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Cooperazione & Relazioni internazionali

Europei 2016, è record: un giocatore su tre è di origine straniera

Sono 156 su 552 i componenti delle 24 squadre nazionali che sono nati in un Paese diverso da quello per cui indossano la casacca oppure hanno genitori o antenati immigrati: non sono stranieri, sono cittadini come tutti gli altri. E con le loro azioni di gioco fanno esultare di gioia molti di quei connazionali che poi, nell'Europa dei muri, si schierano contro i profughi

di Daniele Biella

Gli Europei 2016 di calcio un record l’hanno già battuto. O forse meglio dire che hanno abbattuto un muro, visti i tempi i cui alcuni Stati ergono barriere a “difesa” dei propri confini dai migranti: mai così tanti calciatori di origine straniera – figli o nipoti di immigrati dall’estero, o immigrati e naturalizzati loro stessi – militano nelle 24 squadre che si contendono l’importante trofeo internazionale. Sono 156 su 552.

Sgomberiamo il campo dagli equivoci: non parliamo di “stranieri”, ma di persone che vivono, lavorano e in buona parte dei casi sono nate in quei paesi. Hanno cognomi diversi dalla consuetudine, ovviamente – Ogbonna, El Sharaawi, Eder, solo per stare nei confini italiani – ma questo interessa solo all’anagrafe. Hanno lineamenti diversi (ma chi non li ha?), se non il colore della pelle, se proprio vogliamo vederla dal lato estetico. Ma quello che più conta è che sono cittadini della nazione che rappresentano, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali. Tra cui le decine di migliaia di tifosi che urleranno, gioiranno o rimarranno delusi con loro, a seconda del risultato.

Iniziamo dai numeri: ecco a questo link una tabella interattiva più che dettagliata, divisa prima per squadre poi per tipologia di immigrati (giocatori stessi, loro genitori o loro antenati). I risultati sono sorprendenti su più livelli: 156 su 552 significa il 28%, quindi in una rosa di 23, la media è di 7 per squadra. Solo la Romania non ne ha nessuno, mentre a quota uno si fermano Islanda, Repubblica Ceca e Slovacchia. In cima alla lista, invece, ben nove squadre hanno almeno 10 giocatori di origine straniera: Francia (la squadra ospitante) al top a quota 15 – il 65% del totale – seguita da Svizzera con 14, Albania e Belgio con 13, Inghilterra e Portogallo con 12, Galles, Irlanda e Germania con 10.

L’impatto più stupefacente finora è stato quello di ieri sera: tra Albania e Svizzera erano 15 i giocatori in campo non di “discendenza autoctona” (27 su 46 compresa la panchina, tra cui anche persone di origine congolese, ivoriana, camerunense): 10 albanesi sono cresciuti in Svizzera, 5 svizzeri hanno origine albanese/kosovara. Tra questi, i due fratelli Xhaka – Granit e Taulant, nati da genitori emigrati dal Kosovo, il primo rimasto con la selezione elvetica, il secondo tornato in patria – un forte simbolo di quanto la concretezza superi tanti pensieri fuori luogo: loro sono figli di rifugiati, gli stessi rifugiati che ora l’Europa teme ma che di fatto contribuiscono con la loro qualità a rendere questo sport uno dei più belli del mondo. Anche a livello visivo: il famoso meme della foto dei Mondiali 2014 con la squadra Svizzera composta per otto undicesimi da fantasmi, in concomitanza con il referendum federale sulla stretta all’immigrazione, era diventato virale e ripreso da stampa e televisioni.

Ancora: se l’immigrazione africana o mediorientale fa paura, come spiegare i giocatori tedeschi di origine camerunense, senegalese, tunisina, turca (dice qualcosa il nome Mesut Ozil?), o anche albanese e polacca? E i francesi di origine congolese, senegalese, maliana, algerina, tunisina o addirittura discendenti di schiavi di Guadalupe o Isole Reunion (e guardando al recente passato, come dimenticare un certo rifugiato politico algerino, Zinedine Zidane)? Il Belgio – impegnato tra poche ore contro l’Italia – schiera i top player di origini maliane Dembelé e marocchine Fellaini, ma anche l’Austria, di recente sugli scudi per la vicenda della paventata chiusura del Brennero, fa giocare calciatori nati da genitori nigeriani, serbi, pakistani.

Se c’è un messaggio che arriva dagli Europei 2016 è questo: è ora di infrangere il tabù, la multiculturalità è un dato di fatto. Per non parlare dell’incrocio di religioni, dato che molti di questi giocatori sono musulmani. In tempi di paure legate a fondamentalismo, terrorismo e chiusura delle frontiere – fisiche e mentali – per una volta il tanto vituperato (vedi i danni degli hooligans, al 100% made in Europe) calcio da una lezione di melting pot a società civile e politica. Ora si tratta di apprendere. Anche perché, se prevalesse il sentimento opposto, c’è poco da dire: senza i 156 giocatori in questione, sarebbe tutt’altro Europeo.


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