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La distinzione tra migranti politici ed economici? Vecchia retorica da sfatare

Per Antonio Ciniero, docente di Sociologia delle migrazioni all’università del Salento e incontrato da VITA a Roma in occasione della presentazione del bilancio del progetto Comin 3.0, «la migrazione è sempre in ultima istanza spinta da motivazioni economiche e questo non si può far finta di non vederlo. Quello che l’Europa e l’Italia stanno facendo è chiudere gli occhi, non prevedere canali di ingresso regolari»

di Paolo Biondi

«Va sfatato il mito che divide immigrati politici da immigranti economici: è la vecchia retorica, come un tempo c’era fra immigranti regolari e irregolari. Non si tiene conto che uno è regolare o irregolare secondo leggi e ad oggi mancano meccanismi di ingresso per cittadini stranieri che vogliono venire per lavorare e l’unica possibilità di entrare regolarmente in Italia è dichiararsi perseguitato politico. La migrazione è sempre in ultima istanza spinta da motivazioni economiche e questo non si può far finta di non vederlo. Quello che l’Europa e l’Italia stanno facendo è chiudere gli occhi, non prevedere canali di ingresso regolari. Quindi l’unica strada che resta è quella dei barconi ed entrare in un sistema di accoglienza con enormi contraddizioni».

Antonio Ciniero, docente di Sociologia delle migrazioni all’università del Salento, a lato della presentazione del bilancio del progetto Comin 3.0 che ha visto fin dal 2017 impegnati 732 operatori pubblici e privati di oltre 300 istituzioni appartenenti a 5 Regioni (più il Consorzio Nova) spiega così a Vita cosa non va nel nostro sistema di accoglienza degli immigrati.

«Il sistema di accoglienza è pensato per i chiedenti asilo. Si tratta quindi di ripensare i canali di ingresso. In passato venivano fatti i decreti flussi. La realtà dimostra che quasi tutti gli immigranti regolari sono passati attraverso una prima fase di irregolarità, sfruttando poi una sanatoria. Il sistema di accoglienza presente in Italia mostra moltissime criticità: la prima è che deve farsi carico di tutti i soggetti che arrivano, se fossero invece reintrodotti meccanismi di ingresso che rispondano alle esigenze economiche che ci sono il sistema non sarebbe più sottoposto a questo peso. In secondo luogo, le persone che arrivano non sarebbero all’interno di un sistema di accoglienza straordinaria ma ordinaria. Questo crea inevitabilmente delle problematiche sia per chi vive nei centri sia per la popolazione locale. C’è un ulteriore elemento: se andiamo a vedere l’ubicazione dei Cara vediamo che sono collocati nei territori agricoli e i soggetti accolti sono impiegati in agricoltura, sottoposti a sfruttamento e al fenomeno del caporalato. Si tratta di un sistema che crea inevitabilmente contraddizioni enormi. Il problema alla base è che non sono previste modalità di ingresso regolari: siamo passati dal 2007 quando avevamo il 56% di ingressi per motivi lavorativi e il 3,7% di motivazioni umanitarie al dato 2016 quando viceversa abbiamo oltre il 34% di ingressi per motivazioni umanitarie e il 5% di ingressi per motivi lavorativi motivati dai decreti flussi stagionali. Bisogna reintrodurre un permesso di lavoro per ricerca del posto di lavoro favorendo l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, con un meccanismo che permetta ai cittadini di muoversi a livello europeo».


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