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Povertà minorile, la carica dei valutatori d’impatto

Sono ben 34 le università e gli enti di ricerca che hanno dato disponibilità ad affiancare le organizzazioni che stanno partecipando ai bandi di Con i Bambini per il contrasto della povertà educativa: faranno valutazione d'impatto dei progetti. Solo per la prima infanzia sono 395 le proposte arrivate.

di Sara De Carli

Una grandissima risposta: sono ben 395 le proposte di progetto arrivate per il Bando Prima Infanzia lanciato da Con i bambini e finanziato dalle fondazioni bancarie con il fondo sperimentale destinato al contrasto della povertà educativa minorile. Altrettante sono attese per l’8 febbraio, quando scadrà il bando rivolto all’adolescenza.

Federico Mento è il direttore di Human Foundation e per lui il bando è già un successo, per due ragioni: «perché ha dato alle organizzazioni di un territorio l’occasione di incontrarsi o reincontrarsi, facendo reti vere, che hanno fatto coprogettazione» ma anche perché «con questo bando molte organizzazioni hanno riscoperto la progettazione. Sulla fascia 0/6 anni la modalità abituale di affidamento dei servizi è quella di rispondere a dei bisogni definiti dalla Pubblica amministrazione, in sostanza rispondendo a un capitolato, con un approccio che depotenzia la capacità di innovazione. Questo bando invece ha rovesciato il meccanismo, raccogliendo proposte di rottura rispetto alle prassi consolidate. Le organizzazioni hanno ricominciato a immaginare», spiega.

Sulla fascia 0/6 anni la modalità abituale di affidamento dei servizi è quella di rispondere a dei bisogni definiti dalla Pubblica amministrazione, in sostanza rispondendo a un capitolato. Questo bando invece ha rovesciato il meccanismo, raccogliendo proposte di rottura rispetto alle prassi consolidate. Le organizzazioni hanno ricominciato a immaginare

Federico Mento, CEO Human Foundation

C’è però un’altra risposta sorprendente, quella degli enti di ricerca che si sono candidati ad accompagnare questi progetti, seguendone la valutazione di impatto sociale. A dicembre Con i Bambini aveva lanciato una call per enti e istituti di ricerca, da cui è uscito un elenco di ben 34 soggetti, di cui 13 università (qui l'elenco completo). Human Foundation è uno dei 34 enti dell’elenco e sul bando 0/6 ha seguito una dozzina di progetti: «ci sono realtà con una storia importante e altre più nuove, ma direi che tutti quelli che si occupano di questi temi ci sono, chi doveva rispondere ha risposto. Questa grande partecipazione è un dato sicuramente positivo», afferma Mento, il suo direttore. «Sono tante davvero, io me ne sarei aspettato una ventina», commenta Enrico Testi, direttore di ARCO-Action Research for Co-Development, un’altra realtà che ha dato disponibilità a entrare nelle partnership per seguire la valutazione di impatto sociale e che in questo primo bando lavora con otto progetti: «Quel che non so è se Con i bambini abbia messo in elenco tutte le realtà che si sono candidate o se ha fatto una selezione. Ecco, questa sarebbe una bella domanda».

Alla prova dei fatti, la scelta di fissare la remunerazione per il gruppo di ricerca ad un massimo del 2% del contributo assegnato al progetto non sembra aver spaventato più di tanto. «Quel 2% è sbagliato, sinceramente l’ho trovato anche offensivo: ma come, finalmente si dà importanza alla valutazione d’impatto e poi non gli si riconosce un valore? È un’anomalia. Su un progetto piccolo ma innovativo significa 4mila euro, che non è nemmeno il costo di un monitoraggio, figuriamoci di una valutazione di impatto», spiega Testi. «Capisco che si vogliano lasciare più fondi alle azioni, ma c’erano altre vie, ad esempio dei fondi extra bando. Di certo, almeno nelle proposte che abbiamo seguito noi, anche contenendo al massimo i costi si sfora il 2%». E che si fa allora, si lavora in perdita? No: «con le organizzazioni più grosse faremo accordi per essere remunerati con fondi propri, però questa è una distorsione, perché le organizzazioni che hanno le spalle larghe possono fare determinate scelte, mentre un gruppo di piccole realtà no. E allora la domanda vera è che valutazione di impatto fai? Spero che nei prossimi bandi si risolva la questione». Anche per Federico Mento il problema è reale, anche se in parte superato dalle FAQ, dove «si è aperto uno spazio per una quantificazione budgettaria adeguata, cosa che denota la consapevolezza di Con i bambini che effettivamente il 2% poteva essere una barriera d’accesso. Penso sempre però che stimare una soglia per la valutazione d’impatto sia sbagliato, perché ciascun progetto è diverso, dipende dagli obiettivi valutativi che mi sono dato: una cosa è fare una validazione dell’intervento con metodi rigorosi e scientifici, un’altra limitarsi a stimare l’efficacia dell’intervento».

