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L’eredità al non profit: le best practice e i consigli

Oggi il legacy fundraising in Italia vale 1,1 miliardi di euro ma da qui al 2030 al non profit potrebbero arrivare, da lasciti ed eredità, 129 miliardi di euro. Le non profit negli ultimi anni sono riuscite a vincere la tradizionale ritrosia degli italiani verso il testamento e a far capire che tutti possono aiutare il non profit con un lascito. Incluso chi ha figli, e senza essere Bill Gates

di Sara De Carli

Il suo primo versamento all’Unicef, Maria Rosaria lo fece nel 1989. Oggi ha 69 anni e ormai da dieci anni fa ha messo nero su bianco la sua volontà di lasciare proprio all’Unicef il suo intero patrimonio. «Sono single, ho un matrimonio alle spalle ma non ho figli, provengo da una famiglia benestante», così si dipinge lei oggi… È un’insegnante e subito dopo la pensione inizia a interrogarsi sulla destinazione del suo patrimonio e proprio in quel momento, sul giornalino dell’Unicef, lesse del “testamento solidale”, ovvero della possibilità di lasciare una parte dei propri beni al non profit. «Ne ho parlato con fratelli e nipoti, erano d’accordo. Così un giorno andai a Roma e mi presentai nella sede dell’Unicef, senza appuntamento. Con loro è nato un rapporto bellissimo che ha rafforzato la mia fiducia, come pure l’essere stata in Bangladesh e aver visto con i miei occhi tutto il bene che si può fare. Non voglio targhe, mi basta la certezza che la mia vita non sia stata inutile: prima mi sentivo un albero senza foglie, ora mi sembra di aver guadagnato un pezzetto di eternità».

Sono sempre di più gli italiani che come Maria Rosaria scelgono di inserire una realtà non profit nel loro testamento. Alcuni, come lei, non hanno eredi e devolvono al non profit tutti i risparmi di una vita, ma la vera novità è che «stiamo assistendo a un’inversione di tendenza e in particolare negli ultimi tre anni anche chi ha eredi inizia a valutare la possibilità di destinare al non profit una cifra più o meno grande», spiega il notaio Gianluca Abbate, responsabile delle relazioni con il Terzo settore del Consiglio Nazionale del Notariato. Benché sulle pagine dei giornali arrivino solo le eredità milionarie, secondo una recente indagine condotta dal Consiglio Nazionale del Notariato, il 46% dei lasciti solidali al non profit ha un valore inferiore ai 20mila euro e solo il 10% supera i 100mila euro. Il fatto che il lascito solidale inizi a “sfondare” anche fra chi ha eredi è il dato sociologicamente più interessante per un segmento del fundraising che in molti ormai definiscono strategico. "Come cambia l’eredità: soldi ai figli prima della morte e lasciti al mondo del non profit", titolava non a caso ieri anche il Corriere della Sera. È quanto ci ha spiegato la professoressa Luisa Leonini, sociologa dell’Università degli Studi di Milano, esperta di scambi economici fra le generazioni, nell’ampio servizio dedicato ai lasciti testamentari che trovate sul numero di VITA in edicola da venerdì: «Ormai gli scambi economici fra le generazioni avvengono come donazioni in vita, ad esempio aiutando i figli a comprare casa. In più con l’aspettativa di vita elevata, il patrimonio si erode. Terzo dato, di non poco conto, è che ormai si eredita a 60 anni da genitori 80enni. Tutto questo depotenzia l’eredità nel suo valore economico, diventa una questione prevalentemente simbolica. A quel punto, per chi ha già elargito in vita, è più facile pensare a un lascito al non profit, come scelta in continuità con quell’atteggiamento solidale che si è sempre avuto».

Gli scambi economici fra le generazioni avvengono come donazioni in vita, ad esempio aiutando i figli a comprare casa. In più ormai si eredita a 60 anni, da genitori 80enni. Tutto questo trasforma l’eredità in una questione prevalentemente simbolica. A quel punto è più facile pensare a un lascito al non profit, come scelta in continuità con quell’atteggiamento solidale che si è avuto in vita

Luisa Leonini

Il nuovo Rapporto Giving Italy 2015 di VITA dedica un capitolo al legacy fundraising, che oggi si attesta a circa 1,1 miliardi di euro ma che sta diventando progressivamente un tassello fondamentale delle entrate del non profit. E che acquisterà sempre più peso: secondo le proezioni dell’Osservatorio di Fondazione Cariplo, dai soli patrimoni senza eredi da qui al 2030 potrebbero arrivare al non profit 129 miliardi. Se poi si prende in considerazione la totalità dei testamenti, si capisce quanto grande sia la cifra in gioco. Il non profit è pronto? Lo abbiamo chiesto alle più grandi realtà del settore, ecco le loro risposte.

