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«Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione»

È il titolo dell'incisivo libro appena uscito per Laterza e scritto dai docenti universitari con decenni di esperienza sul tema Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna. Ecco punto per punto le 10 informazioni da cui partire per poi farsi delle opinioni immuni da luoghi comuni

di Daniele Biella

Basta opinioni, più informazioni. Questo il messaggio, chiaro e tondo, che Stefano Allievi, professore di sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa dell’università di Padova, e Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia presso la medesima sede universitaria, veicolano nel loro libro pubblicato di recente da Laterza editori, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’IMMIGRAZIONE. “E’ da almeno 25 anni che ci occupiamo a tutto campo del tema: serve fare chiarezza dire le cose come stanno, smetterla di essere presa di opinioni dilettantesche che passano anche in televisione”, sottolinea a Vita.it Allievi. “E’ un lavoro necessario, che va compiuto pezzo per pezzo, aspetto per aspetto”. Di seguito, l’abbiamo fatto, assieme allo stesso autore. Ecco, in brevi pillole, il cuore di tutto quello che non è mai stato detto sui fenomeni migratori, ampiamente spiegato nel libro, che nei primi giorni di vendita sta registrando un ottimo riscontro.

1. Demografia
I dati veri – non le proiezioni – li abbiamo già sottomano ma non ci siamo accorti della loro portata: da qui al 2050, l’Unione europea perderà 3milioni di lavoratori all’anno nella fascia 18-64 anni. Di questi, almeno 300mila all’anno in Italia. La domanda è: come vengono rimpiazzati, siamo sicuri che non serva la manodopera in arrivo dall’estero? Sì, serve. “Di fonderci insieme già l’ora suono”, recita, del resto, l’inno di Mameli. E se scegliessimo di non accettare questo nuovo innesto? Ci troveremmo di fronte a un grande rischio: guardiamo al Giappone, immigrazione zero ma un grosso punto di domanda sul futuro demografico del Paese.

2. Economia
Altro che portare via il lavoro agli italiani: una maggiore presenza di stranieri porta più investimenti e fa girare di più l’economia. Guardiamo la Germania, che da anni sta puntando sulla manodopera straniera e che ha cifre di poco maggiori rispetto all’Italia (10% di stranieri sul territorio, contro il nostro 9% ), oggi locomotiva d’Europa. Il perché è davvero semplice: mettiamo che arrivino anche solo 100 persone in più in una cittadina di piccole-medie dimensioni: quante classi in più attivo per i minori grazie al maggior numero di presenze, e quindi quanti maestri in più colloco? Quanti medici di base in più? E l’aumento di lavoro delle imprese edili per fare loro le case? Infine, gli introiti dei negozi? Badiamo bene: si tratta di un ragionamento razionale, freddo, basato su dati concreti.

3. Carcere
Gli immigrati hanno una particolare devianza nel delinquere? Il 32% di presenze straniere in cella porterebbe a pensarlo. Ma se togliamo uno dopo l’altro gli strati di buccia alla tesi, capiamo che molte persone sono “dentro” per reati minori, come quelli collegati al permesso di soggiorno, o resistenza a pubblico ufficiale. Ancora, per spaccio o piccoli furti: sono reati anch’essi, certo, ma se soppesiamo il dato iniziale con il fatto che solo il 5% dei condannati all’ergastolo è straniero, la percezione cambia. Anche gli italiani nelle Americhe all’inizio erano tra i più delinquenti, ma poi a fianco di Al Capone è arrivato anche Joe Petrosino, ovvero il poliziotto che l’ha arrestato. All’inizio i tassi sono più alti, insomma, ma via via scendono, di pari passo con l’integrazione.

4. Scuola
Nel 2001 gli alunni non italiani erano 196mila, il 2,2%, nel 2015 siamo arrivato a 803mila, il 9%. È dimostrabile che la scuola è peggiore se ci sono tanti studenti immigrati? No. Perché invece non ribaltare il ragionamento? Ovvero, guardiamo alla presenza di stranieri nel calcio, nelle multinazionali, all’università – dove la percentuale di stranieri diminuisce ma spesso la media dei voti è molto più alta della media italiana, così come le motivazioni a far bene – siamo sicuri che sia un problema? Qualche dubbio l’avrei.

