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Famiglia & Minori

Ma quale dislessia? I miei figli hanno i superpoteri

Esce oggi il nuovo libro di Carlotta Jesi, che racconta la dislessia dei due figli, Tommaso e Filippo. Anzi, di tutta la famiglia, perché la dislessia, anche se non si vede, cambia la vita di ogni giorno. «Abbiamo scelto di non fermarci al "dis", a ciò che manca, ma di valorizzare l'altra faccia della dislessia, tutte quelle abilità che portano a pensare differente e ad essere innovatori. Questo libro spiega la nostra ricetta per la quotidianità»

di Sara De Carli

«Mandami una foto». Mi aspettavo una foto dei fumetti e disegni di cui Carlotta mi aveva parlato, «disegni che sintetizzano in un’immagine tutte le parole di inutili prediche» e che avevano popolato casa loro da quando era arrivata la diagnosi di dislessia di Tommaso e Filippo, i suoi due figli.
A un certo punto, finite le parole, i consigli, le prediche, le suppliche e le litigate, lei aveva provato a spiazzare quel suo ragazzino preadolescente: «Se tu fossi un capo scout e nel branco entrasse un lupetto che, proprio come fai tu, pensa per immagini, molto velocemente, e per questo si annoia ad ascoltare discorsi e predicozzi, che cosa faresti per guidarlo?». «Boh», aveva risposto Tommaso: «magari gli disegno un cartello». È così che i cartelli, i disegni, i fumetti hanno fatto la loro comparsa in casa, perché con Tommaso e Filippo in un certo senso serve un’altra lingua, che proprio loro hanno suggerito: «i dislessici pensano per immagini invece che per suoni delle parole, alla velocità di trentadue immagini concettualizzate al secondo contro le due o cinque parole concettualizzate al secondo da un non dislessico», mi spiega Carlotta. È un modo di pensare che è da quattrocento a duemila volte più veloce del ragionamento verbale e molto, molto diverso: «mentre un non dislessico pensa in modo lineare, costruendo le frasi una parola per volta, un dislessico lo fa in modo evolutivo: l’immagine che ha in testa cresce man mano che il processo mentale aggiunge altri concetti a quello principale. Fa un ragionamento spaziale che si focalizza sulla forma, la dimensione, la posizione, l’orientamento, il moto e l’interazione delle cose». Quindi il motivo per cui, scrivendo, i dislessici invertono lettere come la b e d o numeri come il 6 e il 9, è lo stesso che dà loro una capacità fuori dal comune di manipolare le immagini, di pensare differente, di essere innovatori.

La prima volta che ho detto che Einstein da bambino aveva la pagella zeppa di 5 e poi ha vinto il Nobel, mio figlio ha fatto spallucce: a dodici anni del “poi” non te frega niente, conta solo l’adesso. “Già, ma come si sentiva a prendere quei 5 davanti ai suoi compagni?”, mi ha replicato. Perché Tommaso ce l’aveva detto benissimo come si sentiva lui: un pezzo di corda buttato per terra. A tanto è arrivata la sua sofferenza

«Come Leonardo da Vinci, come Nicholas Negroponte, il fondatore del MIT, come Albert Einstein. Sai che nei viaggi in macchina facciamo il gioco dei dislessici famosi?», racconta Carlotta. «Meglio se premi Nobel, che rafforza l’autostima. Anche se la prima volta che gli ho detto che Einstein da bambino aveva la pagella zeppa di 5 e poi ha vinto il Nobel, mio figlio ha fatto spallucce: a dodici anni del “poi” non te frega niente, conta solo l’adesso. “Già, ma come si sentiva a prendere quei 5 davanti ai suoi compagni?”, mi ha detto. Perché Tommaso ce l’aveva detto benissimo come si sentiva lui, fissandoci sul divano: “un pezzo di corda buttato per terra”. A tanto è arrivata la sua sofferenza, pensare di essere una cosa piccola, inutile, di scarto».

