Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

A New York e Bruxelles, il meglio e il peggio dell’UE

Mentre a New York, Italia e Paesi Bassi mandano un bel segnale di unità europea spartendosi tra il 2017 e il 2018 – un anno a testa – un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a Bruxelles i capi di Stato e di governo europei, in grande difficoltà con il Brexit, danno il via libera a politiche migratorie estere molto orientate al controllo delle frontiere esterne e ai rimpatri. Sviluppo e investimenti passano in secondo piano.

di Joshua Massarenti

Dr Jeckyll e Mr Hide. E’ la doppia identità dell’UE. Nel bene e nel male. Ieri Dr Jeckyll è andato in scena a New York, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, mentre il suo alter ego discuteva di migrazioni a Bruxelles, nei corridoi austeri del Consiglio europeo. A New York, al termine di un voto maratona per assegnare i cinque seggi non permanenti del Consiglio di sicurezza per il periodo 2017-2018, l’Europa se ne salta fuori con una scelta sorpresa. Bolivia, Etiopia, Kazakhstan e Svezia sono già stati eletti. Manca un posto che spetta a una seconda nazione occidentale: Italia e Paesi Bassi finiscono in parità: 95 a 95. La delegazione italiana non ci pensa più di tanto e propone ai colleghi olandesi di spartirsi il seggio in due: all’Italia il 2017, anno in cui il nostro paese assumerà la presidenza di turno del G7, ai Paesi-Bassi il 2018. La staffetta viene ufficialmente annunciata dai due ministri degli Esteri (Gentiloni e Keonders) per sbloccare la “sfida dello spareggio” al Palazzo di Vetro.

Eppure, sui due posti che si contendevano l’Italia, l’Olanda e la Sevzia, Roma sembrava favorita. Purtroppo a passare al primo turno è Stoccolma, che supera la soglia dei due terzi dei voti necesssari (128) per essere eletta. Alle sue spalle spuntano i Paesi Bassi con 125 voti e solo al terzo l’Italia, con 113 voti. Il resoconto su questa maratona al cardiopalma lo trovate qui. Basterà sapere che, secondo voci di corridoio, l’Africa sosteneva l’Italia (per le vite africane salvate nel Mediterranee, ma anche per i viaggi del Premier Renzi e la conferenza ministeriale organizzata a maggio), mentre l’UE avrebbe votato compatta a favore dell’Olanda. Ma tant’è, secondo Gentiloni la decisione di occupare la poltrona in due staffetta “è stata una dimostrazione di unità dell’Europa”. Anche se la scelta iniziale di correre in tre anziché in due non è proprio segno di unità continentale, la decisione finale ha il merito di salvare la faccia all’Italia e all’Europa. In tempi di Brexit sembra quasi un’impresa.

Durante le stesse ore, dall’altra parte dell’oceano Atlantico, a Bruxelles l’UE dava ben altro spettacolo. Con il referendum del Regno Unito, che ovviamente ha monopolizzato quasi tutto il Vertice dei capi di Stato e di governo europei, ma anche sul tema delle migrazioni. Sarà che nei commenti post-Brexit esperti e analisti hanno giustificato la vittoria del “Leave” con le paure generate dai dibattiti sui migranti, fatto sta che gli Stati Membri adottano senza troppi tentennamenti il "nuovo quadro di partenariato per la migrazione" presentato dalla Commissione europea il 7 giugno scorso a Strasburgo durante la plenaria del Parlamento Ue.

Vita.it aveva definito questo piano “prezioso, ma fragile”, troppo orientato sulla sicurezza e poco chiaro sulle politiche di investimenti e di sviluppo, che poi sono le vere sfide che spettano l’Europa nei suoi rapporti con un continente come l’Africa da cui si spostano decine di migliaia di persone, per lo più giovani, verso l'Europa. Lo stesso governo italiano, per voce del suo Viceministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro, aveva puntato il dito contro un piano "che allontana l'Europa dall'Africa".

Da ieri sappiamo che al Consiglio europeo interessa soltanto, o quasi, la sicurezza e i rimpatri. Quanto meno sul breve termine e con un'ossessione: proporre risultati concret e tangibili sulle espulsioni per rassicurare l'opinione pubblica europea e tagliare le gambe all'estrema destra.

Senza sorpresa quindi, nelle conclusioni diffuse ieri sera gli Stati Membri sostengono che “la cooperazione sulla riammissione e sui rimpatri costituirà un banco di prova fondamentale del partenariato tra l’UE e i [paesi] partner”, tra cui Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia. Non solo: “muovendosi dalla communicazione della Commissione, l’UE attuerà rapidamente questo quadro, basato su efficaci incentivi e un’adeguata condizionalità”, con l’obiettivo principale – almeno sul breve termine – di “perseguire risultati misurabili quanto a rimpatri rapidi e operativi di migranti irregolari”. In altre parole: chi accetta di cooperare sulle politiche di rimpatrio, otterrà “efficaci incentivi” (prendiamo il senso ‘positivo’ del termine), mentre chi non coopera dovrà fare i conti con “un’adeguata condizionalità”, e cioè un taglio negli aiuti europei allo sviluppo.

Per far passare l’amara pillola, i capi di Stato e di governo evocano le “leve” finanziarie per attuare il nuovo piano d’azione, ma con che tempi nessuno ancora lo sa. Desta ancor più preoccupazione sapere che il modello da seguire è l’accordo UE-Turchia, grazie al quale ci ricorda il Consiglio europeo “le traversate dalla Turchia alle isole greche si sono ora quasi arrestate”. E lo sostiene nel giorno in cui Save The Children denuncia un accordo che “viola il diritto internazionale, le evidenze raccolte sul campo sono sempre più corpose”. A ruota, Medici senza frontiere assicura che “l’inasprimento delle misure di contrasto alle migrazioni, culminate nel recente accordo con la Turchia e con l'approvazione del Partnership Framework, oltre ad aumentare la sofferenza delle persone, sta mettendo in seria discussione il concetto di rifugiato e di protezione internazionale”.

Ciliegina sulla torta, segnaliamo che spetterà a Federica Mogherini implementare il nuovo piano d'azione. A Bruxelles, in tanti dicono che la Mogherini vorrebbe privilegiare le politiche di investimento, cercando nel contempo di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini europei, ma che sotto le pressioni di alcuni Stati Membri è stata costretta a fare buon viso a cattivo gioco. Il futuro ci dirà quali sono i suoi margini di manovra. Vista l'aria che tira, sembrano molto stretti.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA