Cooperazione & Relazioni internazionali

«Noi in Libia ci andiamo». Ecco per fare cosa

Parlano i rappresentanti delle sei organizzazioni non governative che si sono aggiudicate il bando dell'Agenzia per la cooperazione allo sviluppo con progetti che avranno iinizio a metà gennaio e dureranno quattro mesi in tre centri di detenzione per migranti. Nel frattempo in mare l'ultima strage conta almeno cento dispersi

di Daniele Biella

Nel mar Mediterraneo si continua a morire: almeno cento le persone disperse nella giornata di martedì 9 gennaio 2018 (16 i superstiti recuperati dalle autorità libiche) in seguito a due naufragi avvenuti in acque internazionali, dopo i 64 tra morti e dispersi della tragedia avvenuta il giorno dell'Epifania. Tutti partiti dalla Libia, luogo in cui persone migranti di decine di provenienze diverse, in gran parte Africa Subsahariana, sono "intrappolate" in carceri ufficiali o illegali. Proprio nel delicato contesto libico, il governo italiano tramite Aics, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (ente del Mae, Ministero affari esteri) ha fatto nell’autunno 2017 una richiesta al mondo delle ong italiane: chi vuole operare in tre centri (di detenzione) per migranti gestiti dalle autorità libiche? Si tratta di tre centri regolari – Tarek al Matar, Tarek al Sika e Tajoura – ritenuti i meno peggio e in grado di ospitare in tutto qualche decina di migliaia di persone a fronte degli 800mila stimati (dati Unhcr, Alto commissariato Onu per i rifugiati) nelle strutture irregolari in mano alle milizie. Stiamo parlando di un’azione da quasi 2milioni di euro che nel contesto appena descritto ha tracciato una riga netta: “andare o non andare?”, si sono chieste le 25 ong italiane partecipanti ai tavoli di preparazione a Roma e Tunisi. Alla fine, sette hanno aderito al bando, e sei l’hanno vinto (escluso il progetto del Gus): sono Cefa, Cir e Fondazione Albero della vita che si sono riunite in una Ats (finanziata con 666mila euro, in gran parte a Cir), Ccs e l’ong svizzera Fsd (662mila, soprattutto a Ccs), Emergenza sorrisi (329mila) e Cesvi (296mila). Da metà gennaio, una volta risolti i problemi burocratico-bancari, si parte per quattro mesi di attività.

Per fare cosa? “Con Cir e l’ong libica Iocs che si occupano della distribuzione di coperte, cibo e medicinali e Albero della vita focalizzata su donne e minori, coordineremo in modo congiunto delle formazioni a medici libici che poi entreranno nei centri e di tutela dei diritti umani ai 70 funzionari del centro di Tarek Al Matar”, spiega Andrea Tolomelli, responsabile area Med per l’ong Cefa. “ Nel centro sono presenti 2900 persone in condizioni critiche con assistenza medica quasi nulla e un piatto di riso al giorno, sottoposti a duri trattamenti che speriamo cambino con il nostro intervento”. Cefa opera in Libia dal 2017 anche con un altro bando governativo, mentre Cir fin dal 2011 sia dentro che fuori alcuni centri. “Vogliamo migliorare le condizioni dei migranti ma anche avvicinare la società civile libica al tema, perché finora non ne è coinvolta, anche per le dure condizioni in cui si trova”. A Sebha, per esempio, le poche strutture sanitarie erano escluse ai migranti. “Fuori da Tarek Al Matar prevediamo un presidio dedicato sia ai migranti che ai cittadini, con medici che vadano all’interno almeno ogni 10 giorni”. Si parte da zero, e ogni passo è lento “ma necessario, in un luogo in cui bisogna innanzitutto sradicare la violenza e trovare il modo per chiuderlo garantendo valide alternative ai presenti, con l’aiuto di Unhcr e Oim, quindi dell’Onu”. Cefa sfrutterà le competenze acquisite nei dieci anni di presenza nelle carceri del Kenya, affiancata da azioni di child protection di Fondazione Albero della vita: “l’obiettivo è creare spazi sicuri per donne e bimbi, con un pronto soccorso psicologico, dopo avere formato personale di ong locali e guardie del centro”, spiega Ivano Abbruzzi, presidente della Fondazione. La formazione “avviene a Tunisi, in collaborazione con il Rires, unità di ricerca sulla resilienza dell’Università Cattolica di Milano”.

Per tutti i progetti del bando i corsi saranno nella capitale tunisina “per problemi di sicurezza in Libia”. A differenza del primo intervento, gli altri riguardano tutti e tre i centri coinvolti: oltre a Tarek al Matar, anche Tarek al Sika e Tajoura. L’ong Ccs, già operativa in collaborazione con Aics da ottobre 2017 nel sud libico (regione di Fazar) con l’attivazione di centri di salute, interverrà con operatori locali nei tre centri nel ristrutturare bagni e condutture per l’evacuazione delle acque nere e nel distribuire kit igienici per donne, vestiti adeguati alle temperature del periodo invernale e generi di prima necessità non alimentari. Con Ccs collabora l’ente svizzero Fsd, che inserirà microchip nei beni poi distribuiti per una tracciabilità sia via terra che satellitare. Emergenza sorrisi si occuperà invece di salute: “il nostro target è sanitario, a stretto contatto con 15 medici libici che formeremo e andranno a operare dentro e fuori i campi”, spiega il presidente Fabio Abenavoli. “A loro forniremo poi tablet e una piattaforma online per un continuo scambio di informazioni”. L’ong punta anche a un altro traguardo: “collocare strutture mediche mobili nei tre centri per visite e assistenza diretta per tutelare al massimo chi è dentro”.

Un concetto, quello della tutela, ribadito anche da Daniela Bernacchi, direttore generale di Cesvi, che mette nero su bianco la decisione di operare in questo contesto a dir poco drammatico: “Non scendiamo a compromessi, se vediamo che non riusciamo a incidere non proseguiremo oltre”. Cesvi sarà supporto psicologico e di recupero dai traumi, nello specifico con sei operatori psicosociali, sei addetti allo screening medico, uno psicologo e un coordinatore. Persone locali, come lo sono gli altri cooperanti di Cesvi, presente in Libia dal 2011: “da allora siamo a Bengasi, Sirte e Tripoli con progetti per trovare case protette e di cash for work per migranti. Stanno funzionando, per questo riteniamo coerente esserci anche in questa nuova azione. Ma siamo operatori umanitari, e denunceremo ai nostri donor ogni eventuale violazione”.


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