Telethon
1,9 milioni di euro da testamenti e lasciti nel 2015

«Siamo ormai su una media di 1,8-2 milioni anno, pipo una volta ogni due anni arriva un lascito milionario», racconta Alessandro Betti, direttore raccolta fondi di Telethon. L’anno fiscale 2016 conta ad esempio una donazione in vita che somiglia molto a un lascito, perché viene da una signora che ha ereditato immobile da marito deceduto: «è una palazzina in via Poerio a Milano, in perfette condizioni, circa 850 mq su 4 piani, è già diventata la nostra nuova sede. Per noi è un incremento patrimoniale ma anche un grossissimo saving. Un’altra storia invece riguarda un’eredità in provincia di Pavia: «ci hanno lasciato un impianto industriale, una torrefazione. L’azienda in affitto non ha volontà di acquistare l’edificio e capirà che è quasi impossibile alienarlo ad altri: ci siamo reinventati locatori di impianti industriali». Al di là delle storie, «il testamento solidale sta entrando nella nostra cultura, le ONP hanno imparato a comunicare questo tema. Le campagne di massa, stile advertising, qui non servono: noi abbiamo 60mila donatori continuativi ed è con loro che una comunicazione può funzionare, perché devi essere stato scelto prima. Credo molto anche nella collaborazione con partner bancari e finanziari, che hanno rapporto diretto con le persone di cui gestiscono il patrimonio e hanno titolo di parlare con profondità, con calore, vicinanza e professionalità».

Aism
2,3 milioni raccolti nel 2015, in 18 testamenti, da Aism e Fism

«Confermiamo un sempre maggior interesse, ci sembra che piano piano alcuni tabù culturali siano stati superati: sono in crescita sia i lasciti in cui risultiamo beneficiari sia i fondi raccolti, vedo che c’è un trend», spiega Emanuela Di Pietro, responsabile della promozione lasciti di Aism. Dal 23 al 29 gennaio si terrà la tredicesima edizione della loro “Settimana dei lasciti”, con 34 incontri in collaborazione con i notai: «è un plus importante, i notai rispondono a titolo gratuito in generale sulla tematica successoria». Quanto alla competenze che il legacy fundraising comporta, per Di Pietro «è chiaro che bisogna fare un ragionamento di sostenibilità di medio-lungo periodo, per noi una media di 5 anni. Ci sono complessità, è innegabile, c’è un’attività dell’ufficio legale che ha bisogno di una struttura che riesca a reggere questi strumenti di donazione, spesso c’è un bene immobile che deve essere alienato, però per noi è uno strumento ormai fondamentale. Credo sia fondamentale continuare a informare le persone, perché nonostante gli sforzi e i progressi ancora più della metà degli italiani non conosce questa opportunità: la chiave è questa».

Fondazione Don Gnocchi
Circa 10,8 milioni nel 2015, pari all’86% della raccolta fondi

«Per Fondazione Don Gnocchi i lasciti sono il principale strumento di raccolta fondi, rappresentano oltre l’80% della raccolta fondi. Il dato del 2015 è eccezionale, pesa un’eredità molto consistente, non è la norma», racconta Guia Rigoldi, responsabile della raccolta fondi in Fondazione Don Gnocchi. In media accettano una ventina di testamenti l’anno, «un tempo noi come altre realtà religiose eravamo più forti, oggi gli altri stanno crescendo. L’effetto è che i lasciti vanno a più associazioni, questa è la macrotendenza, con le cifre che scendono un po’». Vero è che in Don Gnocchi «ancora oggi molte donazioni arrivano da figli di ex allievi, che hanno raccolto la testimonianza diretta di don Carlo, oppure persone che si sono avvicinati a noi perché sono stati o hanno avuto un parete ricoverato in una nostra struttura», spiega. A chi comunicare questa possibilità? «A tutti, nel senso che nella comunicazione si cita sempre come possibilità per sostenerci. Ma soprattutto ai sostenitori, parlandone a loro con regolarità. Credo però che bisogna comunicare non il lascito ma se stessi, la cura, la passione che ci mettiamo».

