Cooperazione & Relazioni internazionali

Morcone: «Le ong sono fondamentali per la politica»

Intervista al nuovo direttore del Cir, Consiglio italiano rifugiati, passato alla cooperazione dopo una vita nei piani alti delle istituzioni. "I flussi migratori non si fermano, dobbiamo regolarli. Senza l'ossessione del consenso ma con azioni congiunte tra governi ed enti umanitari che passano anche dalla promozione dei diritti umani in Libia"

di Daniele Biella

“I flussi migratori non si fermano, si governano”. Quando raggiungiamo Mario Morcone, casertano classe 1952 e prefetto ex capo del Viminale del governo Gentiloni, l’Europa è alla vigilia del Summit da cui ne uscirà un insperato accordo a 28 che in qualche modo ridà speranza per un approccio comunitario all’accoglienza delle persone che bussano alle porte dell’Europa in cerca di una vita migliore di quella che hanno lasciato. La vita di Morcone, ufficialmente in pensione – e sempre convinto che quel “maledetto” Regolamento di Dublino sia da cambiare, “ma non in modo peggiorativo per l’Italia ovvero con una decisa redistribuzione degli arrivi nei Paesi Ue” – sta subendo una personale rivoluzione: dal primo luglio sarà direttore dell’organizzazione non governativa Cir onlus, Consiglio italiano per i rifugiati. Proprio così: colui che al fianco dell’ex ministro degli Interni Marco Minniti ha ideato il Codice di condotta per le ong in mare passa dal mondo governativo a quello dell’umanitario. Gli abbiamo chiesto perché, cosa implica tale scelta e quali evoluzioni prevede nel breve-medio termine in un’Europa – Italia compresa – oggi molto disgregata e socialmente instabile anche a causa di una gestione non efficiente delle conseguenze delle migrazioni forzate.


Come è maturato il sì alla richiesta di diventare direttore dell’ong Cir?
Dal fatto che conosco da tempo l’organizzazione e mi è stato chiesto di dare una mano portando un contributo da esperto delle istituzioni. Non mi sono tirato indietro perché penso che sia un momento importante in cui il Cir, che ha un mandato specifico di promozione dei diritti dei rifugiati e della loro successiva inclusione, debba continuare con la propria linea politica senza fare passi indietro. E questo ragionamento vale per tutta la cooperazione internazionale: bisogna cercare intese con chi governa dialogando ognuno con i propri titoli ed esigendo che vengano garantiti i diritti delle persone che vengono verso l’Europa, in particolare attraverso ingressi legali e canali umanitari.

Questo ragionamento passa anche dalla Libia, in cui il Cir è tra le poche ong a operare e con cui lei nel suo precedente ruolo ha avuto rapporti diretti in particolare nell’istituzione del discusso accordo Italia-Libia. Stiamo parlando di un Paese instabile in cui i diritti umani non sono garantiti, giusto?
La realtà della Libia è drammatica ed è sotto gli occhi di tutti. Esserci però è fondamentale, oggi. Nell’azione governativa abbiamo instaurato i rapporti con le istituzioni libiche riconosciute anche dall’Onu, e i risultati ci sono stati, in particolare nella formazione della Guardia costiera libica. La società civile libica sta male in molti ambiti, quello che bisogna fare è promuovere l’economia legale, muovendosi un passo alla volta ma senza arretrare perché questa è l’unica via per portare miglioramenti in un Paese che non ha nemmeno firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani. Bisogna essere tenaci, pazienti, trovando spazi per portarli verso il rispetto degli standard. A Tripoli in collaborazione con l’Onu si sta costruendo un nuovo centro di raccolta (quello visitato lunedì 25 giugno 2018 dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, ndr), è la prima volta e questo porta a sperare in meglio.

