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Con “Chiedi alla polvere” i ragazzi di Arquata vogliono ricostruire il futuro

Sono una dozzina e hanno tra i 17 e i 22 anni, a cavallo tra i sismi che hanno distrutto il proprio paese hanno iniziato a fare informazione e a raccontare sia quello che vedevano sia la memoria di quello che non c'è più, trovando un formidabile seguito sui social network. Ecco l'incontro con Andrea Ferretti, uno dei fondatori

di Daniele Biella

“Quando ci troviamo, facciamo festa. Ovvero troviamo motivi per ridere, per divertirci. Perché è insostenibile fermarsi a pensare che il tuo paese è crollato, che non rimane più nulla: ne siamo consapevoli, ma bisogna ricominciare”. Andrea Ferretti ha 20 anni, fino a poche settimane fa viveva ad Arquata del Tronto, 400 anime arroccate su un’alta collina nel cuore delle Marche: la scossa di terremoto del 24 agosto prima, poi quella del 30 ottobre, l’hanno rasa al suolo, con gli abitanti ora divisi tra strutture temporanee ad Ascoli e Porto d’Ascoli. Come Andrea e la sua famiglia, composta da genitori, due fratelli e nonni materni.

Nell’ultima, fatale scossa, il ragazzo marchigiano – che faceva il cameriere in paese – era a un passo dal dramma: “dormivo in un camper alle porte di Arquata, il giorno dopo sarebbe iniziata la Sagra, eravamo in pieni preparativi”, spiega. Da quel momento è tornato un paio di volte per vedere con i propri occhi la devastazione, mentre altri amici non se la sono sentita, oppure non sono ancora riusciti dato l’ordine di evacuazione che è ancora attivo. Con quegli stessi amici Ferretti, fin dai primi momenti di vita nelle tende (tra fine agosto e fine ottobre) ha capito che non poteva stare fermo ad aspettare: “siamo una dozzina di persone tra i 17 e i 22 anni, ci siamo messi a scrivere, a dare informazioni, a raccontare quello che accade”. Sui social network: attraverso la pagina Chiedi alla polvere, hanno raggiunto in breve tempo popolarità proprio perché tra i primi ad attivarsi, a reagire. “Anche solo spostare uno scatolone da una parte all’altra, dare una mano a un anziano in difficoltà, aveva un senso nei giorni al campo: ci si sentiva vivi, da qui l’idea di fare qualcosa di più, per i terremotati come noi”, racconta.

Con l’aiuto della psicologa e antropologa Elena Pascolini e degli operatori dell’ong ActionAid intenti a facilitare incontri comunitari per fare ripartire il tessuto associativo delle zone colpite dal sisma, i ragazzi di Chiedi alla polvere rappresentano oggi un faro per migliaia di persone: “scriviamo su facebook quello che ci passa per la testa, trovandoci quotidianamente su whatsapp dato che per ora siamo in luoghi diversi. Puntiamo a essere utili, pratici, ma anche portare leggerezza, per esempio uno degli ultimi post riguardava un anziano piuttosto conosciuto in paese che suona l’organetto”. Racconti dell’Arquata che oggi non c’è più, informazioni e indicazioni pratiche per le persone della zona, idee per quello che sarà, per la ricostruzione: il materiale di lavoro è ampio e ben strutturato. “Vogliamo tenere alta l’attenzione sulla nostra situazione e farci sentire, se necessario alzando la voce, una volta che si parlerà di come ricostruire, perché bisogna farlo in modo intelligente, senza strutture calate dall’alto ma prestando attenzione alla sostenibilità delle strutture e alla partecipazione cittadina nel percorso. Ogni paese è diverso dall’altro e servono cure specifiche”, sottolinea Ferretti.

Non è facile mantenere la tranquillità, quando hai perso casa, lavoro e riferimenti di una vita che ora non è e non sarà mai più come prima. Anche per un ragazzo di 20 anni: “il disorientamento è tanto, rimane comunque l’attaccamento alla terra, a volere rimanere in queste zone. Personalmente non sono più la persona di prima, nel senso che ho perso l’attaccamento alle cose materiali, al superfluo”, ragiona Ferretti. “Se non vivi un terremoto, non capisci fino in fondo, invece dovremmo essere tutti coscienti dei quanto è precaria la nostra condizione e quindi dare la giusta importanza ai rapporti umani, agli affetti. Dico questo rendendomi conto che, seppure abitavo a solo due ore dall’Aquila, non immaginavo nemmeno lontanamente quello che avevano vissuto i suoi abitanti sette anni fa. Ora, purtroppo, mi rendo conto di ogni cosa. Compreso il fatto che bisogna rimettersi in gioco, fin da subito, per ricominciare a vivere”.


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