenti e professori del liceo Falcone di Bergamo hanno accolto così il professore oggi più famoso d’Italia nel suo 'primo' giorno di scuola: Stefano Rho, 44 anni, docente di filosofia finito su tutti i giornali e in televisione come “quello della pipì”, protagonista suo malgrado di una vicenda kafkiana che l’ha portato, all’indomani dell’immissione in ruolo dopo 16 anni di attesa, a essere licenziato per non avere dichiarato che, anni prima, aveva ricevuto una condanna pecuniaria per averla fatta a ridosso di un cespuglio, una notte di festa paesana del 2005.

Sono stranito, confuso. Non è stato facile questo periodo, mi sembrava di essere finito dentro una novella del Boccaccio. Ho pensato: tornerà mai normale la mia vita? Poi però ieri, entrato in classe, ho ripreso a insegnare e tutto è tornato così normale, al proprio posto”. Non è persona da riflettori Stefano (nato in Uganda mentre i genitori erano là come cooperanti in ambito medico, dove ha vissuto fino a 5 anni e poi dai 10 ai 12, per poi di tornare nel bergamasco, a Piazza Brembana), nemmeno ora che ha vinto la sua battaglia, al termine di una conciliazione con l’Avvocatura di Stato è stato immesso di nuovo in ruolo, in cambio del ritiro del suo ricorso. Ora spera prima possibile di voltare pagina, anche perché trovarsi a casa disoccupato con moglie e tre figli piccoli (due femmine, 8 e 3 anni, e un maschio di un anno) non è stato per nulla piacevole. “La verità è che all’inizio mi sentivo in colpa, fare il professore è sempre stato il mio lavoro, non riuscivo a immaginare altro”, spiega. Poi è intervenuta Maddalena, compagna di vita e guida per uscire dalle pagine boccaccesche e tornare nella realtà: “è lei che mi ha convinto a combattere, facendomi capire che mi trovavo davanti a una battaglia di giustizia, per me ma non solo, perché poi ho scoperto che solo a Bergamo, e solo quest’anno, ci sono almeno 50 persone in situazioni analoghe, figuriamoci in Italia”. Analoghe in che senso? “Licenziate per avere dichiarato il falso a loro insaputa, per colpa di un meccanismo sbagliato, un vulnus legislativo: noi dobbiamo certificare l’assenza o presenza di condanne, ma il casellario giudiziale che ci viene mostrato su richiesta è vuoto, mentre l’Amministrazione giudiziaria ha accesso a un altro casellario dove sono riportate altre informazioni con le condanne”.

La buona fede di Stefano, che al momento dell’autocertificazione non ricordava “quella multa pagata per mettere una pietra sopra al fatto della pipì” (se l’avesse inserita, tra l’altro, sarebbe risultata ininfluente per l’immissione in ruolo), è stata rilevata “da ogni funzionario che ho incontrato, dispiaciuto per la sentenza della Corte dei conti, così come da amici, colleghi e studenti”. Proprio gli studenti delle sue classi sono stati i protagonisti di quell’azione di lotta civile che ha trasformato la storia nascosta di un umile professore di Bergamo in un fiume in piena capace di travolgere d’empatia tutta l’Italia: “la reazione nata dal basso è stato l’aspetto più significativo di questa vicenda: ragazzi e ragazze della mia scuola come di altre che hanno alzato la voce, organizzando una manifestazione di piazza, scrivendo una lettera al presidente Mattarella. Poi i colleghi professori, che hanno scritto sia al ministro della Funzione pubblica che all’omologo dell’Istruzione, e hanno anche raccolto un mese di stipendio…”. Studenti e docenti uniti in una battaglia che riempiva di senso la parola 'legalità' tante volte affrontata durante le lezioni, "fatta di giustizia e non di applicazione cieca delle leggi". La solidarietà clamorosa ricevuta ha lasciato Stefano prima frastornato e ora, a vicenda conclusa positivamente, stupefatto: “vengo riconosciuto per strada, le persone mi stringono la mano. C’è chi ha aperto blog e pagine facebook per la mia causa in ogni angolo d’Italia. Grazie a tutti”. Pochi giorni fa l’incontro più bello: quello con una signora 70enne, per strada, in un paese lontano da Bergamo: “mi ha fermato e mi ha detto: ‘Abbiamo vinto’. In quella parola, ‘abbiamo’, ci ho visto tutto”.

Ora, poco alla volta, si spegneranno i riflettori. “E va bene così, per me. Ma non deve essere altrettanto per tutti gli altri che si trovano nella stessa situazione per vicende pazzesche, come quella di una bidella che ha perso il posto per colpa di un assegno post datato di 30 anni prima. Li appoggerò, così come lo stanno facendo in tanti, compreso un deputato, Antonio Misiani, e altri politici che stanno preparando un testo per cambiare la norma e avere l’accesso al casellario giudiziale giusto, così da superare questo problema assurdo”, sottolinea Stefano, che non dimenticherà mai le parole di sua figlia più grande, 8 anni, quel giorno al ritorno dalla manifestazione per il padre in cui era andata con mamma, sorella e fratello: “papà, era incredibile, tutti ripetevano il tuo nome. Ho capito una cosa: ogni volta che c’è un’ingiustizia verso altre persone, noi dobbiamo manifestare!”.

Nella foto Stefano Rho è in basso nel mezzo, attorniato da un gruppo di studenti


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