Cooperazione & Relazioni internazionali

Giorno sei: canti e balli tra racconti tremendi e liberazione collettiva

Dopo la giornata di recuperi in mare, sull'Aquarius venerdì 15 settembre è stato un giorno di conoscenza, catarsi e soprattutto festa per la morte evitata nel viaggio migratorio. Ecco la nuova pagina scritta da Daniele Biella a bordo della nave dell'ong Sos Mediterranée

di Daniele Biella

Ventuno ore. Sono quelle in cui sono rimasto sveglio (dalle 6 di mattina alle 3 di notte) venerdì 15 settembre 2017, sesto giorno di navigazione della nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranée ma soprattutto primo giorno intero con a bordo le 371 persone salvate in mare il giorno prima. Niente eroismi: l’avreste fatto anche voi. Perché 371 nuove paia di occhi che vi ringraziano – nonostante gli diciate che siete giornalisti, e il merito va tutto agli operatori di Sos Mediterranée e Msf – sono un’esperienza talmente irripetibile che vi viene voglia di tuffarvi dentro, in quegli occhi.

Sguardi che raccontano storie ancora prima di far uscire le parole, che arrivano una volta passata la paura della morte, quando ciascuno con i propri tempi realizza che sì, la Libia e il deserto, le torture e le privazioni sono lontane, e davanti a sé si ha finalmente qualcuno di cui fidarsi, a cui riversare come cascata in piena la propria storia: perché anche se sarà dura, tremenda in molti casi (non tutti, menomale), chi ascolta è pronto a farsi carico anche dell’indicibile. Ho passato ventuno ore così, quindi, a parte i momenti sotto coperta per i pasti e le frequenti docce data la giornata molto calda: passate ad ascoltare e cercare di capire, ascoltare e mettere assieme i pezzi, ascoltare ed empatizzare, ascoltare e lasciarsi scivolare addosso una rabbia primordiale verso la malvagità a cui può arrivare l’essere umano contro un suo simile.

Una ragazza nigeriana abusata che trova ancora la forza di sorridere “perché la Libia è oramai distante”, un padre di famiglia marocchino trapiantato da anni in Libia che si è trovato obbligato a scappare con la moglie e i tre figli dopo che gli è stato rapito il mezzano, 13enne, in casa a Tripoli, poi liberato cinque giorni dopo in cambio di un riscatto di 10mila dinari, più di 4mila euro. Minorenni non accompagnati e giovani adulti con addosso segni di sevizie e morsi di cane, tanti: “e se uscivamo dalla stanza, erano botte e pericolo di ricevere pallottole”, mi dice un ragazzo del Gambia che ne ha viste davvero di ogni, venduto più volte dalle bande di trafficanti tra il deserto e la Libia e reduce da lunghi mesi in prigioni illegali. Ancora, persone che hanno perso i fratelli o i figli in mare, in una discesa all’inferno che trova conforto solo nelle storie di chi è stato meno sfortunato, ovvero è riuscito a scampare alle violenza ma non agli almeno mille dollari a testa da pagare per partire: la famiglia siriana di Daraa con cinque splendidi figli con cui ho passato lunghi momenti a dare e ricevere sorrisi, il bambino camerunense che diceva bateau (barca) ogni volta che si girava a guardare i gommoni di salvataggio issati sul deck dell’Aquarius facendo ridere decine di persone alla volta.

Tante, tantissime altre situazioni di leggerezza che hanno il sapore di un possibile nuovo inizio dopo quanto passato per terra e per mare in quel viaggio migratorio che la comunità internazionale non riesce a gestire in modo lungimirante e pensa invece solo a bloccarne l’ultima parte senza riuscire davvero a impostare un piano di rimozione delle cause.

Non sono mancati i momenti di liberazione collettiva, agevolati dalla musica degli djembe e dai canti tradizionali durante e dopo il tramonto. Canzoni subsahariane prima e nordafricane poi (era presente un minoritario ma cospicuo gruppo di giovani marocchini), con alcuni momenti di foga eccessiva che venivano moderati dagli operatori di Sos Mediterranée e dagli stessi migranti. E tanti ragazzi africani che chiedevano pennarelli per disegnare e scrivere sulle magliette messaggi di ringraziamento per avercela fatta, destinati spesso al Dio/Allah che li ha accompagnati nella buona e cattiva sorte.

Mary, Dragos, Benedetta e altri operatori di Sos Mediterranée si sono alternati alla distribuzione di cibo, pane e prodotti energetici, che è stata molto ordinata così come la gestione della sporcizia nonostante il numero di persone così alto a bordo. Sul calare della notte, ‘solita’ miriade di stelle e un pensiero fisso: all’alba, vedremo apparire l'Italia. Arriveremo a Trapani, di prima mattina, per le pratiche di sbarco: agli stessi migranti viene spiegato come verranno effettuate da Noor e Stefan, operatori di Msf, in inglese, francese e arabo. Poi via, ognuno incontro al destino, ma lontano, si spera per sempre, da aguzzini e persone deviate.

Leggi le puntate precedenti correlate in basso. Credit foto: Daniele Biella


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