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Cooperazione & Relazioni internazionali

#endMGF, quando l’informazione diventa attivismo

The Guardian e Change.org, la piattaforma per le petizioni on line, lanciano la campagna internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, pratica che l’Onu ha sancito quale violazione dei diritti umani e che, secondo l’Unicef, colpisce oltre 125 milioni di donne e ragazze in 29 paesi dell’Africa e del Medio Oriente

di Mara Cinquepalmi

Informazione e attivismo insieme per mettere fine ad una pratica che l’Onu ha sancito quale violazione dei diritti umani e che, secondo l’Unicef, colpisce oltre 125 milioni di donne e ragazze in 29 paesi dell’Africa e del Medio Oriente. The Guardian e Change.org, la piattaforma per le petizioni on line, sono stati i protagonisti di #ENDFGM, la campagna internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (a febbraio vi avevamo raccontato i numeri delle mgf nel mondo) avviata dal quotidiano britannico nel febbraio 2014.

A due anni dal lancio e grazie ai risultati ottenuti, ora la campagna sta per ripartire con altre iniziative nelle prossime settimane in Kenya, Nigeria e Sierra Leone.

#endFGM è iniziata come una storia giornalistica, poi «il capo redattore – ha spiegato Mary Carson del Guardian intervenendo ad un incontro all’ultimo Festival internazionale del giornalismo di Perugia – ha stanziato un budget per portare all’attenzione del pubblico la questione con maggiore impegno. Non era una missione impossibile. Abbiamo dato visibilità a quanto già gli attivisti stavano facendo».

Sostenuta da Change.org, la campagna ha dato maggiore visibilità alle mutilazioni genitali femminili grazie anche alla collaborazione con gli attivisti nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Kenya e in Gambia, dove si è tenuto anche un workshop per giornalisti e dove poi qualche mese più tardi il governo ha vietato le mgf grazie anche alla campagna.

«I lettori del Guardian – ha spiegato Elisa Finocchiaro, direttrice di Change.org Italia – sono stati spinti a firmare la petizione, quindi si è innescato un circolo virtuoso».

Dopo la petizione della diciassettenne Fahma Mohammed, testimonial della campagna in Inghilterra che ha convinto il Ministro dell’istruzione, e l’adesione del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, la campagna è arrivata fino negli Stati Uniti. Qui Jaha Dukureh, attivista gambese sopravvissuta alla mgf e che ora vive ad Atlanta, ha avviato nel luglio 2015 una nuova petizione coinvolgendo le comunità locali.

«La petizione – ha raccontato Jaha – mi ha dato forza. Non ero pronta a espormi. Change mi ha aiutato a fare lobby e a farmi ascoltare dalle autorità del Gambia. Tutti hanno l’obbligo morale di fermare le mgf». La storia di Jaha è diventata un documentario, coprodotto dal Guardian, in uscita a giugno e che poi sarà tradotto in altre lingue per diventare strumento di sensibilizzazione sul tema nei paesi dove arriverà la campagna.

«Al pubblico – ha detto la giornalista Mary Carson a Perugia – non basta leggere una storia. Vuole agire e non essere sopraffatto dall’informazione».


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