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Cooperazione & Relazioni internazionali

Giorno zero: i preparativi e le raccomandazioni di un viaggio cosmopolita

Il primo racconto di Daniele Biella, giornalista di Vita a bordo della nave Aquarius dell'ong Sos Mediterranée, alla vigilia della partenza da Catania verso il cuore del mare Mediterraneo

di Daniele Biella

Daniele Biella, giornalista di Vita e autore di due apprezzati libri sul tema delle migrazioni forzate, racconta il viaggio a bordo della nave Aquarius con la nuova missione umanitaria dell’organizzazione non governativa italo-franco-tedesca Sos Mediterranée. Il suo Diario di Bordo ci accompagnerà per tutta la durata del viaggio

Quando ci si trova di fronte a un’emergenza, chiunque è importante. Anche voi giornalisti siete parte dell’equipaggio, e quindi in quel momento potete lasciare da parte i vostri strumenti di lavoro e aiutare a salvare vite in pericolo”. Più volte, durante queste prime 24 ore a bordo della nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranée, ancorata nel porto di Catania in attesa della partenza prevista per la mattina di domenica 10 settembre, mi è stata rivolta questa raccomandazione.

L’ha detto Madeleine, la Sar (Search and rescue, Ricerca e soccorso) coordinator austrialiana del rescue team di Sos Mediterranée, l’ha ribadito Marcella, Project coordinator olandese dell’equipe di Medici senza frontiere (le due persone a cui ognuno di noi farà riferimento a bordo, oltre al comandante della nave), te lo dicono i marinai e gli altri volontari a bordo nelle prime chiacchierate in cui cerchi di familiarizzare con quella che sarà la comunità di persone con cui passerai i prossimi lunghi giorni in mare.

Una raccomandazione che fa capire il clima: siamo tutti una squadra. E questo lo noti subito, negli sguardi, nella volontà di ascoltarti, di farti sentire parte di un gruppo in cui arrivi con un ruolo ben preciso – documentare – in mezzo a persone che sono settimane se non mesi che operano nel salvataggio di migranti nel Mar Mediterraneo. C’è un’aria che fa bene alla salute, tra gli stretti corridoi dell’Aquarius, persino nello shelter, il “rifugio” dove si tengono i briefing ma che è diventato tante volte il luogo in cui i migranti appena recuperati dal mare hanno trovato un primo ristoro e le cure mediche necessarie. “Dall’inizio delle operazioni, 18 mesi fa, sei bambini sono nati a bordo dell’Aquarius”, ti viene detto e capisci la pazzesca umanità che passa da questa nave, umanità scalfita ma non sconfitta da violenze attraverso il viaggio migratorio, come se non bastasse il lasciare forzatamente la propria casa, per qualsivoglia ragione.

La prima riunione, una vera e propria “accoglienza” – ognuno si presenta brevemente agli altri – del team di questa nuova rotation, rotazione (questo il termine che si usa per indicare la missione in mare, che può durare un massimo di tre settimane), è alle 8.15 del mattino. E’ un appuntamento che rimarrà ogni giorno, perché ci si scambieranno informazioni sulla rotta, sulla situazione nelle acque mediterranee, sugli attori coinvolti negli eventuali salvataggi, su tutte le necessarie cose della vita a bordo. In tutto i membri sono una quarantina, tra marinai, operatori di Sos Mediterranée e di Msf e noi giornalisti, che siamo in quattro: io, Antonio e Toni dell'agenzia di stampa Reuters, Raphael della radio nazionale pubblica francese. Madeleine e Marcella parlano con voce pacata ma decisa, spiegano ogni fase che avremo di fronte nei prossimi giorni: dal warm up, l’allenamento pratico per ogni azione legata ai salvataggi, allo sprint, il momento più critico, quello del recupero di persone in mare, fino alla marathon, il ritorno a un porto indicato dalla Mrcc, Il Centro di coordinamento centrale della guardia costiera, che dalla propria sede centrale di Roma in qualsiasi momento coordina le navi in mare, che siano di ong, agenzia europea Frontex o mercantili di passaggio.

Più tardi, dopo avere familiarizzato con le cabine, la sala mensa – fin dal primo pranzo capisco che la qualità della cucina a bordo sarà un elemento vincente del viaggio, mentre il caffè è quello lungo dei thermos, ma la componente italiana a bordo è dotata di qualche fondamentale caffettiera – e le parti esterne della nave, anche con una prima simulazione del protocollo in caso di abbandono urgente della nave, alle 13 c’è il primo momento di scambio di informazioni tra le due coordinatrici, i referenti dei media delle due ong e noi giornalisti: ci viene spiegato quello che possiamo e non possiamo fare, dobbiamo e non dobbiamo (dall’approccio alla vera anima della nave, i marinai, a come comportarsi con donne, uomini e bambini in condizioni di estrema vulnerabilità che potremmo recuperare a bordo) e anche in questo caso il clima è disteso, schietto, favorevole. “Siamo qui per facilitare il vostro lavoro, perché il significato dell'accettare di avervi con noi è quello che la documentazione di quello che accade è oltremodo importante, e viene subito dopo il salvataggio: l’opinione pubblica deve sapere da fonti dirette quello che sta accadendo in questi anni tragici nel Mar Mediterraneo".

Verso metà pomeriggio si sale nel bridge, dove si trova la sala comandi, e qui conosciamo il chief commander, comandante in capo, russo. “Siamo su una nave, ricordatevelo, muovetevi di conseguenza, attenti a non farvi male e con il rispetto massimo per persone e cose”, esordisce con piglio autorevole, come ogni comandante che si rispetti. “Ma non venite troppo spesso qua sopra con telecamere e quant’altro, mi raccomando”, si scioglie poi in una grossa risata. Da lì a poco inizia un altro momento importante: il training medico per le situazioni di emergenza, in particolare la Cpr (il massaggio cardiaco) per le persone che hanno perso coscienza e la messa in posizione laterale per evitare il soffocamento. È Margherita, referente medico italiana di Msf, a darci informazioni e simulazioni, affiancata da uno staff proveniente dai quattro angoli del pianeta, così come lo sono le altre qupie, quella di Sos Mediterranée e i marinai: a conti fatti, è rappresentato ogni continente, nel piccolo-grande mondo dell’Aquarius, dove la lingua ufficiale è l’inglese e l'età media di questa rotazione è attorno ai 30-35 anni.

Quando si avvicina il tramonto, di una giornata piacevole e comunque emozionante – per me è la prima volta che passerò più di due notti in mare – è tempo di scendere dalla nave per un ultimo saluto alla terraferma prima dell’inizio del viaggio. Catania ci aspetta con le sue luci ammalianti: è sabato sera, le strade sono piene di giovani, i ristoranti di famiglie, turisti. Noi si è invitati dall’equipe della terraferma di Medici senza frontiere catanese (che gestisce un ambulatorio per persone uscite dall’ospedale cittadino dopo interventi medici e quindi ancora in condizioni di vulnerabilità) per un barbecue a base di pesce.

Com'è giusto che sia, a bordo sono vietate birra e qualsiasi altra bevanda alcolica. In mare, si deve rimanere lucidi, sempre e comunque. Ancor più se hai davanti una missione delicata, in cui potresti fare la differenza tra la vita e la morte di esseri umani. Al ritorno sulla nave, i saluti e le prime raccomandazioni per il giorno successivo, l’inizio del viaggio vero e proprio: “ci sarà mare calmo fino alle 17, poi si prevedono ore di mare mosso, siete pronti a ballare, dear journalists?”. Scambio di occhiate con i colleghi: sì, siamo pronti.


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