Economia & Impresa sociale 

Dopo il Piano povertà, il Piano formazione: la ricetta Acli per il lavoro

Da oggi a Napoli le Acli riflettono sul lavoro e i giovani al tempo dei robot nel corso del 50esimo Incontro nazionale di studi. Un evento che vedrà la presentazione di un Piano strategico nazionale per la formazione, non una sola legge ma un investimento nel futuro del paese. Il presidente spiega di cosa si tratta e perché è assolutamente necessario

di Gabriella Meroni

Si apre oggi a Napoli il 50esimo Incontro nazionale di studi Acli, il cui titolo – “Valore Lavoro. L'umanità del lavoro nell'economia dei robot – riporta immediatamente a uno dei pilastri che hanno dato vita e continuano a dare senso all’opera di questa associazione: il lavoro inteso come valore, e indissolubilmente legato all’umanità, alla persona. Un tema caro a tutti gli aclisti, reso ancora più interessante da un’epoca, la nostra, in cui i cambiamenti in questo settore procedono a un ritmo impensabile anche solo vent’anni fa. «Sì, i cambiamenti che investono i processi produttivi, in particolare Industria 4.0, sono enormi», riflette il presidente Roberto Rossini, che da sociologo qual è mantiene uno sguardo appassionato e professionale insieme su questo mondo in movimento. «Per questo, lungo il percorso culturale di avvicinamento al 50° Incontro di studi abbiamo voluto rafforzare la fedeltà ai lavoratori delle Acli, chiedendoci quali saranno le conseguenze per lo sviluppo economico del Paese, ma soprattutto per i lavoratori e le lavoratrici, di questa rivoluzione in atto».


Cosa indagherete in questo Incontro di Studi, e con quali obiettivi?
Se siamo dentro una rivoluzione, allora stiamo anche andando verso un nuovo scenario sociale. Le forme tradizionali di lavoro resistono, ma a queste se ne affiancano di nuove. I processi cambiano e fanno nascere nuove filiere, la tecnologia avvicina progettazione e realizzazione (pensiamo alle stampanti 3d), si sviluppano forme di condivisione per stimolare la creatività, come il co-working, lo smart working e il telelavoro cambiano i ritmi e gli stili lavorativi. È il trionfo della flessibilità, della comunicazione e coordinamento, la sconfitta della subordinazione e ripetitività. Uno scenario che fa emergere domande, ma anche preoccupazioni.

Quali?
Si rischia di investire sui poli ad alta intensità economica lasciando zone completamente isolate, di non investire nell’aggiornamento e nella ricollocazione di figure che oggi non hanno le competenze che l’economia richiede. Ci chiederemo quali figure professionali avranno futuro, come valorizzare i lavori relazionali e di cura, come incentivare la condivisione dei compiti, su quali imprese e start up investire per promuovere scenari innovativi. Con un occhio particolare al sistema dell’istruzione e della formazione, per lo sviluppo e la riforma del quale proporremo un Piano strategico articolato in sei punti.

Ci arriviamo subito. Mi sembra quindi di capire che i giovani saranno al centro della vostra riflessione?
Sicuramente. Le nuove generazioni sono sempre state quelle più penalizzate nel percorso di inserimento lavorativo. Oggi la loro difficoltà è ancora più evidente, come ha confermato la nuova ricerca Iref che presentiamo integralmente qui a Napoli. Agli ostacoli tradizionali che incontravano se ne aggiungono di nuovi, dovuti alla trasformazione dei processi lavorativi, che rendono più difficili gli scambi di esperienze tra le generazioni. L'attenzione alla condizione giovanile, intesa anche come voce dei giovani, visione della realtà e proposte, sarà centrale nell'Incontro di studi 2017.

Si parlava prima di proposte concrete nel campo della formazione e dell’istruzione: voi proponete addirittura un Piano strategico nazionale… non sarà un po’ troppo ambizioso come progetto?
Non credo. È il nuovo scenario di cui abbiamo parlato prima che chiede competenze differenti, ma non ci si arriverà mai se non si investe in maniera complessiva e visionaria sulla qualità delle scuole, andando in tre direzioni: potenziamento della filiera istruzione-formazione professionale, apprendimento per competenze e dall'esperienza, e una maggiore diffusione dell'apprendistato formativo. Abbiamo la possibilità di indirizzare le trasformazioni di industry 4.0 e della gig economy dentro binari che valorizzino l’idea di un’economia circolare, rispettosa delle persone, delle comunità, della natura. Altrimenti il processo in atto porterà a situazioni inique e tecnicistiche che sviliranno l’umanità del lavoro.

In che cosa consiste il Piano?
Si tratta di una strategia in sei punti, che comprende, oltre a investimenti nella formazione professionale, la revisione dei criteri di accreditamento per le strutture formative, l’introduzione di un credito di imposta per gli investimenti realizzati dagli Enti di formazione, consentendo la detraibilità delle erogazioni liberali, e l’incremento dei finanziamenti destinati alla sperimentazione del sistema duale. Con un’importante sottolineatura: occorre investire in un sistema accogliente di formazione professionale. Di fronte all’imponente massa di flussi migratori, la formazione professionale può diventare "hub" per la formazione dei giovani migranti, anche attraverso il riconoscimento delle competenze già acquisite.

Diamo uno sguardo al futuro. Come sarà il lavoro prossimo venturo? Quale potrebbe essere la chiave per farlo decollare senza stritolare i lavoratori?
Abbattere il cosiddetto mismatching, ovvero la mancata coerenza tra bisogni economici e formativi. Troppo spesso accade che il sistema economico abbia bisogno di alcune figure che il sistema formativo non produce, e viceversa. Abbiamo bisogno di recuperare il mismatching e creare un sistema che garantisca la formazione utile sia all’industria 4.0 sia a mantenere un alto livello di aggiornamento per tutto l’arco della vita. Sarà necessaria davvero una formazione continua, perché le competenze diventeranno presto obsolete e le professioni cambieranno, diventando pù complesse e richiedendo abilità che prima erano riferite ad ambiti diversi e distinti. Sarà necessario formare velocemente competenze transdisciplinari, che attraversino le divisioni tra mondi che oggi la tecnologia ha già unito.


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