Cooperazione & Relazioni internazionali

Regolamento di Dublino: fumata nera, l’ipocrisia rimane

C’era molta attesa per la presentazione da parte della Commissione europea dei passi di revisione del controverso strumento legale che regola l’accesso dei richiedenti asilo in Europa. Attesa delusa: “Poco cambia, e soprattutto non è stato ascoltato il Parlamento, che in una relazione approvata a maggioranza un mese fa aveva indicato la via per risolvere i problemi legati alle migrazioni forzate in modo strutturale e non emergenziale”, indica l’europarlamentare Elly Schlein, intervistata da Vita.it

di Daniele Biella

Sgomento, che si aggiunge ad anni di sconforto. È stata questa la reazione di buona parte della società civile alla notizia arrivata nella serata di mercoledì 4 maggio da Bruxelles: la Commissione europea nella sua proposta di revisione del Regolamento Dublino III, documento che indica i criteri per gestire le richieste di asilo di chi entra nell’Unione europea, ha partorito un topolino. Doveva essere il gran momento, dopo lunghe attese e annunci, invece niente da fare: “Non è assolutamente la risposta che ci aspettavamo”, sottolinea chiaramente Elly Schlein, parlamentare europea del gruppo S&D (Socialisti e democratici) nominata come una delle relatrici ombra del testo di revisione di Dublino che l’Europarlamento dovrà ora discutere e negoziare partendo dalla proposta della Commissione.

Perché non è soddisfacente la quarta proposta di revisione di Dublino della Commissione europea?
Perché non tiene conto della relazione che abbiamo approvato a larga maggioranza non più tardi di un mese fa in Parlamento, a firma Kyenge-Metsola: indicavamo un approccio olistico al problema che si basasse su un sistema di asilo europeo centralizzato e l’apertura di vie legali e sicure di accesso all’Europa, ma nessuna delle due azioni è stata fatta propria dalla Commissione. Anzi, nel primo caso rimane l’ipocrisia originaria, ovvero non si supera l’obbligo del migrante di chiedere asilo nel primo paese di accesso: un procedimento negativo che ha portato sei Stati membri – Italia compresa – su 28, a ricevere l’80% delle richieste, mettendo in estrema difficoltà il sistema di accoglienza.

Cosa propone la Commissione nel bocciare un sistema di richiesta di asilo centralizzato?
La responsabilità sull’esame delle richieste permane in capo al Paese di primo accesso, senonché solo quando uno Stato membro ricevesse una quota sproporzionata di richieste scatterebbe la procedura di distribuzione in altri Stati. Un mero calcolo, insomma: se il numero di richieste supererà il 150% della quota stabilita dalla Ue per ciascun Paese sulla base della popolazione e del Pil, le persone arrivate in eccesso verranno ricollocate in altri Stati membri allo scopo di presentare la richiesta d’asilo.

Se uno stato si dovesse rifiutare di accogliere?
Secondo la Commissione può farlo portando le proprie motivazioni, ma dovrà pagare un corrispettivo di 250mila euro per ogni rifugiato non accolto. Un principio cosiddetto di “solidarietà finanziaria” che, però, si basa su un concetto molto controverso: si possono davvero monetizzare solidarietà, diritti e doveri che discendono dai nostri stessi Trattati Ue, basati sul dovere di condivisione dei problemi e aiuto reciproco?

Nessun elemento positivo nella proposta della Commissione?
Qualcuno sì: per esempio nel nuovo meccanismo di ricollocamento rientrerebbero tutte le persone che chiedono protezione internazionale, senza più creare discriminazioni sulla base della nazionalità come avveniva nello schema emergenziale approvato l’anno scorso. Le richieste d’asilo devono venir esaminate individualmente.

Quello che, secondo quando denuncia ampia parte della società civile, non sta avvenendo negli hotspot, i centri di identificazione in Italia e Grecia dove migliaia di persone lasciano le impronte per poi, in particolare chi proviene da paesi non apertamente in conflitto, essere lasciati con un foglio di via in mano…

Sì, si tratta della pratica del respingimento differito ed è in aperta contraddizione con il diritto d’asilo indicato dalla Convenzione di Ginevra: ognuno deve essere messo in condizioni di richiedere asilo e vedere esaminata la propria domanda. Negli hotspot sono presenti storture che ho visto direttamente in una visita recente a Lampedusa, sia dal punto di vista dei diritti della persona, sia dal punto di vista procedurale, dato che a molti migranti non venivano date le informazioni basilari su come chiedere asilo. In questo senso c’è moltissimo da lavorare: come parlamentari europei dobbiamo rimboccarci le maniche ancora una volta, non sono bastate le tre votazioni in un anno – l’ultima delle quali sulla relazione Kyenge-Metsola – a favore di un approccio unitario e umanitario dell’Unione Europea.

Trova un motivo per cui la Commissione non ha seguito le indicazioni del Parlamento?
La Commissione purtroppo paga l’egoismo dei governi europei. Manca il coraggio di affrontare insieme la sfida. Coraggio che da parte della Commissione c’è stato l’anno scorso nel promuovere l’Agenda europea sulla migrazione, che in particolare dopo l’ulteriore atroce tragedia del mare del 18 aprile scorso, con 900 persone morte o disperse, aveva fatto un passo deciso verso l’approccio olistico, aumentando anche l’impegno di mezzi e di fondi per migliorare la situazione. Ora invece la Commissione non riesce ad andare contro l'azione egoista di alcuni Paesi, che vengono meno agli obblighi giuridici e morali dell’Europa unita. Ci si affida quindi a goffe azioni di esternalizzazione delle nostre responsabilità, vedi l’accordo tra Ue e Turchia – promosso dalla Commissione e dai governi europei con una decisione che non ha coinvolto il Parlamento – piuttosto che a soluzioni interne e lungimiranti.

Come agire di fronte a una situazione attuale quantomeno disarmante?
Bisogna ribadire in ogni sede che siamo di fronte a un fenomeno strutturale, non più solo emergenziale. Come rappresentanti continueremo a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione, come europei dobbiamo dimostrarci degni dell’Europa che vogliamo, e quindi agire di conseguenza. A breve, medio e lungo termine: nel breve periodo con una risposta umanitaria efficace, in questo senso qualche passo avanti è stato fatto, sia rafforzando l’Operazione Triton che oggi compie attività di Search & Rescue in mare, sia estendendone il mandato operativo dalle 40 miglia iniziali alle 138, e pure con lo stanziamento da parte della Commissione di 700 milioni di aiuti umanitari dentro l’Ue verso ong impegnate nell’accoglienza nei Paesi in prima linea. Nel medio termine bisogna tenere una linea forte che chieda la revisione di Dublino nei termini che dicevamo – rinegoziando la proposta della Commissione a partire dalla questione del primo paese d’accesso – e l’introduzione effettiva dei corridoi umanitari, le vie legali di accesso necessarie, oltre a evitare alle persone il viaggio in mare, a stroncare il business dei trafficanti. Infine, nel lungo periodo, si tratta di lavorare sulle cause profonde delle migrazioni: i conflitti, i cambiamenti climatici, le diseguaglianze globali ci mettono in gioco, e sono necessarie politiche europee coerenti: migratorie, estere, di cooperazione allo sviluppo, commerciali e fiscali che lavorino nella stessa direzione e con un unico fine comune, per il bene di tutti.


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