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Cooperazione & Relazioni internazionali

Genocidio senza fine nel mar Mediterraneo, altre 239 vittime in due naufragi

Nella notte a Lampedusa arrivati 29 sopravvissuti - "scossi e traumatizzati", riporta l'associazione Mediterranean Hope - di un'imbarcazione che conteneva almeno 140 persone. Poi un'altra strage con sole due donne superstiti, riportata direttamente dall'Unhcr. "4220 morti nel 2016, mai così tanti", riporta Flavio Di Giacomo, portavoce Oim. Ancora una volta un dramma che mette in risalto l'inefficacia delle politiche europee e internazionali nella salvaguardia dei diritti dei profughi

di Daniele Biella

Almeno 239 vittime annegate in mare nelle ultime 24 ore. È ancora una volta simbolo di morte quel Mar Mediterraneo che da anni viene attraversato da centinaia di migliaia di migranti in cerca di una vita migliore. Morte che sopraggiunge per il ribaltamento, l’avaria dell’imbarcazione o per altri motivi tutti riconducibili a un viaggio in condizioni estreme su barche fatiscenti dopo avere speso ingenti somme finite nelle mani di trafficanti – il vero cancro delle migrazioni forzate – e, in piccola parte, dei loro esecutori materiali, gli scafisti.

È successo ancora, questa notte, nel primo naufragio – dovuto alla rottura dell'asse centrale in legno del gommone, che ha causato il ribaltamento – in cui, ancora una volta, a raccogliere i pochi superstiti sono stati gli operatori della Guardia costiera e gli abitanti di Lampedusa. “Sono arrivati questa notte intorno all’una e un quarto i 29 sopravvissuti al naufragio avvenuto davanti le coste libiche. Da quanto ci risulta l’imbarcazione partita dalle vicinanze di Tripoli conteneva 140 persone, dovrebbero quindi essere 99 i dispersi e 12 i corpi recuperati senza vita”, riportano gli operatori di Mediterranean hope, ente umanitario legato alla Fcei che da anni ha un presidio fisso sull’isola. “Sarebbero quindi almeno 111 le vittime di questa ennesima tragedia resa possibile da leggi che costringono le persone nella mani di trafficanti senza pietà. Le persone arrivate a Lampedusa sembrano provenienti in maggioranza della Guinea. Tra loro una, gravemente ustionata, è stata trasferita al poliambulatorio con urgenza. Molti altri faticavano a reggersi in piedi e tutti erano chiaramente scossi e traumatizzati. Ancora una volta a Lampedusa si contano i morti e si fa fatica a consolare chi sopravvive” .

A questa tragedia se ne è aggiunta un’altra nelle ore successive, e questa volta la segnalazione arriva direttamente dall’Unhcr, l’Alto commissiariato dell’Onu per i rifugiati, che parla di almeno 200 vittime – 239 un primo computo totale sulla base delle testimonianze dei superstiti – tra le due stragi, nella seconda delle quali sarebbe sopravvissute soltanto due donne. “Corridoi umanitari subito”, chiede disperata il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, mentre la situazione sull’isola è ancora una volta drammatica, con i parenti di chi non ce l’ha fatta in preda allo strazio e increduli di fronte alla perdita dei propri cari, tra cui parecchi bambini. "Nel 2016 siamo arrivati a 4220 morti, mai così tanti", sottolinea Flavio Di Giacomo, portavoce dell'Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, "e a ottobre gli arrivi sono stati 27.300, molti di più dei 15mila del 2014 e degli 8.900 del 2015". Perché così tante persone intraprendono il viaggio in un periodo in cui il mare è più agitato, con l'inverno alle porte? "Le risposte che ci dannoi migranti convergono sul fatto chei trafficanti suggeriscono loro di partire perché tra poco finirà l'addestramento della Guardia costiera libica da parte della missione europea Eunavfor Med e da quel momento le persone saranno riportate in Libia anziché condotte in Europa", continua Di Giacomo. "Ma per i migranti la Libia rappresenta il trauma maggiore dato che la grande maggioranza di loro ha subito violenze e torture proprio in quel paese e quindi è disposta a partire subito anziché attendere la fine dei mesi freddi".

Secondo diverse fonti, alcuni bambini e donne in gravidanza risultano tra le 240 persone annegate al largo delle coste della Libia lo scorso mercoledì nel tentativo di raggiungere le coste europee.

Una giovane donna liberiana, tra i 29 sopravvissuti portati ieri a Lampedusa, ha perso il figlio di due anni, la figlia di 13 anni e il fratello di 21 anni – annegati quando la loro barca si è capovolta. Helena Rodriguez, ginecologa e mediatrice culturale a Lampedusa per l’UNICEF, sta lavorando con gli operatori sanitari italiani per curare la donna 31 enne da polmonite acuta e shock.

"La tragedia ha lasciato questa giovane donna in uno stato di profondo shock dopo aver visto i suoi figli e il suo giovane fratello annegare davanti a lei", ha detto Rodriguez. "Anche se aveva pagato ai trafficanti 2400 euro per la traversata della sua famiglia dalla Libia verso l'Italia, quando hanno visto la barca, del tutto insicura, si sono rifiutati di salire perché avevano paura. I trafficanti allora hanno iniziato a sparato contro di loro, costringendoli a salire. Per questo così tante persone sono annegate a soli 12 km dalla costa libica".

Rodriguez, che era sul molo per assistere i sopravvissuti nelle prime ore di giovedì mattina, ha detto che le persone soccorse all'arrivo erano in pessime condizioni fisiche e psicologiche – con alcuni in coma e altri con gravi ustioni per l’esposizione al carburante. "Qui la situazione è terribile" ha detto. Altre due donne, che sono state salvate dalla stessa nave di soccorso norvegese, hanno perso i loro figli in mare. La maggior parte delle vittime proveniva da Senegal, Liberia, Guinea e Nigeria.

Queste due sono solo le ultime – per ora – di una catena impressionante di stragi che si stanno susseguendo negli ultimi giorni, dopo che il 26 ottobre scorso è partita la formazione congiunta della Guardia costiera libica a bordo di alcune navi di Eunavfor Med, definita anche come Operazione Sophia, una attività di formazione che, secondo i vertici militari dell’operazione, dovrebbe servire ad evitare altre vittime nelle acque territoriali libiche che si vogliono affidare al controllo delle pattuglie imbarcati a bordo dei mezzi della sedicente Guardia Costiera libica”, sottolinea Fulvio Vassallo, avvocato e docente universitario, riprendendo la notizia sul sito A-dif.org. “Appare chiaro che ci vorranno mesi, se non anni, per dotare la Guardia costiera libica di mezzi e personale, e soprattutto di una cultura rispettosa dei diritti umani, per garantire la ricerca ed il soccorso delle imbarcazioni in difficoltà, al di là di sporadiche operazioni di blocco di imbarcazioni in mare, prima che queste raggiungano le acque internazionali, con interventi violenti che, come si è già visto, possono produrre esiti tragici. Operazioni di blocco che, se condotte in collaborazione con le navi europee al limite delle acque internazionali, potrebbero camuffare veri e propri respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali”.

Le due foto sono di Aris Messinis e relative a un naufragio dello scorso 12 ottobre 2016 al largo della Libia


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