Cooperazione & Relazioni internazionali

Con Themis le navi Ue riporteranno i migranti salvati in Libia? No, ma…

La nuova Operazione dell'agenzia europea Frontex fa prevalere l'opzione del porto più vicino rispetto a quello più sicuro: stop alla prassi di arrivo esclusivo in Italia e incertezza sui futuri luoghi di sbarco, anche se Frontex stessa rassicura sul rispetto della legge marittima internazionale. Manzione, sottosegretario agli Interni: “L'Europa si conferma a due velocità sul tema migranti: per le operazioni di controllo delle frontiere si decide rapidamente, per le alternative ai drammatici viaggi in mare - come i corridoi umanitari - non si arriva mai al dunque”

di Daniele Biella

Da oggi mercoledì primo febbraio 2018 cambiano le regole europee di salvataggio di migranti in mare: l’Agenzia Ue per il controllo delle frontiere, Frontex, chiusa un’operazione in scadenza (Triton) nel lancia un’altra dal nome Themis (la sposa di Zeus nella mitologia greca). Cambiano in meglio? A prima vista, non proprio. Anzi, con il passare delle ore dopo le prime dichiarazioni ufficiali del capo di Frontex Fabrice Leggeri, la preoccupazione per chi si occupa di monitoraggio dei diritti umani è in forte ascesa. Con un motivo prevalente: non l’ufficializzazione del limite massimo di avvicinamento a 24 miglia dalle coste libiche – già in atto da metà del 2017 anche da parte delle organizzazioni umanitarie, con l’avanzare spesso aggressivo della Guardia costiera libica nella SAR zone, zona di Ricerca e Soccorso, all’indomani del trattato con l’Italia – ma il nuovo approccio nelle pratiche di salvataggio, contenuto nelle regole di Themis ratificate dalle componenti di Polizia di frontiera dei singoli Stati: sparisce il riferimento alla necessità di sbarcare nel porto più sicuro e prevale quella del “porto più vicino” e quindi non per forza l'Italia, come invece era imperativo con Triton. Cosa significa? Nella lista dei possibili Paesi dove fare sbarcare le persone migranti appena recuperate dal mare appare la Libia. Proprio quella Libia in cui schiavismo e torture sono all’ordine del giorno in diverse sacche di disumanità controllate da milizie e trafficanti e da cui la stessa Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite, sta evacuando sempre più persone per toglierle proprio da quelle violenze.

“Sì, la Libia è nella lista dell'area di azione di Themis e quindi in teoria potrebbe esserci l’eventualità di un approdo nei suoi porti con questa nuova missione”, rileva Domenico Manzione, sottosegretario agli Interni del governo italiano e da anni in prima linea nel cercare di gestire le complesse dinamiche sia del flusso migratorio verso il nostro Paese sia dell’accoglienza di chi riesce ad arrivare sano e salvo in Italia e in Europa. Tale preoccupazione ha pervaso gran parte della giornata di oggi, fino alla dichiarazione della portavoce di Frontex, Isabella Cooper, all'agenzia Reuters, che sembra gettare acqua sul fuoco: "continueremo a seguire la legge marittima internazionale che impone di portare le persone recuperate nel posto sicuro più vicino". La lista delle nazioni comprende anche, tra gli altri, Grecia, Spagna, Tunisia, Algeria e Malta. "Quest’ultima, in particolare, vedremo se e come cambierà il proprio atteggiamento di chiusura agli sbarchi tenuto negli ultimi anni, che è resistito anche di fronte di procedure di infrazione dell’Unione europea”, sottolinea Manzione.

C’è un dato di fatto che, più di ogni altra cosa, è da tenere a mente se si vuole capire l’impostazione di Frontex, e quindi della stessa Ue: “ricordiamoci che la gestione dell’immigrazione non è la mission principale dell’Agenzia, ma è la sorveglianza delle frontiere esterne”, indica il sottosegretario agli Interni. Se con Themis si dà più enfasi rispetto a Triton a un più rigido controllo di chi arriva, contro il rischio terrorismo e foreing fighters – anche aumentando la presenza del personale di Frontex nei luoghi di sbarco europei – rimane palese che oggi più che mai quella che viene spesso indicata dalla società civile come la Fortezza Europa è un raggruppamento di Stati che pensa quasi del tutto all’aspetto securitario e in minima parte a quello umanitario. “E’ ancora più forte di prima la sensazione di un’Europa che ha una doppia velocità a seconda delle decisioni da prendere”, rimarca Manzione. In che senso? “Alcune decisioni, come questo rinnovo dell’operazione in mare anche per l’imminente scadenza, vengono prese rapidamente. Altre più di carattere solidaristico – come l’istituzione dei corridoi umanitari, vie legali di accesso in Europa – non trovano mai un accordo finale collettivo nonostante anni di esempi di singole buone prassi, ovvero soluzioni che in Italia, per esempio, la società civile ha già adottato con numeri bassi ma virtuosi”. Anche l’ottimo esempio di ponte umanitario tra la Libia e l’Italia, avvenuto poco prima del Natale 2017, “è avvenuto grazie a Unchr, Alto commissariato Onu per i rifugiato e Cei, Conferenza episcopale italiana, e noi come ministeri di Interni ed Esteri l’abbiamo appoggiato. Ma da soli, ovvero senza la collaborazione di altri Stati europei: su questo aspetto ciascuno va per proprio conto, purtroppo”, aggiunge il sottosegretario.

A fianco della novità di Themis, rimane un altro punto caldo che né l’Italia e men che meno la Ue riescono a gestire: il comportamento unilaterale, in molti casi, della guardia costiera libica nei salvataggi in mare, soprattutto nei confronti delle poche ong, organizzazioni non governative, rimaste coraggiosamente in mare a salvare vite. In uno scenario di cambiamento operativo di Frontex, non passa settimana senza che una nave umanitaria venga approcciata aggressivamente dai libici. È successo verso la fine della scorsa settimana con l’Aquarius dell’ong italo-franco-tedesca Sos Mediterranée ( l’unità della Guardia costiera libica in piene acque internazionali ha scavalcato l’ordine della Guardia costiera italiane di far intervenire l’ong nel salvataggio di un’imbarcazione e ha intimato i volontari di tenersi a distanza rifiutando la collaborazione), è accaduto di nuovo ieri 31 gennaio 2018 con l’ong Proactiva Open Arms che a ben 40 miglia marine dalla Libia ha assistito impotente a un’operazione di recupero dei libici (che quindi non avevano ragion d’essere in quell’area) il cui metodo “verrà denunciato al Tribunale europeo dei diritti umani”, specifica la ong nel seguente messaggio via twitter.

Di fronte a interventi delle autorità libiche che creano difficoltà all’operato delle ong, in particolare in acque di giurisdizione internazionale, sia chiaro che esprimiamo vicinanza agli operatori umanitari e disagio per quanto avviene. Bisogna fare il possibile per cambiare le cose, ma non nascondo che sia piuttosto difficile”, riporta Manzione. D’altra parte, è bene ricordare che la Libia non ha mai firmato Convenzioni internazionali sui diritti umani, e che quindi il governo italiano nel ratificare la scorsa estate il Memorandum italo-libico per la gestione dei salvataggi in mare abbia ben chiaro chi sia la controparte e quanto sia rischioso averci a che fare.


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