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Economia & Impresa sociale 

Guerini: «Le coop per essere attrattive devono tornare alle origini»

Il presidente di Federsolidarietà Confcooperative interviene nel dibattito lanciato su Vita.it sulle false cooperative e sul tasso di disaffezione dei giovani: «la disaffezione dei giovani va ricercata nella perdita della carica motivazionale originaria, nell’affievolimento della propensione all’innovazione e nella diminuzione della capacità di essere sfidanti che ha caratterizzato la storia dei primi decenni di evoluzione delle cooperative sociali»

di Giuseppe Guerini

Non è del tutto vero che i giovani tendono a rifiutare il lavoro in cooperative, fortunatamente mi capita ancora con una certa frequenza, di incontrare ragazze e ragazzi che si mettono insieme per far nascere nuove cooperative.

Sono in numero inferiore a qualche anno fa, sono più interessati a fare “cooperative di comunità” che cooperative sociali, a lavorare su nuove tecnologie e comunicazione che sui servizi, ma ancora oggi l’idea di potersi unire ad altri per portare avanti un progetto di lavoro in cooperativa, autogestendo il proprio progetto e le proprie capacità, continua ad essere interessante e sfidante anche per le giovani generazioni.

Quindi non è tanto sulla disaffezione verso la forma cooperativa da parte dei giovani che dobbiamo concentrarci, quanto sulla difficoltà di buna parte delle cooperative esistenti di essere attrattive per i giovani, che cercano piuttosto nuove sfide che inquadramenti contrattuali.

Parto da questa considerazione per partecipare alla riflessione aperta su Vita dall’inchiesta di Marco Dotti che mette in evidenza due problemi a mio parere molto gravi per le cooperative a cominciare da quelle sociali: la disaffezione dei giovani e il deterioramento della reputazione indotto dalle false cooperative, a cui a già risposto con un puntuale e doveroso intervento il Presidente dell’Alleanza delle Cooperative Maurizio Gardini.

È vero infatti che molti giovani hanno una percezione negative delle cooperative e che questa nasce dal fatto che ce ne sono troppe che, abusando dello statuto del socio lavoratore, utilizzano i dispositivi cooperativi per comprimere salari e diritti. Questo purtroppo non riguarda solo ed esclusivamente le false cooperative che operano nel settore della movimentazione merci, notoriamente il settore più colpito dal fenomeno, ma riguarda anche cooperative che, almeno per gli aspetti formali, sono cooperative in regola con le normative ma che comunque trattano i soci e i lavoratori come numeri.

Caratterizzate da un’elevata standardizzazione contrattuale usano cavilli e regolamenti interni per affievolire i vincoli dei contratti collettivi di lavoro, gestiscono la vita associativa con formalismi e una partecipazione, superficiale e scarsa, all’unica assemblea annuale che svolgono, per approvare il bilancio e poi tanti saluti e ci si rivede l’anno successivo.

Queste imprese sono purtroppo più numerose di quanto vorremo e sono sempre più diffuse anche tra le cooperative sociali. Non sono false cooperative, ma non sono neanche del tutto cooperative autenticamente mutualistiche, dove i soci lavoratori siano protagonisti e coinvolti realmente.

Nelle cooperative sociali un minore potere dei lavoratori, si potrebbe spiegare con la presenza di una reale mutualità allargata in presenza di una base sociale plurima, che potrebbe prevedere una prevalenza di soci volontari, soci fruitori, soci sovventori con i lavoratori in minoranza, quindi meno incisivi: ma questo tipo di cooperativa è poco diffusa.

Per lo più queste cooperative sociali (non false ma non del tutto vere) hanno una larga prevalenza di soci-lavoratori dove una “élite di soci-dirigenti”, blindata in un sistema di governance che riproduce se stessa per decine di anni, senza vincoli di mandato, governa il resto dei soci-lavoratori del tutto assimilati a lavoratori dipendenti con scarso o nullo poter decisione. Una partecipazione ed un potere ridotto sostanzialmente all’alzata di mano per approvare il bilancio nell’unica assemblea che si tiene una volta l’anno.

Per questo credo che, soprattutto per le cooperative sociali, non possiamo accontentarci di imputare alle false cooperative la mancanza di fiducia dei giovani verso la forma cooperativa in quanto tale. Mentre dobbiamo interrogarci su come e perché se mai si siano disaffezionati e stiano perdendo fiducia verso una parte dell’attuale “classe dirigente” cooperativa che gestisce imprese che contano migliaia di soci e lavoratori.

Aggiungo che non si tratta nemmeno di una questione contrattuale e retributiva ne di un problema di precarietà: infatti nelle nostre cooperative sociali sono assunti a tempo indeterminato oltre il 70% dei lavoratori e il livello retributivo e le tutele sono non sono inferiori ad altri contratti del settore. E del resto la disaffezione dei giovani per le cooperative riguarda anche cooperative autentiche, con storie importanti e servizi di qualità, ma che comunque fanno fatica ad ingaggiare nuove risorse, anche per le funzioni di responsabilità.

Quindi ci deve essere dell’altro. A mio parere questo si deve ricercare nella perdita della carica motivazionale originaria, nell’affievolimento della propensione all’innovazione e nella diminuzione della capacità di essere sfidanti che ha caratterizzato la storia dei primi decenni di evoluzione delle cooperative sociali. Sono convinto che nelle cooperative sociali, per tornare ad esser fortemente attrattivi per i giovani, dobbiamo trovare la cifra della sfida: rilanciare su progettualità capacità di una narrativa trasformativa, anche nei linguaggi e nelle forme organizzative, ma soprattutto includendo nuovi contenuti e modalità di lavoro.

Su questo possono venirci incontro le nuove sfide che riguardano la trasformazione del lavoro e del welfare, l’introduzione delle nuove tecnologie, il diverso rapporto tra giovani e lavoro: ci siamo mai chiesti perché molti ragazzi finiscono per fare i “rider” per Deliveroo o per Foodora, ma difficilmente si impegnano per qualche ora in un progetto di welfare o di accompagnamento educativo? Oppure perché molti sono disposti a fare lunghissimi stage gratuiti per entrare in un centro Apple, o per lavorare in una start-up di sviluppatori digitali?

Certo ci sono da un lato ingaggi molto leggeri e “autogestiti” dall’altro una promessa di futuri grandi guadagni, ma forse in entrambi c’è una dimensione di sfida e una narrativa di “autodeterminazione” che dovrebbe essere il pane quotidiano della cooperativa: libertà e successo spesso vissuto solo come sfida individuale. Ma sappiamo che questo non è sufficiente. Sappiamo quanto importante è ancora la dimensione della socialità e della condivisione.

Per questo continuo ad insistere affinché le nostre cooperative sociali ritrovino la capacità di essere agenti di cambiamento e quella di raccontare un voglia di cambiare le cose: rinnovare e reinventare la mutualità sapendo coinvolgere le giovani generazioni, non soltanto assumendo operatori sociali qualificati, ma anche provando ad investire su innovazione tecnologica assumendo smanettoni e sviluppatori, con particolare attenzione ora a quelli che sanno approcciare la tecnologia “block chaine” da cui potrebbero arrivare novità esplosive per il settore del welfare e per l’organizzazione del lavoro: novità che potrebbero deflagrare in una crisi per molte cooperative, oppure in un innesco di una nuova fase di innovazione ed espansione.

Da che parte far detonare queste novità è compito nostro ed è la sfida su cui provare a riavvicinare con fiducia i giovani alle cooperative.


*Giuseppe Guerini è presidente di Federsolidarietà Confcooperative e di CECOP-Cicopa Europa.


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