Lega del Filo d’Oro
9,3 milioni il valore della raccolta da lasciti solidali nel 2015

A Osimo, sulle colline marchigiane, sta nascendo il nuovo Centro Nazionale della Lega del Filo d’Oro. Sarà un polo di alta specializzazione per la riabilitazione delle persone sordocieche. Il cantiere del primo lotto è a buon punto, l’apertura è prevista per l’autunno 2017: l’investimento si aggira sui 30 milioni di euro. L’eredità più grande che la Lega del Filo d’Oro abbia mai ricevuto, di diversi milioni di euro, andrà a coprire parte delle spese per realizzare questo nuovo Centro Nazionale. A lasciare alla Lega del Filo d’Oro tutto il suo ingente patrimonio è stata una donna di una città del nord, vedova e senza figli, sostenitrice dell’associazione dall’ormai lontano 1994: «si è avvicinata come sostenitrice, è diventata socia, ha visitato più volte alcune nostre sedi, diversi anni fa mi ha rivelato la sua intenzione di lasciare il suo patrimonio alla Lega del Filo d’Oro», racconta Rossano Bartoli, segretario generale della Lega del Filo d’Oro. Bartoli è anche portavoce del Comitato Testamento Solidale, creato quattro anni fa da sei organizzazioni non profit per creare cultura intorno a questa possibilità di sostegno al non profit (oggi le aderenti sono salite a 16) e afferma che «il lavoro di questi quattro anni ha dato i primi risultati: c’è una maggior propensione a fare testamento e quindi anche a prevedere un lascito solidale». Secondo un’indagine di Gfk Eurisko, sette italiani su dieci sanno cos’è un testamento solidale e il 14% ha già fatto (3%) o intende fare un lascito solidale (11%): nel 2012 erano il 9%. Tra chi non ha figli, la predisposizione schizza al 27%, mentre gli italiani che escludono questa opzione scendono dal 74% al 59%: c’è ancora molto da fare, ma il segnale è incoraggiante.

Vidas
3 milioni di euro provenienti da eredità e lasciti in ognuno degli ultimi tre anni

A Vidas, che a Milano si occupa di assistenza a malati oncologici, sia in hospice sia a domicilio, ogni venti giorni telefonano 5/6 persone per chiedere informazioni sui lasciti testamentari: «senza sollecitazione, noi non stiamo facendo in questo momento nessuna campagna. Nel nostro notiziario c’è sempre un box, mirato a chi già ci conosce, con il mio nome, e siccome chi telefona chiede di me, immagino che quello sia il canale. Mi sono convinto che val la pena far presente questa possibilità a chi già ci conosce, piuttosto che all’aperto mondo, perché il legame tra potenziale testatore e l’associazione è importante», spiega Giorgio Trojsi, segretario generale Vidas. Il loro legato medio viaggia tra i 15-25mila euro, con importanti eccezioni. Questi soldi permettono accantonamenti e gli accantonamenti sono destinati a nuovi progetti: «a ottobre abbiamo fatto il primo scavo della Casa Sollievo Bimbi, per dare cure palliative pediatriche in particolare dando appoggio all’assistenza domiciliare, perché è bene che i bambini restino a casa il più a lungo possibile. È la seconda in Italia, un progetto da 15 milioni di euro, che non sarebbe mai potuto partire se non ci fossero state alle spalle buona parte delle risorse. Il lascito è per definizione qualcosa che guarda al futuro».

