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«Accoglienza, le istituzioni aiutino i cittadini a capire come stanno veramente le cose»

Intervista a Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), in vista del suo intervento sabato 1 aprile alle 11.30 a Torino a Biennale Democrazia, assieme al prefetto Mario Morcone e a Raffaela Milano di Save the children. "Solo un'azione culturale allargata può permettere di superare i luoghi comuni. I flussi migratori non finiranno a breve, vanno gestiti per non essere subiti"

di Daniele Biella

È iniziata mercoledì 29 marzo 2017 e prosegue fino a domenica 2 aprile la quinta edizione di Biennale Democrazia, che si svolge con il titolo Uscite di emergenza: un focus sulle crisi del nostro tempo, alla ricerca delle risposte necessarie, ma anche di nuove strade da percorrere e di possibilità inedite. Tra questi temi, nel ricco programma (a questo link o scaricabile in coda) si parlerà anche di migrazioni, in particolare sabato 1 aprile alle ore 11.30 al Teatro Gobetti: discuteranno delle “Politiche di accoglienza in Italia” un Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale dello Sprar, Raffaela Milano, direttrice del Programma Italia-Europa di Save the children, e Mario Morcone, già capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione presso il Ministero dell’Interno. L'incontro si concentrerà sulla complessità – accresciuta dai numeri degli arrivi negli ultimi anni – della governance di un sistema di accoglienza sottoposto a una forte pressione e che dovrebbe però continuare a garantire i diritti dei richiedenti asilo. Vita.it ha raggiunto Di Capua – in vista dell’incontro di sabato – su alcuni dei temi centrali legati al sistema italiano ed europeo che accoglie migranti forzati.

Qual è oggi il nodo principale riguardo al tema dell’accoglienza?
La necessità di una programmazione precisa, di un impianto che vada a regime senza attese o perdite di tempo. Invece, oggi siamo di fronte a debolezze nel programmare l’accoglienza sia nella presa in carico delle persone. Intendiamoci: accogliere è una necessità impellente visti i flussi migratori in atto, oltre a essere un obbligo legislativo in Italia come in Europa. Detto questo, non si può trattare il tutto come un mero fenomeno logistico, c'è la vita delle persone in gioco, e quindi bisogna andare al di là dell’accoglienza, ragionando a fondo su quello che viene dopo, sull’integrazione. Ma servono più sforzi da parte di tutti, a cominciare dalle istituzioni.

Da dove partire?
Dagli aspetti culturali. Si sta facendo ben poco per fare capire veramente alla popolazione italiana quello che accade nei territori. Non è solo una questione di etica e solidarietà, ma di verità dei fatti e di corretta informazione. Faccio degli esempi: non è possibile che dopo anni di sbarchi, di numeri significativi ma non eccessivi (dati Onu: il 6% dei 65 milioni di profughi nel mondo ha cercato rifugio verso l’Unione Europea, e i richiedenti asilo in Italia, pur raggiunto il numero record di 180mila, sono lo 0,3% della popolazione, ovvero tre su mille, ndr) ci sia ancora la percezione di un’invasione, di una minaccia che non è per nulla tale. Oppure, si criticano a più livelli i fondi destinati all’accoglienza quando il 95% di essi, in particolare nei progetti Sprar, crea un indotto economico sui territori locali in termini di posti di lavoro degli operatori dei progetti e spese per vitto, alloggio e altre voci inerenti. Ancora, nessun posto di lavoro viene tolto dai richiedenti asilo agli italiani, e via dicendo. Purtroppo tutti questi ragionamenti fuorvianti non vanno nella direzione giusta, ovvero fare ragionamenti seri e competenti per migliorare il sistema laddove non funzioni su temi concreti.

Chi dovrebbe veicolare tale messaggio culturale?
Le istituzioni, prima di tutto. L’accoglienza coinvolge almeno tre ministeri: gli Interni per la questione della sicurezza, il Lavoro per il tema dell’integrazione, l’Istruzione per il lato educativo dei minori ma anche degli adulti. Questi tre enti però devono dialogare fra loro il più possibile, evitando che ognuno vada per la sua strada e il cittadino abbia una visione parziale del fenomeno. Lo stesso cittadino, in quanto essere umano, dovrebbe fare poi una riflessione personale: siamo davvero coerenti con i nostri valori? Se diciamo di rispettare i diritti umani, poi siamo disposti a portare avanti fino in fondo questa decisione cercando di capire fino in fondo le necessità dei richiedenti asilo? Faccio un paragone con l’ambiente: siamo quasi tutti ambientalisti a parole, poi però in alcune città la raccolta differenziata viene fatta solo dal 50% degli abitanti. È difficile essere coerenti fino in fondo anche nei valori di solidarietà reciproca, ma è un passo importante. Per questo sulle migrazioni bisogna andare a fondo nella ricerca di informazioni chiare e veritiere.

A livello nazionale, dopo anni di gestione emergenziale del fenomeno migratorio, sembra che ora anche il Governo sostenga il modello di accoglienza Sprar (Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati, con progetti di cui i Comuni sono enti capofila) come punto di arrivo anche per gli attuali Cas, Centri di accoglienza straordinaria, gestiti dalla Prefetture. Ovvero, dall’emergenza alla gestione strutturale e territoriale dei flussi. Sta passando questo messaggio a enti locali e cittadini?
I Comuni aderenti sono in crescita, ma bisogna fare di più. Come Servizio centrale Sprar (che ha tra le tipologie di progetti anche quella dedicata ai msna, minori stranieri non accompagnati: verso di loro, il 29 marzo 2017, il Parlamento ha approvato in via definitiva una legge migliorativa, ndr)iamo andando a incontrare amministratori e abitanti d’Italia per spiegare la convenienza di questo tipo di accoglienza. Una volta ottenute le informazioni necessarie, vediamo che l’atteggiamento delle persone cambia, a volte anche di quelle prima schierate contro ogni forma di accoglienza, perché viene superato lo sbarramento ideologico a favore del pragmatismo: siamo di fronte a flussi che dureranno nel tempo, bisogna trovare vie per gestirli, anziché subirli.


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