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Gli azzurri di Conte? Una squadra da Csi

Vittorio Bosio, neopresidente del Centro sportivo italiano: «L'abbraccio di Giaccherini a tutta la panchina dopo la rete al Belgio è la fotografia di una nazionale dove la cosa che conta di più è il gruppo: «La capacità di coinvolgere tutti, anche chi è capace di stare solo in barriera deve essere anche la chiave per rilanciare la nostra realtà»

di Redazione

Oggi sarà davanti ai teleschermi insieme a 60 milioni di italiani per seguire la sfida degli azzurri a Ibrahimovic e soci. «L’abbraccio dopo il gol di Giaccherini al Belgio che ha coinvolto l’intera panchina è stata l’immagine di una nazionale dove quello che conta è il gruppo, una nazionale da Csi», esordisce Vittorio Bosio (il allegato il suo Cv), bergamasco, una vita con fischietto in bocca da arbitro «naturalmente del Csi, io sono uno che dentro l’associazione è nato e cresciuto» e dallo scorso 12 giugno nuovo presidente del Centro sportivo italiano dopo gli otto anni di reggenza Achini. Bosio, che guiderà il Centro (13.500 società affiliate e oltre un milione di tesserati) fino al 2020, è entrato nel Csi nel 1972. Da allora ha ricoperto molteplici incarichi nel comitato di Bergamo, di cui è attualmente presidente. A livello nazionale è stato vicepresidente dal 2004 ad oggi.

Io credo che dobbiamo riscoprire il format della polisportiva, dove tutti hanno la possibilità di sperimentarsi in diversi sport e da qui fare delle scelte. La pallavolo femminile per esempio sta guadagnando una popolarità molto vicina a quella del pallone. Poi ci sono gli sport individuali: il nuoto, il karate, il judo, il tennistavolo

Rivede nella nazionale di Conte alcuni valori tipici della vostra associazione?
Non conosco le dinamiche interne, ma certo questo è la nazionale del Gruppo. E il valore dle gruppo, il piacere dello stare insieme, sarà uno dei riferimenti centrali del mio mandato.

La campagna elettorale che ha portato alla sua elezione è stata in alcuni frangenti molto calda. Come si ritrova l’unità?
Alcuni passaggi del confronto hanno in effetti avuto toni enfatici che forse si potevano evitare. Ora però quella fase è conclusa, le simpatie e antipatie personali non devono inficiare un percorso di unità che dobbiamo svolgere insieme.

Quali sono le sue priorità?
Il primo punto, che viene prima anche di ogni riflessione sui gruppi dirigenti è la necessità di rilanciare l’attività giovanile partendo dai bambini e dai ragazzi. Lo sport non è di chi sa giocare, ma anche di chi sa solo stare in barriera. Uso volutamente un’immagine forte: noi dobbiamo lavorare soprattutto con gli scarti. Con chi in altri contesti non giocherebbe. Il primo obietto è il “fare”. Fissato questo punto, possiamo ragionare su quali siano gli strumenti per raggiungere l’obiettivo. Le faccio un esempio: la gestione di un impianto sportivo ha senso solo se è funzionale a far giocare i ragazzi e lo stesso principio vale per le attività di fundraising e di ricerca di sponsor.

Detto di Conte, il calcio rimane la disciplina più importante per voi?
Io credo che dobbiamo riscoprire il format della polisportiva, dove tutti hanno la possibilità di sperimentarsi in diversi sport e da qui fare delle scelte. La pallavolo femminile per esempio sta guadagnando una popolarità molto vicina a quella del pallone. Poi ci sono gli sport individuali: il nuoto, il karate, il judo, il tennistavolo.

Il suo predecessore, Massimo Achini, nella seconda fase del suo mandato si è speso molto sul versante del volontariato sportivo. Che ne sarà di questo progetto?
Proseguirà, senz’altro. Portare un pallone in certi contesti di estrema povertà significa portare felicità, ma anche far crescere i nostri giovani, che tornati da queste esperienze guardano il mondo con occhi diversi.


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