Carlotta Jesi è una giornalista ma con la nascita dei suoi due figli, Tommaso e Filippo, che oggi hanno 12 e 10 anni, si è trasformata anche in una innovatrice sociale, creando il portale radiomamma.it, per costruire una Milano più familiy friendly. Oggi esce in libreria il nuovo libro di Carlotta, “I miei bambini hanno i superpoteri. Storia della nostra dislessia (Sperling & Kupfer). «Nostra, di Tommaso e Filippo ma anche mia e di Adriano, di tutta la nostra famiglia, perché la dislessia da fuori non si vede, ma impatta molto sulla quotidianità», racconta Carlotta.

I suoi figli «sono un po’ come quelle anatre che scivolano tranquille sull’acqua e sembra che vadano avanti senza fatica, nessuno vede, sotto il pelo dell’acqua, quanto in realtà agitino le zampe, quanta fatica facciano a nuotare. È una malattia che comporta una grossissima solitudine, non si vede ma in tanti ti giudicano, giudicano i bambini e giudicano i genitori. Perché tuo figlio rallenta la classe, perché lo mandi a basket anche se lui piange, perché lo vai a prendere a scuola quando lui non ce la fa più a stare in classe e perché non lo vai a prendere. Non hai appigli, ogni terapista ti dice un pezzo ma nessuno ti dice la ricetta completa della convivenza. A me sarebbe tanto piaciuto avere una “lista” di consigli pratici per la convivenza quotidiana, ma non c’è. Questa è la strada che abbiamo trovato noi per conviverci».

Abbiamo cercato nuovi eroi alternativi, sul valorizzare il talento che è l’altra faccia della medaglia della dislessia. E allora ecco i maratoneti vincere sui centometristi, la ricerca di eroi con super poteri che nessuno vede e che lo stesso eroe deve imparare ad usare. Fino ad Aragorn del Signore degli Anelli, oggi ramingo, domani re di Gondor

La storia di Carlotta, Tommaso, Filippo e Adriano inizia con una «caduta libera dentro i bisogni educativi speciali, una scuola ostile e poi su, la risalita, il come ci siamo organizzati». Nessuno aveva mai pensato che Tommaso potesse essere dislessico, è sempre stato un bambino sveglissimo, ha parlato presto, ha imparato velocemente a leggere e scrivere, non ha mai nemmeno invertito le lettere: ma in quarta elementare inizia a stare male. Male fisicamente e psicologicamente. «Credo che prima abbia compensato con i suoi talenti, poi quando ha iniziato gli è crollata l’autostima. Sui quaderni si è trasferito dopo, ha iniziato dopo a scrivere malissimo». Il centro a cui si appoggiano suggerisce loro un approccio alla dislessia un po’ diverso dal solito, così i bambini che pure per legge avrebbero diritto a utilizzare strumenti compensativi e dispensativi a scuola, continuano a non utilizzarli. «A scuola la tendenza è di usare tutti gli ausili che ti dà la legge, perché “così non si rallenta la classe e non dobbiamo sgridarli in continuazione”. Noi abbiamo cercato di non vedere solo il dis- ma di concentrarci sui loro talenti, sul potenziamento delle sue capacità, su una terapia che tramite l’esercizio del movimento attiva connessioni mentali ed esercita il suo cervello, cercando insieme a loro il loro personale stile di apprendimento», spiega Carlotta.

In sostanza, perché in quarta elementare si deve rinunciare a priori a fare le operazioni, tanto c’è la calcolatrice? Proviamo, se poi non riesce userà la calcolatrice. «La legge è importante, ma rischia a volte di diventare una trappola. Dinanzi alle sofferenze di tuo figlio, gli ausili sono un’opportunità, ma insieme anche una trappola. Non li vuoi far soffrire ma nemmeno mortificare, qual è confine tra non far soffrire un bambino e sussidiarlo troppo, con “aiutini” dalla prima elementare all’ università? Possibile che non ci sia una via di mezzo? Noi non abbiamo voluto che li trattassero come cause perse fin dall’inizio, abbiamo lavorato sull’essere in potenza, per cercare di cucirgli addosso una tuta con dei pulsanti che attivano dei superpoteri, che loro devono imparare a usare. Tommaso finora non ha usato il computer, ora in seconda media credo che lo aiuterebbe, lo usa a casa per alcuni compiti ma non siamo ancora riusciti a convincerlo a utilizzarlo a scuola, perché a quella età vuole essere come tutti e si impara piano piano a fare i conti con i proprio limite».