Sempre più una scelta di famiglia
Stefano Malfatti, direttore della raccolta fondi dell’Istituto Serafico di Assisi, nel 2014 vinse l’Italian Fundraising Award e dopo pochi mesi il prestigioso Global Award for Fundraising, proprio per il suo impegno nel legacy fundraising. Recentemente ha parlato del lascito nel testamento come del «futuro del verbo donare»: «è semplice, se voglio incrementare le donazioni devo andare là dove c’è più spazio e in questo caso, con appena il 10% degli italiani che fa testamento, significa che ho un 90% su cui lavorare», spiega. «Non dico che le altre strategie non servano, ma sono onerose e con un ritorno più risicato. Non possono essere trascurate, se non altro per incrementare i database, ma se guardo i numeri non c’è un altro strumento che costi così poco e renda così tanto: con 20/30mila euro si può fare un’ottima campagna lasciti e un legato, per quanto piccolo, come minimo sono 10-20mila euro… in pratica con un solo legato hai ripagato la campagna di comunicazione di un anno». Perché allora solo il 21% delle onp nel 2015 ha ricevuto un lascito, secondo i dati presentati dall’Istituto Italiano della Donazione? «Le organizzazioni non lo sposano perché sono orientati a obiettivi più medio termine. Con questo strumento se inizi a lavorare adesso avrai dei risultati fra 3/7 anni». Un consiglio? «Non aggredire con una comunicazione diretta, diciamo “se ci stai pensando, io sono ti dico che a noi i lasciti sono utili e anzi necessari, tu ci conosci, se vuoi chiamaci. Nel momento in cui uno chiama inizio il rapporto, che è la parte più interessante del lavoro, perché quando capisci il vissuto che porta una persona a fare un lascito, scopri cose fondamentali su come la tua realtà deve comunicare, non solo sui lasciti ma su tutto. Ad esempio mi capita spesso di raccogliere l’obiezione “io lo farei, ma cosa dirà mio figlio?”: allora forse devo fare una comunicazione che coinvolga anche i figli e faccia diventare la scelta del testamento solidale una scelta di famiglia, condivisa».

Tre leve su cui lavorare
Per Valerio Melandri, fondatore e direttore del Master in Fundraising dell’Università di Bologna, ci sono tre elementi su cui lavorare. Il primo è fiscale, il secondo giuridico, il terzo di comunicazione. La leva fiscale parte dall’osservazione che negli Usa «quando sono state alzate le tasse di successione, nei 10 anni a seguire le donazioni al non profit sono aumentate, poi quando hanno abbassato le tasse di successione, le donazioni sono crollate. La tassazione è senza discussione uno degli incentivi massimi: non dico che bisogna alzare le tasse sul passaggio delle proprietà da padre a figlio, ma forse per un certo tipo di patrimoni si potrebbe prevedere una tassa meno alta o abolita addirittura se una certa percentuale del patrimonio viene data al non profit. In 5-10 anni ci sarebbe un evidente cambiamento in fatto di lasciti», riflette il professore. La seconda leva è un consorzio delle non profit: «il lavoro del Comitato Testamento Solidale è encomiabile, ma ancora poco potente perché non è che uno può educare l’altro a essere generoso. A noi servono strumenti fiscali che indirizzino le scelte, come con la voluntary disclosure». Serve anche una regolamentazione specifica pro non profit, dal momento che «la parte libera di un testamento italiano è ridotta, è inutile sognare. La legittima in questo senso pone grossi limiti: forse tempo di fare riflessione anche su quello, aumentando la quota libera». Infine il terzo elemento è di comunicazione: «le non profit devono essere più specifiche sull’utilizzo del lascito, si fa fatica a capire dove va, c’è molta comunicazione generica ma si deve arrivare a personalizzare il lascito. All’estro molti lasciti sono costruiti ad hoc su progetti, in Italia sarebbe utile aumentare la capacità di “inventare” il progetto insieme alla persona viva».

Un contagio peer to peer
Nonno Carmine ha 81 anni e nel 2012 ha deciso di destinare a Telethon una parte della sua eredità. Lo ha fatto perché vuole «continuare a prendersi cura» di Sara, la sua «nipotina del cuore», anche quando lui non ci sarà più. Sara infatti ha una malattia genetica rara, la sclerosi tuberosa. «Devo dire che questa idea mi ha dato un senso di pace, di soddisfazione, non di allegria ma di benessere. Spero che questa serenità possa contagiare qualcuno, io ne parlo sempre perché vorrei tanto far capire che questa scelta di dare un po’ di più a chi ne ha bisogno, nel mio caso alla ricerca scientifica, non danneggia nessuno», spiega. Cinque o sei persone, nel suo territorio, lo hanno contattato dopo che lui ha reso pubblica la sua scelta: «persone che non conoscevo, che mi hanno chiesto “come si fa?”. So per certo che una persona ha fatto testamento, inserendo un lascito a un’altra realtà: poco importa, l’importante è contagiare».

Foto di copertina, Alberto Calcinai per VIDAS


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