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Il ddl Pillon? Crea genitori di serie A e di serie B

«Bi-genitorialità è la condivisione dei doveri e la collaborazione per il bene e nell’interesse dei figli, piuttosto che il diritto degli adulti di essere presenti in eguale misura nella vita dei figli anche dopo la separazione», afferma la Garante Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza, che ha consegnato un parere sul ddl Pillon

di Redazione

«Il tempo è il tempo dei figli, non quello dei genitori. Una suddivisione paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore potrebbe non corrispondere all’interesse del minore, se materialmente gli impedisce di crescere in un ambiente domestico stabile, stravolgendo le sue abitudini pregresse e la continuità della sua vita di relazione. La previsione aprioristica di una bi-genitorialità “perfetta”, eccessivamente rigida, potrebbe rispondere, piuttosto, a ragioni di ordine “logistico”, incentrate sugli interessi degli adulti: una bi-genitorialità ottimale rispetto a una specifica situazione rappresenta l’obiettivo cui l’ordinamento dovrebbe tendere con attenzione al sopramenzionato approccio “caso per caso”. Devono essere gli adulti ad adeguarsi ai ritmi di vita dei bambini e occorre valutare nel concreto ciascuna realtà familiare»: scrive così l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza nel parere sui disegni di legge in materia di affido condiviso che ha inviato alla Commissione Giustizia del Senato, dalla quale attende di essere convocata in audizione. Il documento è stato pubblicato oggi sul sito dell’Autorità Garante.

La bi-genitorialità è un valore da tutelare in materia di separazione familiare, ma «bi-genitorialità è responsabilità, cura e attenzione alle reali esigenze dei figli in crescita; è essere genitori insieme senza pretese di esclusività; è impegnarsi a facilitare concretamente l’accesso anche all’altro genitore, in primo luogo da un punto di vista emotivo; è la condivisione dei doveri e la collaborazione per il bene e nell’interesse dei figli, piuttosto che il diritto degli adulti di essere presenti in eguale misura nella vita dei figli anche dopo la separazione», afferma la Garante.

Doppio domicilio
«Sul piano pratico, il pendolarismo continuo tra realtà familiari distanti, e talvolta anche conflittuali, potrebbe risultare in contrasto con la tutela del minore e con il suo diritto di conservare un centro stabile di interessi personali e familiari (la continuità delle abitudini), rendendo eccessivamente gravoso, fin dalla prima infanzia, il vivere quotidiano». Il doppio domicilio presso entrambi i genitori «crea problemi di livello pratico non indifferenti: quale domicilio si userà, ad esempio, per l’iscrizione a scuola? Ovvero per la individuazione dei servizi sociali competenti? Ovvero per la scelta del medico?», si chiede la Garante, che ricorda come l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (COE), nella risoluzione 2079 del 2015 ha sì raccomandato agli Stati parte di introdurre il principio della shared residence, ma «tale principio, come specificato nel documento 13870 del 14 settembre 2015, non si traduce nel principio della doppia residenza o del doppio domicilio dei figli in caso di separazione, ma piuttosto evidenzia la necessità di calcolare la “quantità del tempo” tra genitori e figli con attenzione alle concrete esigenze e gli interessi di questi ultimi (“being adjusted according to the child’s needs and interests”)».

La bi-genitorialità è un valore ma significa essere genitori insieme senza pretese di esclusività; impegnarsi a facilitare concretamente l’accesso anche all’altro genitore, in primo luogo da un punto di vista emotivo; è la condivisione dei doveri e la collaborazione per il bene e nell’interesse dei figli, piuttosto che il diritto degli adulti di essere presenti in eguale misura nella vita dei figli anche dopo la separazione

Filomena Albano

Mantenimento diretto
Quanto al mantenimento “diretto” in luogo dell’assegno di mantenimento, tante le criticità evidenziate, tutte nel filone della disparità di vita che il figlio dovrebbe avere nei periodi in cui sta con il genitore “meno abbiente”, con inevitabili ripercussioni sulla qualità della relazione genitoriale. «Solo con il genitore di serie A, ad esempio, il figlio potrà andare al cinema oppure mangiare i suoi cibi preferiti e comprare il capo di abbigliamento che più desidera», esemplifica la Garante. «La situazione auspicabile è quella di genitori con pari reddito, pari tempo libero e parimenti presenti nella vita dei figli, ma non può non tenersi conto dei dati ISTAT, aggiornati al luglio 2018, che mostrano come il tasso di disoccupazione femminile sia al 55%»: il genitore che non lavora, in mancanza di un assegno per sé e in presenza di un obbligo di mantenimento diretto «non sarebbe in grado di prendersi materialmente cura del figlio, compromettendo così il rapporto affettivo e la garanzia della bi-genitorialità». Tale ipotesi inoltre – la Garante su questo conferma un allarme già segnalato da più parti – sarebbe «un deterrente alla separazione, per esclusive logiche economiche, con la conseguenza di perpetuare situazioni di alta conflittualità; si pensi poi alle conseguenze nei casi, ad esempio, di maltrattamento familiare e violenza domestica».

Mediazione obbligatoria
La mediazione familiare, altro pilatro caratterizzante della proposta Pillon, «è uno strumento efficace che insegna a gestire il conflitto attraverso la cultura del rispetto dell’altro» ma «può essere efficace soltanto laddove le parti prestino il proprio consenso liberamente. La mediazione familiare è un istituto ma anche un prerequisito culturale: per ricorrere alla mediazione, dunque, bisogna conoscerla ed esserne consapevoli» e quindi «suscita perplessità» «il carattere obbligatorio della fase di mediazione familiare». Si potrebbe «prevedere l’obbligatorietà di un incontro informativo sull’istituto in presenza dello stesso mediatore che ne possa spiegare le finalità. In ogni caso, in questa stessa ottica e per incentivarne il ricorso e consentirne a tutti l’accesso, il primo incontro informativo e, in una condizione ottimale, l’intera mediazione, dovrebbero essere assicurati in forma gratuita».

Ma prima di tutto occorre ricordare che «ogni separazione ha una storia a sé e serve un approccio caso per caso. I ragazzi che abbiamo audito per la stesura della Carta dei diritti dei figli dei genitori separati, hanno concordato tutti sulla necessità che il legislatore dia la possibilità di valutare ogni singola situazione: ogni famiglia ha un proprio assetto, con abitudini ed equilibri propri e la legge non può standardizzarle. Deve essere il giudice a verificare che l’accordo dei genitori sia adeguato. Il giudice dovrebbe ascoltare i figli, a porte chiuse, e non dovrebbe mai chiedere chi preferiscono tra l’uno e l’altro genitore; dovrebbe fare raccontare ai genitori le proprie abitudini prima della separazione, cogliendo nelle parole e nei comportamenti i segnali che possano aiutarlo a prendere la decisione migliore, facendosi anche orientare da un esperto. In sintesi questo è quanto emerso dall’attività di ascolto istituzionale svolto da questa Autorità».

Photo by chuttersnap on Unsplash


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