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Nuovi Lea: la celiachia diventa malattia cronica. Ecco cosa cambia per pazienti

L'Associazione Italiana Celiachia mette in guardia su alcune criticità contenute nel nuovo Decreto sui Livelli essenziali di assistenza. Una legge che rinomina i celiaci da malati rari a malati cronici, e cambia le regole per esenzioni, diagnosi ed esami. Ecco cosa c'è da sapere

di Gabriella Meroni

Grandi novità per tutti i malati di celiachia: dopo l’entrata in vigore dei nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza, per la prima volta la malattia celiaca comparirà nell’elenco delle malattie croniche e invalidanti, e non più in quello delle malattie rare, dove fino ad ora era inserita e che ha regolato il regime di esenzione previsto per tutti i pazienti celiaci. Una novità importante, anzi sostanziale, che secondo l’Associazione Italiana Celiachia evidenzia però «alcuni punti potenzialmente critici».

Sette celiaci su dieci non sanno di esserlo

Il primo riguarda l’accertamento della malattia, quindi la diagnosi: in base ai nuovi Lea, gli esami e le altre prestazioni per arrivare alla diagnosi non godranno più come prima dell’esenzione. «Comprendiamo che il nuovo regime abbia i suo focus nel monitoraggio della malattia, e non nella sua diagnosi», sottolinea Aic, che chiede la diffusione di una nota di indirizzo che guidi le amministrazioni locali nell’applicazione del nuovo decreto.. «Evidenziamo però la criticità tipica della celiachia che, pur essendo a pieno titolo malattia cronica, ha nella diagnosi il punto di debolezza». In Italia infatti – continua Aic -sono diagnosticati solo poco più del 30% dei casi attesi, e per di più con tempi lunghi: mediamente 6 anni, con enorme spreco di risorse per esami non appropriati e costi sociali derivanti dalla salute precaria dei pazienti in attesa di diagnosi e quindi di terapia.

Il protocollo fantasma

Un altro punto critico riguarda il follow up della malattia: nel decreto infatti non vengono fornite indicazioni al medico sugli esami in esenzione da prescrivere per la fase successiva alla diagnosi, con il rischio di prescrizioni di esami non necessari, magari anche con cadenza temporale più frequente rispetto alla reale necessità. Per ovviare al problema, l’indicazione di Aic è quella di far conoscere il più possibile lo specifico “Protocollo di Diagnosi e Follow up”, in vigore dallo scorso agosto, veicolato come golden standard della diagnosi e monitoraggio del paziente celiaco. Infine, il passaggio a malattia cronica introduce due ulteriori novità: la cronicità non prevede centri di riferimento, quindi le prescrizioni anche in esenzione possono essere effettuate da qualsiasi medico, e cambieranno anche le modalità per ottenere l’esenzione, aderendo alle procedure di tutte le malattie croniche (la presentazione di una certificazione di malattia redatta da uno specialista). «Le amministrazioni sanitarie locali potrebbero richiedere la procedura anche ai celiaci già titolari del codice esenzione per malattia rara», segnala però Aic, «e non solo alle nuove diagnosi. Un aggravio notevole, oltre che insensato, possibile fonte di ritardo nell’accesso alle nuove tutele da parte dei pazienti».

Per arrivare a una diagnosi di celiachia in Italia ci vogliono in media sei anni: un tempo lunghissimo che genera spreco di risorse e alti costi sociali

In un recente incontro, Aic ha già espresso al Ministero della Salute la richiesta di accompagnare la pubblicazione dei nuovi Lea all’emanazione di una nota di indirizzo o interpretativa, rivolta alla celiachia, in seguito al cambiamento di regime, per evitare difformi interpretazioni e disuguaglianze nelle diverse regioni. Sempre secondo l’associazione la nota, dovrebbe contenere il Protocollo di Diagnosi e Follow up, una precisa chiave interpretativa rispetto ai centri di riferimento, la precisazione che passaggio da malattia rara a cronica è automatico per i pazienti celiaci già in possesso di esenzione per malattia rara.


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