Attivismo civico & Terzo settore

Servizio civile, cresce il numero dei volontari maschi

Dal 2009 a oggi si è passati dal 34 al 41%, ovvero quasi uno su due, relativamente ai giovani impiegati con Asc, Arci servizio civile. È uno dei dati dell'ultimo report di monitoraggio sui progetti, che coinvolgono 1830 persone. "Sono di più perché in tempi di crisi occupazionale la ritengono un'esperienza che aumenta di trovare poi un lavoro", spiega la curatrice del rapporto Elisa Simsig

di Daniele Biella

Sempre più maschi svolgono il servizio civile nazionale: è questo uno dei dati più rilevanti del report di Asc, Arci servizio civile, sul monitoraggio dei progetti avviati nell’anno 2017, diffuso nelle ultime ore. “Siamo al 41 per cento di volontari. Nel 2009 era al 34 percento. Il servizio civile è ancora per lo più composto da volontarie ma il divario sta diminuendo anno dopo anno”, sottolinea Elisa Simsig, ricercatrice e curatrice del rapporto. Che esce in più fasi: a questa prima pubblicazione (disponibile anche in allegato) ne seguiranno altre con cadenza settimanale, “proprio per l’ottima mole di dati ottenuti, essendo riusciti a intervistate tutti i 1830 giovani avviati in servizio con Asc”. Perché i maschi sono in aumento? “Sono emerse due ragioni prevalenti: la prima è che i giovani ritengono i nuovi progetti più interessanti rispetto al passato, la seconda riguarda il lavoro, ovvero ora c’è una maggiore presenza di volontari maschili perché è più difficile l’accesso a una professione e quindi il servizio civile diventa un ottimo modo per fare esperienza”, indica Simsig.

Un censimento vero e proprio che riserva altri dati interessanti oltre a quello relativo al genere: “per quanto riguardi gli studi compiuti da chi entra in servizio, il 34 per cento è laureato, il 60 per cento diplomato”, sottolinea la curatrice del rapporto Acs. Se il dato dei diplomati è in linea con la cifra nazionale rilevata dall’Istat, i laureati che svolgono il servizio civile sono il doppio in percentuale rispetto ai laureati sul totale della popolazione (17 per cento), “ciò significa che c’è una maggiore richiesta relativa per chi esce dall’Università”. I dati relativi ai territori di provenienza, invece, riservano conferme con una novità: “il 40 per cento dei volontari vive nel Sud e nelle isole, il 22 per cento al Centro, il 38 per cento a Nord, Emilia Romagna compresa”, illustra Simsig. “La novità è l’aumento graduale dei volontari dall’area Nord-Ovest rispetto al passato”, in particolare quindi il Piemonte.

Un’ulteriore parte interessante del report riguarda la lista dei progetti “promossi” o “bocciati” dagli stessi giovani in servizio, con le relative motivazioni. Quando un progetto viene considerato negativo? “Innanzitutto quando il rapporto che il giovane ha con il proprio Olp, Operatore locale di progetto, è difficoltoso e, per esempio, si generano incomprensioni”, risponde Simsig alla luce del feedback dato dagli intervistati. “Una seconda ragione importante è quando si rompe il patto tra l’ente che ha promosso il progetto e il volontario, e ciò avviene quando il progetto nella pratica non corrisponde a quanto scritto sulla carta al momento dell’avvio”. Subentra così un’insoddisfazione del giovane in servizio, “perché se una persona ha accettato l’incarico sapendo di dovere poi svolgere certe mansioni ha chiaro il suo obiettivo e non vuole vederlo stravolto”, conclude la ricercatrice.


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