Con le organizzazioni più grosse faremo accordi per essere remunerati con fondi propri, però questa è una distorsione, perché le organizzazioni che hanno le spalle larghe possono fare determinate scelte, mentre un gruppo di piccole realtà no. E allora la domanda vera è "che valutazione di impatto fai"? Spero che nei prossimi bandi si risolva la questione

Enrico Testi, direttore ARCO

E così veniamo al punto. Un non addetto ai lavori si aspetterebbe che chiedere una valutazione d’impatto – ovvero per comprendere quali cambiamenti reali ha prodotto la mia azione o ancor meglio quanto del cambiamento che vedo è ascrivibile all’azione che ho fatto e non si sarebbe verificato in assenza della detta azione – per dei progetti di contrasto alla povertà educativa miri a poter confrontare poi tutte le diverse azioni realizzate e comprendere quali sono le più efficaci. Ci si aspetterebbe quindi forse che ci siano degli indicatori comuni da misurare. Non è esattamente così: il contrasto alla povertà educativa è effettivamente un tema molto ampio, gli obiettivi di ogni azione possono essere molto diversi fra loro, la valutazione è davvero cosa complessa. Nelle linee guida del bando non ci sono indicatori di outcome comuni, predefiniti, ogni progetto individua i propri. Si citano esplicitamente le tecniche controfattuali, ma non sono quelle attese in maniera esclusiva. Ogni ente – ricordiamo che restano competitor – prediligerà le metodologie con cui lavora abitualmente, declinandole in base a ogni singolo progetto. «Sicuramente in questo modo il lavoro da fare in futuro, quando si dovranno confrontare tutte queste esperienze per apprenderne la lezione, sarà più grosso anche se non impossibile», chiosa Testi. «Certo oggi la valutazione d’impatto in questi progetti è obbligatoria ma non si sa come avverrà il controllo di come verrà fatta quindi c’è il rischio che resti un esercizio formale. Da un lato le organizzazioni devono fare uno sforzo per avere ben chiaro il target e il cambiamento che vogliono portare, su questo vedo ancora confusione, alcune organizzazioni non sanno dove andare a parare perché non sanno perché valutano. Dall’altra parte però ovviamente confido che chi valuta i progetti conosca le metodologie di cui stiamo parlando e quindi sappia selezionare i progetti che garantiscono l’utilizzo di un set di metodologie coerente, magari per scale diverse».

«Rispetto ai prossimi bandi suggerirei di rivedere il formulario, in modo che incorpori la catena dell’impatto, così che chi valuta possa comprendere la relazione di causa fra attività e impatto», aggiunge da parte sua Mento. Anche il riferimento così insistito sul controfattuale per lui è una criticità, perché «passare da zero alla valutazione massimamente rigorosa può produrre tensioni nelle organizzazioni, a volte non posso avere il gruppo di controllo, anche per motivi etici o perché tra i partner c’è un ente locale che non può negare un servizio, a volte non posso avere accesso ai dati che mi servirebbero…».

L’auspicio di Tommaso Nannicini, delle Fondazioni bancarie e di quanti hanno voluto creare questo fondo sperimentale è quello di arrivare a capire, in tre anni, «quali sono i mezzi di intervento più efficaci. Lo faremo con protocolli seri di valutazione, perché l’obiettivo è che partendo da questa sperimentazione si arrivi a un intervento nazionale». Le premesse ci sono? «Direi di sì», afferma Mento: «fra tre anni avremo un buon deposito di evidenze e capiremo con buona approssimazione quali hanno generato un impatto. È una chance importante, anche se il problema non è tanto produrre saperi quanto l’uso che il decisore pubblico sarà disposto a farne». Anche Testi si dice ottimista: «Ci sono progetti validi e gruppi di ricerca validi, credo che ci saranno belle azioni e belle valutazioni di impatto. È una svolta, sì, benché forse avrebbe potuto essere anche più grande».

Sul tema leggi anche l'intervista con Tiziano Vecchiato, direttore di Fondazione Zancan.

Foto Unsplash, Naassom Azevedo


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