I miei figli sono un po’ come quelle anatre che scivolano tranquille sull’acqua e sembra che vadano avanti senza fatica, nessuno vede, sotto il pelo dell’acqua, quanto in realtà agitino le zampe, quanta fatica facciano a nuotare. È una malattia che comporta una grossissima solitudine, non si vede ma in tanti ti giudicano

Non nega il limite e non nasconde le difficoltà Carlotta, ma tutto il loro percorso ha puntato sulla ricerca di nuovi eroi alternativi, sul valorizzare il talento che è l’altra faccia della medaglia della dislessia, sul costruire un nuovo universo di valori. Perché non puoi accettare che tuo figlio a dieci anni si definisca una corda buttata per terra. E allora ecco i maratoneti vincere sui centometristi, la ricerca di eroi con super poteri che nessuno vede e che lo stesso eroe deve imparare ad usare. Fino ad Aragorn del Signore degli Anelli, oggi ramingo, domani re di Gondor: «È questione di tempo. Non tutto l’oro luccica, il tuo oro adesso non lo vedi, neppure ti sembra di averlo, ma sei pieno di qualità che verranno fuori e di cui si accorgeranno anche i tuoi compagni e i tuoi insegnanti. La profezia di Aragorn ci sta dicendo questo», aveva spiegato una sera Carlotta a Tommaso, quasi per una illuminazione. Ed è stato Aragorn a convincere Tommaso, che adesso in fondo – via Percy Jackson – crede pure al “poi” di Einstein.

In tutto questo percorso, la scuola non ha aiutato molto, troppa performance: «ho trovato molto egoismo fra gli altri genitori, mi ha colpito. Forse mancano le compresenze, manca il tempo per piccole cose di buon senso, c’è troppo poco movimento, l’allenamento prassico-motorio aiuta, ma trovo assurdo che una scuola pubblica non riesca a gestire un bambino più fragile», spiega Carlotta, che si spinge a dire che «se avessi i soldi, vorrei farla io una scuola per i DSA, per chi lotta quotidianamente contro il dis-». Ma come, una scuola speciale per chi ha difficoltà di apprendimento? Un ghetto? «Forse all’inizio sarebbe vista così, ma sarebbe così innovativa che poi ci vorranno venire tutti. È già successo: in una Milano ipercompetitiva, in cui le famiglie scalpitano per dare ai figli il top dell’inglese, il top del coding, il top del tutor, il top dei compagni di classe, la scuola più ambita è la Vivaio, la cui didattica laboratoriale ha preso la forma che ha preso perché c’erano gli alunni ciechi».

Qual è confine tra non far soffrire un bambino e sussidiarlo troppo, con “aiutini” dalla prima elementare all’ università? Possibile che non ci sia una via di mezzo? Noi non abbiamo voluto che li trattassero come cause perse fin dall’inizio, abbiamo lavorato sull’essere in potenza, per cercare di cucirgli addosso una tuta con dei pulsanti che attivano dei superpoteri, che loro devono imparare a usare.

Una grande mano è arrivata invece dai capi scout, anche perché hanno insegnato ai genitori a fare un passo indietro, a lasciare che fossero Filippo e Tommaso a indicare la via, e dalla capoera, che ha insegnato ai bambini che «bisogna cantare sempre, ognuno con la sua voce». «Come famiglia capisci che devi rallentare, cambia il ritmo di tutte le cose, cambiano le aspettative nei confronti dei figli, impari ad avere un profondo rispetto nei loro confronti».

Questo libro mamma Carlotta l’ha scritto soprattutto per loro, per i suoi figli. Per mettere in fila i passi che loro hanno già fatto, il loro essere crollati e poi risaliti. Lo rileggeranno, si guarderanno indietro e ripartiranno con più grinta. Hanno letto il libro? «Sì, non si vergognano, hanno capito. Sperano che possa essere utile anche ad altri bambini», mi aveva detto Carlotta nell'intervista. «Mandami una foto», le avevo ricordato io alla fine. Ma mai avrei immaginato che Tommaso e Filippo ci mettessero le loro belle facce sorridenti. Grazie Carlotta, grazie ragazzi.


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