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Per tenere la droga lontana? Serve che i padri tornino in campo

Il nuovo numero di VITA si interroga sul perché gli adolescenti siano tornati a fare uso massiccio di droghe. Quale domanda hanno dentro? Cosa possono fare i genitori? Daniele Novara dà un consiglio netto: «con la preadolescenza le mamme in quanto mamme si devono ritrarre dalla scena educativa, dando spazio ai papà». Senza vergognarsi di controllare gli smartphone dei figli

di Sara De Carli

«Una premessa importante: l’uso di sostanze stupefacenti è la conseguenza di un problema e non una causa. Lo è da sempre, oggi come negli anni Settanta. Probabilmente a quei tempi le droghe erano anche simbolo di un’identità generazionale, di rottura di uno schema, di ribellione: ma oggi questo elemento non c’è più». Esordisce così Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP-Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, che da anni incontra i genitori d’Italia nelle “Scuole Genitori”: uno spazio per rispondere al bisogno di noi genitori di oggi, che spesso ci sentiamo impreparati a gestire i cambiamenti sociali e relazionali entro cui si gioca l’educazione dei figli. «Avevo 22 anni quando aprii la mia prima casa di accoglienza a Piacenza e fra i ragazzi che arrivavano da noi, il denominatore comune era l’assenza del padre. Oggi non è molto diverso», afferma.

La mancanza del padre quindi?
Il padre oggi esiste, è presente, non ci sono le situazioni tragiche degli anni Settanta. Quello che manca però è la presenza del padre sulla scena educativa. Il padre nell’educazione dei figli oggi è poco più di un’ombra evanescente e non quella figura che sa prendere in mano la situazione, ovviamente in accordo con la madre, per gestire quello tsunami che è l’adolescenza. Tanto più se iniziano a profilarsi nella vita dei ragazzi i pericoli delle sostanze.

Gestire l’adolescenza è compito del padre quindi?
L’adolescenza – che oggi inizia prima e sembra non finire mai – è una cosa seria, ci vuole un padre per affrontare questa tempesta ormonale, emotiva, psicologica. In questa fase, una mamma che continuasse imperterrita a fare la mamma diventerebbe semplicemente una zavorra. L’adolescente vuole allontanarsi dal “nido materno”, quindi la risposta a questa sua necessità non può essere riproporre all’infinito il nido. Solitamente in questa situazione gli adolescenti finiscono in balìa dei videogiochi, ma qualcuno può diventare preda delle sostanze o di altre situazioni di pericolo, se non patologiche: il meccanismo è lo stesso, sono risposte alla medesima orfanità educativa.

Cosa fare quindi come genitori?
La prima condizione è che il padre scenda in campo e si riprenda il proprio ruolo educativo. La seconda che la madre gli lasci la palla. Sia in ottica preventiva che di soluzione, queste due operazioni insieme funzionano: ovvio che nelle situazioni di emergenza ci si deve rivolgere a una comunità, ma quella è una dissuasione coercitiva, un tamponamento, mentre la soluzione è il ripristino della figura paterna con il ritrarsi progressivo della mamma in quanto mamma. Queste due condizioni in realtà non così comuni e ovviamente non si improvvisano quando il figlio ha 17 anni, bisogna cominciare prima.

Prima quando? Quand’è che la mamma deve cedere il passo?
Diciamo convenzionalmente che con la prima media ci deve essere una riorganizzazione del sistema educativo. La paghetta e le chiavi di casa, sono operazioni paterne che fanno capire al ragazzo di essere entrato in un’altra fase della vita, in cui il papà legittima il suo bisogno di allontanamento: per la madre, che ha tenuto quella creatura nella pancia, è più difficile farlo. Il papà ha la distanza emotiva per riconoscere quest’esigenza di allontanamento ma allo stesso tempo per mettere i paletti giusti e creare la giusta vigilanza.

Lasciare andare e controllo: non sono contraddittori?
No, il lasciare andare implica il controllo: non bisogna aver paura del controllo e bisogna anzi controllare i maschi quanto le femmine. Anche se più che di “controllo” io preferisco parlare di “paletti”. Esci ma rientri all’ora stabilita, c’è un orario per studiare, hai la tua paghetta e non trasformi i tuoi genitori in un bancomat, sì allo smartphone ma non di notte e con la regola che fino a 16 anni papà può accedere a tutto. Questo è un paletto, non si tratta di fare un controllo poliziesco, sono le regole del gioco e della responsabilità educativa: l’idea di non guardare nello smartphone dei figli è pericolosissima.

Per anni abbiamo sentito l’invito a dialogare con i figli…
Non è una vera soluzione: l’adolescente è opportunista, la spinta ad allontanarsi dai genitori è fortissima e a partire dai 13 anni userà tutti i mezzi per farlo. Se capisce che basta parlare ogni tanto con i sui genitori per avere campo libero lo farà e se non hai messo i paletti giusti sarà impossibile accorgersi che sta facendo qualcosa che non va.

E quando il padre non c’è, nel vero senso della parola?
Bisogna che la madre cambi drasticamente il suo intervento educativo, che assuma un profilo di carattere paterno, che metta i giusti argini educativi e la smetta con i discorsi esortativi per cercare di convincere i figli nell’età più difficile. La mamma parla, esorta, insiste e insiste e alla fine convince il suo bambino, ma in adolescenza questo metodo non ha senso, nessuna esortazione riuscirà a gestire la spinta vertiginosa alla conquista della vita – costi quel che costi – tipica di ogni adolescente.

L'intervento di Daniele Novara è parte di un "think tank" pubblicato sul nuovo numero di VITA, Droga. Blackout Italia. Insieme a lui ci sono anche Alberto Pellai che si rivolge agli adulti perché siamo tutti coinvolti, il dirigente scolastico Angelo Lucio Rossi che parla di scuola, il presidente di Telefono Azzurro che ragiona sul web e Josè Berdini e Giuseppe Mammana, della comunità Pars.


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