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Prelevare organi nel deserto? Impossibile, ma è meglio vigilare

L'associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule pubblica l'intervento del direttore del Centro nazionale trapianti, Alessandro Nanni Costa: «Servono strutture, professionalità elevate, organizzazione ferrea. Non è qualcosa che può essere fatto nel deserto».

di Redazione

Organi prelevati ai migranti che non pagano i trafficanti di uomini. È uno scenario terribile e inquietante quello emerso dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia nell'operazione della polizia che ha portato ad individuare un'organizzazione ramificata per il traffico di migranti. Ma è importante ricordare – si legge in una nota pubblicata da Aido – che prelevare reni, fegato o altro non è come portare via un portafogli. «Servono strutture, professionalità elevate, organizzazione ferrea. Non è qualcosa che può essere fatta nel deserto», spiega il direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt), Alessandro Nanni Costa, che sottolinea come lo stesso procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, che ha coordinato le indagini, ha ampiamente chiarito la mancanza di riscontri del fenomeno.

«Per fare un prelievo di organi, che siano poi anche utilizzabili per un trapianto», precisa Nanni Costa «ci sono alcuni requisiti minimi: deve esserci una sala operatoria che garantisce una sterilità. L'eventuale vittima deve essere addormentata. È necessario poi un medico in grado di prelevare correttamente. Per assegnare l’organo, poi, è necessario un laboratorio di immunogenetica. E servono una serie di esami per valutare la compatibilità tra donatore e ricevente. L’organo, inoltre, deve essere trasportato in condizioni sterili e senza subire danni. Infine è necessario chiamare il ricevente che a sua volta deve essere operato in una struttura in grado di eseguire interventi di tale complessità».

Un tipo di traffico non certo semplice e che, in ogni caso, è impraticabile in Italia, spiega l'esperto. «Nel nostro Paese, così come in Europa nessun organo che non arrivi da un centro di coordinamento e che non abbia un percorso tracciato secondo precise regole, può entrare in un ospedale», spiega Nanni Costa. «Né possono entrare organi provenienti da qualsiasi Paese».
E i controlli sono ad ogni livello. «Le liste d'attesa per ciascun organo sono continuamente monitorate», continua il presidente del Cnt. «Sappiamo con certezza le ragioni di ingresso e d'uscita: nessuno potrebbe farsi operare all'estero senza farlo sapere a nessuno. Anche perché poi avrebbe comunque necessità di cure a lungo termine. In 10 anni non abbiamo registrato nessun caso di “turismo trapiantologico” per gli italiani».

E nel nostro Paese organismi istituzionali e forze dell'Ordine sono in grado anche di controllare eventuali richieste sospette via Internet o attività di intermediari. Non si possono escludere invece, più in generale, fenomeni illeciti o criminali legati al turismo trapiantologico. «Ci sono Paesi che hanno capacità tecnologiche e organizzative per realizzare trapianti. E dove i controlli mancano, come in Pakistan. In questi casi, per i trapianti da vivente, la possibilità di fenomeni di sfruttamento di persone in difficoltà economiche sono possibili. L'Italia, attraverso il monitoraggio continuo delle liste d'attesa e la vigilanza in rete, controlla anche il turismo trapiantologico. Sarebbe necessario che tutti i Paesi lo facessero».

In apertura foto di Christopher Furlong/Getty Images