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Cooperazione & Relazioni internazionali

Siria, l’inferno di Ghouta toglie le parole anche all’Onu

Massacro di civili da parte dei bombardieri del regime per liberare la zona periferica di Damasco da una delle ultime sacche di resistenza delle forze ribelli. Condanna (inutile) delle Nazioni unite e del mondo

di Daniele Biella

L'urlo del bambino nella foto è rimasto inascoltato. E forse è già finito anche lui sotto le macerie (la foto riporta a un altro momento di intensi bombardamenti nell'area, del maggio del 2017), per un bombardamento nell'area del Ghouta, estrema periferia della capitale Damasco, Siria. Qui le forze governative comandate da Bashar al Assad stanno sganciato bombe per liberare la zona dalla resistenza ribelle ma di fatto stanno colpendo in modo indiscriminato la popolazione civile, con una violenza ancora più inaudita dei già tanti massacri di questi quasi sette anni di guerra in Siria.

"Il bilancio è davvero pesante: dai primi dati raccolti si contano 1.285 feriti e 237 morti in due giorni e mezzo, tra il 18 febbraio e la mattina del 21 febbraio". Lo riportano i cooperanti locali dell'ong Msf, Medici senza frontiere, con un appello straziante alla ricerca di medicine salvavita che mancano quasi del tutto, "anche perche sono stati bombardate 13 strutture tra ospedali e presidi sanitari cittadini in cui operiamo".

L’escalation del conflitto nell’area del Ghouta orientale in Siria ha portato a un enorme flusso di pazienti nelle strutture mediche supportate da Medici Senza Frontiere. "Chiediamo urgentemente al governo della Siria e a tutte le altre parti in conflitto, nonché a tutti i commercianti di Ghouta orientale che dispongono di scorte di medicinali, di renderle immediatamente disponibili per le strutture mediche al solo fine di salvare vite umane", è l'appello di Msf.

Mentre gli Osservatori Onu fanno sapere di "non avere più parole per denunciare quanto sta accadendo a Ghouta e in Siria", arrivano anche le informazioni dagli operatori umanitari di partner locali dell'ong Save the children. "Sono più di 350mila i civili intrappolati nell’enclave in mano all’opposizione e corrono gravi rischi per la loro vita. Non si intravvedono segnali che possano far pensare a una fine dei bombardamenti che hanno distrutto le abitazioni costringendo la popolazione a rifugiarsi nei sotterranei. Le strade sono completamente deserte a parte le sirene delle ambulanze che trasportano i feriti in cliniche di fortuna". In alcune parti del Ghouta orientale la distruzione ha infatti raggiunto livelli più elevati di quelli registrati durante il picco della crisi di Aleppo nel 2016.

“La situazione è a dir poco terribile. Gli attacchi aerei non si sono fermati neanche per un secondo durante tutta la notte. Sono uscito molto presto al mattino per cercare del pane. In tutto il Ghouta c’è solo un panificio in funzione, ma c’erano più di 500 uomini in attesa e non sono riuscito a prendere il pane. I bambini non hanno mai provato così tanta paura, durante la notte si sente continuamente il loro pianto impaurito. Le madri vivono nel terrore e non riescono a dormire. Ieri il Ghouta era completamente al buio, non c’era neanche una lampadina accesa, neanche una luce. La popolazione chiede l’intervento delle Nazioni unite e delle altre organizzazioni. Non vogliamo altro che la fine dei bombardamenti e degli attacchi”, ha raccontato un portavoce di Syria Relief, partner di Save the Children.

Le recenti immagini dal satellite del quartiere Ein Terma nel Ghouta orientale, dove si trovano ancora 18.500 persone, mostrano che il 71% degli edifici è stato distrutto o danneggiato, mentre a Zamalka, altro grande quartiere, questa sorte è toccata al 59% delle costruzioni. Inoltre da almeno due anni mancano acqua e elettricità. Migliaia di famiglie, in questo momento, sono costrette a passare la maggior parte dei giorni e delle notti nel tentativo di ripararsi dai bombardamenti. Operatori umanitari locali hanno riferito a Save the Children che 4.100 famiglie stanno attualmente vivendo in seminterrati e rifugi sotterranei, più della metà dei quali privi di acqua potabile, servizi igienici e sistemi di ventilazione, dove i bambini sono esposti al rischio di contrarre malattie.

Gli attivisti per i diritti umani siriani, nei mesi scorsi, durante periodi meno cruenti ma comunque sempre drammatici di guerra civile, avevo promosso una Proposta di pace, spalleggiata da organizzazioni internazionali anche italiane, come Operazione colomba della Comunità papa Giovanni XXIII. Il testo, scaricabile poco più sotto, riporta nel'introduzione queste parole che cercano di mantenere viva la speranza anche quando la malvagità umana ha superato ogni limite di disumanità.

Una rete informale di profughi siriani del Libano, costituita da un gruppo eterogeneo di rifugiati provenienti da diverse esperienze, basati in diverse regioni del Libano, ha condiviso e contribuito alla scrittura di questa proposta. Insieme a loro, abbiamo individuato la creazione di una specifica zona sicura come la migliore soluzione per il loro futuro: una regione disarmata, dove una comunità pacifica può insediarsi e vivere. Proponiamo una zona umanitaria disarmata, sotto protezione internazionale, senza presenza di gruppi armati e nessun ministero del regime siriano di Damasco. È una zona esclusivamente per civili che sono stati sfollati dal regime dal territorio Siriano.

(Foto Eliane Althoof)


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