Come documenta l’Onu stessa, in questa Libia i migranti vengono detenuti a migliaia in campi che violano ogni standard e, se in quelli governativi per lo meno le violenze fisiche non sono la norma, nei centri illegali delle milizie paramilitari torture e abusi sono all’ordine del giorno. Anche Vita.it, salendo sulle navi di salvataggio nel Mediterraneo, ha visto direttamente i segni delle violenze sulle persone appena recuperate. Com’è possibile che Matteo Salvini, neoministro dell’Interno, di fronte a questo scenario abbia parlato di “retorica delle torture”?
Stiamo parlando di un leader politico che più volte dice frasi che puntano più che altro all’acquisizione del consenso. Ma anche lui è cosciente della dura realtà libica e lo invito a scindere le prese di posizione politiche dai fatti. Questo vale in ogni aspetto, sia nei rapporti con i Paesi africani, sia con le ong in mare verso cui finora ha avuto un’opposizione molto determinata ma che possono continuare ad avere un ruolo importante anche di fronte ai nuovi accordi europei. E sia nel gestione dei flussi migratori verso l’Italia: è evidente che bisogna riprendere il discorso, interrotto da anni, del promuovere un ingresso lavorativo legale in Italia.

Perché chiederlo al nuovo governo quando sarebbe potuta essere un’azione dell’esecutivo precedente?
Abbiamo fatto ragionamenti in merito nel precedente governo, certo. Ma l’orizzonte politico era a breve termine, non c’erano le condizioni per provvedimenti del genere a livello di maggioranza parlamentare. Ora un passo in tal senso è più che auspicabile, perché canalizzerebbe i flussi ed eviterebbe l’immigrazione irregolare e di conseguenza le morti in mare. Non è più il momento delle battaglie ideologiche, e questo lo dico sia per chi sta al governo sia per chi opera nella cooperazione internazionale.

In che senso lo rivolge anche al mondo delle ong, di cui ora anche lei fa parte?
Proprio partendo dalla mia conoscenza delle dinamiche interne alle istituzioni, consiglio a questo mondo di concentrarsi sul sostegno delle persone in difficoltà, sull’aumento della loro qualità di vita, senza perdere energie nell’identificare “nemici” del proprio lavoro. Sto parlando del fatto che la cooperazione ha oggi necessariamente un ruolo e questo è un dato di fatto che le istituzioni, da quelle nazionali a quelle locali, devono accettare. La politica seria sa che il privato sociale è fondamentale, in Libia come nel Mare Mediterraneo come nell’accoglienza sul proprio territorio.

A proposito di ong in mare, lei le conosce bene avendo stabilito il Codice di condotta. Le considera “fuorilegge” o “vicescafisti” (parole che esponenti politici del nuovo governo hanno rivolto loro)?
Certo che no. Con loro sono in buoni rapporti, consolidati proprio dalla discussione sul Codice di condotta. Oggi l’azione governativa è determinata a contenerle, ma io ritengo che possano e debbano continuare ad avere un ruolo, magari diverso rispetto a prima. Mi spiego meglio: di fronte a una maggiore condivisione degli arrivi anche in altri porti europei, le ong possono far parte senza problemi della flotta di salvataggio.

Nel periodo in cui lei era a capo prima del Dipartimento Libertà civili e Immigrazione, poi del gabinetto del ministero dell'Interno, qual è l'azione governativa più importante che secondo lei è stata fatta e quale invece quella che a cui dare un giudizio negativo?
Di sicuro reputo che l'apertura di due canali umanitari da Tripoli verso l'Italia sia stata un'azione fondamentale. Stiamo parlando di 150 persone ogni volta, poche ma la strada è tracciata e va seguita perché le evacuazioni dalla Libia, assieme agli altri canali umanitari, sono il metodo giusto per togliere le persone dai campi di prigionia e da altre situazioni problematiche. In negativo, invece, vedo la nostra azione sull'integrazione dei richiedenti asilo: abbiamo prodotto un documento, un Piano nazionale, ma è rimasto un pezzo di carta. Ci voleva più coraggio, anche alla luce del cambio di rotta che sta avvenendo ora.

Sia come cittadino che come prefetto, qual è la sua valutazione di questo periodo storico in cui l’odio verso il diverso e in particolare verso i migranti dall’Africa Subsahariana, sia nei social network sia nella vita reale, è in aumento in Italia e in Europa?
Vedo che in molte persone c’è molto veleno, e non capisco come possa essersi accumulato: è vero che ci sono problemi nella nostra società, acuiti dalla crisi economica, ma il clima è sovrastimato rispetto alla realtà dei dati. Ammetto di non sapere come uscire da questa situazione difficile, se non consigliando a chi fa politica di agire in modo più cauto e meno ossessionato dal consenso.


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