5. Rifugiati
L’arrivo di rifugiati? Non è più una emergenza, è un fenomeno strutturale, che durerà almeno un altro decennio. Ci vuole quindi una strategia: in mancanza di quella europea, e pur in presenza di iniziative della società civile di corridoi umanitari, che sono ottime esperienze ma per grandi numeri potrebbero non trovare presa, guardiamo alle comunità locali: in Germania come in alcune esperienze già in atto in Italia, dove ci sono comunità motivate all’accoglienza, il rifugiato diventa una risorsa (vedi il punto 2, legato all’economia). Serve però un grande investimento nazionale nell’accoglienza, in termini di professionalità diffusa. Poi i meccanismi della società faranno il resto: guardiamo all’immigrazione dal Meridione negli anni ‘60, c’erano giorni che arrivavano a Milano o Torino anche 700 persone al giorno. È stata una tragedia? No, la cosa si è risolta da sola, senza clamori.

6. Africa
Aiutarli a casa loro? Magari, anche perché l’Agenzia Frontex costa decine di milioni di euro all’anno e comunque ci fa litigare tutti quanti sul proprio operato. Ci vorrebbe un vero Piano Marshall per il continente africano, per fare crescere i singoli stati almeno a due cifre: solo in quel momento si fermerebbe l’emorragia delle partenze. Attenzione che i segnali per cui un’azione in tal senso potrebbe funzionare ci sono: sono sempre di più le aziende, anche italiane, che investono nell’africa subsahariana. Senza la mentalità dello sfruttatore che vuole solo far soldi, piuttosto quella dell’imprenditore che investe in un ambiente dinamico e con grossi potenziali. Questa è una strada da percorrere, ora, con una collaborazione sempre maggiore tra realtà non profit e profit, anche con l’aiuto delle istituzioni, senza paura di sporcarsi le mani, in particolare per chi fa cooperazione.

7. Cittadinanza
Almeno 500mila persone aspettano la riforma della cittadinanza per diventare “nuovi cittadini” italiani. Ma questa riforma continua a essere rinviata, e loro non aspetteranno in eterno: le seconde generazioni di oggi si candidano alle amministrative, hanno due lauree in tasca, nonostante questo continuano a sentire frasi come “ci fate schifo”, “no alla moschea”. Ebbene, molti sono amareggiati e stanno pensando che, in fondo, quella cittadinanza non è così fondamentale, e forse il loro sapere e attivismo cittadino si trasferirà altrove. Ricevo molti input in questo senso dagli studenti, ed è una cosa negativa per tutti. Stiamo perdendo un’occasione irripetibile.

8. Tratta
Dal 1999 la Svezia punisce i clienti e non chi si prostituisce. Poi anche Islanda, Norvegia e Francia hanno fatto lo stesso, e nel 2014 l’Unione europea ha sancito l’efficacia del modello con una direttiva. In Italia il ragionamento può essere maturo, al di là delle ideologie e soprattutto superano i moralismi. Questo porterebbe a una diminuzione della tratta più che la liberalizzazione e quindi il ritorno alle case d’appuntamento, per esempio. La stessa liberalizzazione, invece potrebbe favorire il moltiplicarsi dei bordelli e quindi delle mafie e l’indebolimento della condizione delle prostitute, con lo stesso ragionamento per cui la liberalizzazione del gioco d’azzardo porterebbe alla rovina migliaia di persone.

9. Islam
Vogliamo liberarci dai cattivi, dai terroristi, dai tagliagole? Investiamo in diritti e libertà di culto, ingaggiando come alleati proprio gli stessi utenti delle moschee, anziché demonizzarli indiscriminatamente come avviene anche a livello di politiche regionali, vedi i casi di Lombardia e Veneto. Perché dico questo? Perché oltre a rappresentare un vulnus legislativo, questo atteggiamento fa perdere invece la convenienza di 1,6 milioni di persone, nel caso dei musulmani in Italia, che vivono il fondamentalismo islamico come vivevamo noi le Br, ovvero rifiutandolo in toto. Allora non avevamo chiuso le sedi della Cgil, oggi non dobbiamo chiudere le moschee, anche perché, dati alla mano, i foreign fighters intercettati finora operavano isolati, anzi in alcuni casi erano stati allontanati dai luoghi di culto, quando li frequentavano.

10. Pluralismo culturale
Pensiamo agli stranieri come un’unica entità, immutabile? Sbagliato. Prendiamo la ricerca nazionale Itagen2, compiuta su 10mila ragazzi tra 11 e 14 anni stranieri viventi in Italia e altrettanti pari età italiani: l’88% degli stranieri e il 95% degli italiani considera i compagni di classe, senza distinzione di provenienza, importanti nella propria quotidianità. Pur con differenze legate all’età dell’arrivo in Italia – più tardi si arriva, più è bassa la percentuale – in molti indicatori la differenza tra italiani e stranieri è poca, segno che pur rimanendo le distinzioni religiose e culturali, la quotidianità è simile. Così come le aspirazioni: l’81% di ragazzi stranieri nati in Italia pensa l’istruzione fondamentale per “riuscire” nella vita. La percentuale degli italiani? La stessa.


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