Welfare & Lavoro

Consolo: «Più che direttori, voglio grandi imprenditori»

Dopo la chiusura dei primi Stati Generali dell’esecuzione penitenziaria intervista al capo dell’amministrazione penitenziaria. Che sugli internati negli Ospedali psichiatrici giudiziaria rivela: «Ce ne sono ancora 84 e non posso dire quando arriveremo a zero: dipende dalle Regioni»

di Redazione

Si è chiusa ieri nel carcere di Rebibbia la due giorni degli Stati generali dell’esecuzione penale». I primi mai tenuti in Italia (qui il documento finale) Qualche giorno fa invece il XII rapporto di Antigone sulle condizioni detentive in Italia (tutti i numeri li trovate qui) aveva riacceso l’allarme sul sovraffollamento. Vita.it fa il punto con Santi Consolo, capo dell’amministrazione penitenziaria dal dicembre 2014. Partendo da un tema che gli sta molto a cuore: il ruolo dei direttori, che non dovranno più concepirsi esclusivamente come guardiani dei loro penitenziari, ma come veri e proprio imprenditori.

Lei ha parlato di “piccoli imprenditori”. In che senso?
Se ho detto piccoli imprenditori è perché forse avevo in mente il dinamismo nei piccoli istituti. Però vorrei dei grandi imprenditori, perché recuperare alla società civile delle persone detenute è un successo enorme al di là dei vantaggi economici. L’idea di fondo che già abbiamo in parte realizzato con il 2015 è che ciascun direttore, in collaborazione con tutto il personale amministrativo e con la Polizia penitenziaria che in questo versante sta dando un validissimo aiuto, cominci a capire come dentro ogni istituto possa impegnare in attività lavorative e produttive i detenuti. E la risposta per il 2015 è stata buona. Con la sola Cassa delle Ammende abbiamo approvato quasi 270 progetti a fronte di circa 400 presentati. In questo modo abbiamo dato lavoro a 1.400 detenuti in più. Oggi il 29% dei detenuti lavora. I detenuti impegnati nella gestione quotidiana degli istituti sono circa 10.700 però poi ci sono detenuti che svolgono anche attività nelle nostre colonie agricole e detenuti impegnati nei laboratori: falegnamerie, calzaturifici, sartorie e tipografie. Il problema è l’entità delle somme da destinare al pagamento degli stipendi : queste somme non sono bastevoli allo stato e tanto più in futuro visto che vorremmo ulteriormente implementare queste attività. Che, fra l’altro, consentono economie di scala importanti.

Per esempio?
Pensiamo alla produzione di pasta o di pane. In ogni carcere c’è una domanda costante di questo genere di bene. Io dico: se noi ci mettiamo nelle condizioni di produrre in proprio senza comprare da fuori risparmiamo risorse che possiamo orientare all’acquisto dei macchinari necessari e alla formazione dei detenuti che in questo modo imparerebbero un lavoro.

Perché allora non pensare anche a vendere i vostri prodotti all’esterno?
Non credo sia fattibile in questo momento. servirebbero competenze amministrative di cui non disponiamo e non credo ci siano i margini per poter procedere a nuove assunzioni.

C’è un carcere che secondo lei può essere un modello in questo senso per come lei immagina questo sistema?
Di modelli ce be sono diversi: penso Bollate, di cui si parla spesso, ma anche Sant’Angelo dei Lombardi è un ottimo punto di riferimento. Chi lo ha visitato sa che quasi non sembra di essere in carcere.

L’ultimo rapporto di Antigone rivela come sia i tassi di affollamento carceraria abbiano di nuovo cominciato a crescere. Già oggi siamo ben oltre i limiti di legge. È preoccupato?
Si questo fronte ci dobbiamo intendere. Se noi facessimo delle proporzioni con i parametri medi che adottano in Europa, avremmo un numero di posti detentivi pari o superiore alle persone che sono effettivamente ristrette nei nostri istituti. Detto questo le posso dire che noi monitoriamo a livello centrale queste presenze e cerchiamo – nel rispetto dei vincoli di territorialità dei detenuti – di perequarle su tutto il territorio nazionale. Rispetto alle stanze dedicate al pernottamento è possibile che in qualche occasione vi siano spazi un po’ inferiori rispetto ai parametri che rigorosamente ci siamo dati, però quello che conta – e che anche a livello giornalistico andrebbe evidenziato – è che abbiamo attuato tante iniziative di custodia aperta che consentono la permanenze fuori dalla stanza per un periodo di 8-10 ore nell’arco della giornata. Abbiamo attuato e garantito questo modulo custodiale al 95% delle persone ristrette nei nostri istituti. Durante il giorno si sta fuori, si fa altro, ci si muove. Poi se si dorme in uno spazio un po’ più ristretto dove comunque sono garantiti areazione e servizi igienici adeguati penso che queste siano condizioni che spesso si riscontrano anche nelle abitazioni private di ogni cittadino.

Ancora oggi negli Opg risultano 90 internati. È un dato che le torna?
A fine marzo a me risultavano 84 internati (ma meglio choamarli pazienti) dei quali 26 provvisori (24 uomini e 2 donne): per cui siamo già a un numero nettamente inferiore a quello che avevamo inizialmente al momento della entrata in vigore della legge. L'obiettivo è consegnarli alle Rems man mano che si rendono operative.

Entro quando arriveremo a zero internati?
Questa previsione non posso farla perché la realizzazione delle Rems dipende dalle Regioni e non dalla nostra amministrazione. Secondigliano però l’abbiamo già chiusa mentre Aversa dovrebbe chiudere entro fine mese. Queste strutture saranno riconvertire in carceri a custodia attenuata con una particolare attenzione a quelli che possono essere i nostri detenuti con una qualche disabilità mentale. L’obiettivo è creare strutture d’eccellenza.


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