Cooperazione & Relazioni internazionali

Hotspot di Lesbo, la neve sotterra le tende dei profughi

Al dramma di almeno 15mila persone, da mesi in attesa sulle isole greche per ottenere uno spostamento prima promesso poi negato da altri Paesi europei, si aggiungono le dure condizioni metereologiche per chi non ha trovato posto nel campo ufficiale. La denuncia degli attivisti, che fanno il possibile per aiutare, mentre l'Unhcr si appella ancora una volta ai governi

di Daniele Biella

Sull’isola di Lesbo nevica, in questo momento. Sarebbe un’estemporanea novità che potrebbe strappare un sorriso, ma non in quest’epoca e soprattutto non per le centinaia di rifugiati – siriani, afghani, iracheni, pachistani ma anche di vari Paesi dell’Africa – che vivono in tende perché non hanno trovato posto nei campi ufficiali, in particolare nell’hotspot di Moria, primo filtro dopo l’arrivo in mare e, per migliaia di persone, luogo di estenuante attesa per mesi in condizioni quasi detentive (possono entrare e uscire dal campo, ma non possono lasciare l’isola senza un permesso di soggiorno che, per i pochi fortunati, arriva dopo molti mesi).

Le foto delle tende innevate ai margini dell'hotspot di Moria che stanno facendo il giro del mondo via web, scattate da attivisti e volontari che in queste ore stanno portando viveri e vestiti pesanti alle persone in tenda, parlano da sole: la situazione è al limite della sopportazione. Gli aiuti diretti arrivano, ancora una volta, dagli isolani e dalle piccole ong Aktiva, Uk Action for refugees, City Plaza, presenti in loco – mentre ai piani alti, dal governo greco all’Unione europea, non si intravedono sforzi immediati per fare fronte alla situazione.

Lo stesso Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, che aveva dato parte delle tende e dei teli alle persone (come si vede nelle foto), aggiungendo nei giorni scorsi due tendoni riscaldati, ha espresso il proprio disappunto chiedendo alle istituzioni di agire, ma finora senza successo. In particolare, Adrian Edwards, portavoce Unhcr alle Nazioni Unite, davanti all’assise di Ginevra ha sottolineato “l’urgenza di spostare più velocemente di quanto fatto finora le persone dalle isole alla Grecia continentale”. Sono almeno 15mila i profughi fermi tra Lesbo, Chios e Samos, tra cui almeno un terzo minori. Le condizioni delle persone sulle isole, con l’arrivo del freddo e della neve, “rimangono molto preoccupanti e il bisogno di forme migliori di protezione è immediato”, rimarca Edwards.

Il problema principale del sovraffollamento riguarda la lentezza del processo di registrazione dei richiedenti asilo: come riportano attivisti e gli stessi profughi, sono poche le persone messe a disposizione dalla Ue per le operazioni di riconoscimento, mentre dall’altra parte è nota la scarca volontà di molte nazioni europee ad accogliere il numero di rifugiati che comunque era stato pattuito nel 2015. “Al 4 gennaio 2017 solo 7.760 richiedenti asilo sono riusciti a lasciare la Grecia per altri Stati europei, a fronte di un numero previsto di 66.400”, è il computo dell’Alto commissariato dell’Onu. Il 12 per cento, una cifra insostenibile e “inaccettabilmente bassa. E’ or ache i Paesi Ue tengano fede ai loro impegni, ora”. Un appello che, a meno di colpi di scena, rimarrà ancora una volta inascoltato.


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