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Più fundraiser, meno fundraising

Dal punto di vista del fundraising la situazione è critica: stiamo facendo raccolta fondi con mezzi vecchi, senza un'idea nuova, con un sentiment negativo che ci piove addosso e una crescente disintermediazione... «Il vero trend in crescita è la donazione da individuo. E in Italia un maggiorenne su 50 fa parte del cosiddetto “club dei milionari”. Dobbiamo dotarci di persone, non di mezzi», afferma Valerio Melandri

di Sara De Carli

Dal punto di vista dei numeri, come documentato nel numero di Vita in edicola, le donazioni in Italia stanno mostrando una dinamica moderatamente positiva, con una crescita di donatori registrata sia dall’Indagine campionaria Sinottica di Gfk sia dall’indagine Italiani solidali di Doxa. Ma quali sono i trend del giving? Lo abbiamo chiesto a Valerio Melandri, fundraiser e fondatore del Festival del Fundraising.


Quali trend hanno caratterizzato l'anno appena chiuso e questo momento storico?
Probabilmente il trend che ha attraversato tutto il nonprofit italiano nel 2018 è stato il “sentiment negativo” nei confronti delle ONG. Da “ONG, taxi del mare” a “cooperazione che guadagna sugli sbarcati”, senza dubbio il mondo nonprofit, specie quello che si occupa di persone non italiane, è visto male. Complice, ovviamente, la situazione politica. La mia percezione è che le donazioni degli italiani si siano, in alcuni casi, spostate su non profit autoctone italiane, ovvero di matrice italiana, su cause che “aiutino gli italiani”. E questo le ONG internazionali lo hanno capito parecchio tempo fa, quando hanno iniziato ad attivare progetti sul territorio italiano. Il trend positivo è che ONP storiche si siano, in qualche modo, riprese vecchi donatori che se erano andati verso le Ong, direi quasi per reflusso negativo. Un po’ è colpa anche della nostra incapacità di raccontare in un modo positivo ciò che le Ong fanno, la raccontiamo solo come contropotere. A livello di comunicazione dobbiamo uscire dal ghetto, non si può vivere di “noi siamo i buoni!”. Dal punto di vista del fundraising invece la situazione è davvero critica. Stiamo facendo raccolta fondi con mezzi vecchi: dopo l’avvento della tecnica del face to face, che ora è in una fase di maturità, non si si ricordano altre novità importanti. Stiamo affrontando un mercato decrescente, con mezzi vecchi, in una crescente concorrenza, con un sentiment negativo che ci piove addosso. Non male come scenario… Non c’è un’idea nuova. Il mailing sta piano piano esaurendo il suo impatto. Il telemarketing fatica, la tv è in difficoltà… Bisognerebbe prendere il toro per le corna.

Che altro?
L’altro trend che vedo molto forte è la crescente disintermediazione, cioè il fatto che sempre più gente voglia fare “da sé”: voglia fare direttamente la sua donazione e in alcuni casi, anche grossi, voglia farsi la sua non profit. E così si vede che nel mondo le donazioni da “Fondazioni” stanno aumentando (negli Usa oltre il 50% in più), ma in realtà quelle non sono “Fondazioni”, sono donazioni individuali fatte alla propria Fondazione. Quindi non è un dono fondativo ma individuale. Questo è un trend che si vede anche in Italia: le imprese profit stanno creandosi i loro recipienti e distributori, molto più di una volta. Oggi ci sono tante fondazioni o fondi imprenditoriali che alla fine si occupano “direttamente” del beneficiario. Complice internet e la facilità di reperire informazioni, ti sostengo magari un anno o forse due, ma poi vado direttamente in campo, e quella determinata ricerca la finanzio direttamente, senza passare, per esempio, dall’Associazione che si occupa di quella malattia.

Anche le donazioni da individui stanno crescendo…
Diciamo che il vero trend in crescita è la donazione da individuo. Le donazioni delle imprese non superano il 10% in Italia (e nel mondo stanno crescendo), ma l’80% viene ancora da individui, mentre il restante (un 10-15%) viene come abbiamo visto dalle fondazioni, che però sono di fatto spesso donazioni individuali mascherate. L’individuo continua ad essere il mercato più importante, in particolare quello dei major donors.

La conseguenza da trarre, dal punto di vista delle non profit, qual è?
Dobbiamo quindi dotarci di persone, NON di mezzi. Dobbiamo spendere in persone che seguano le persone una ad una, e spendere in risorse umane, piuttosto che in piani pubblicitari. Dobbiamo avere uffici di raccolta fondi con persone che abbiano la capacità non solo di chiedere ma soprattutto di relazionarsi, di avere un rapporto con i donatori. Questo va di pari passo con il fatto che nella società ci sono sempre più ricchi da un lato e più poveri dall’altro. È pur vero che nel 2016 in Italia ci sono solo 34 persone che hanno più di 1 miliardo di euro in asset, e quindi il rischio della concentrazione della ricchezza non è ancora così forte, ma le statistiche dimostrano che un maggiorenne su 50 fa parte del cosiddetto “club dei milionari” ovvero di chi ha una liquidità superiore al milione di euro. E stanno aumentando, fra il 2016 e il 2017 i milionari sono aumentati di 15mila unità, una crescita importantissima, se si considera che tranne Stati Uniti e Giappone, la maggior parte dei Paesi occidentali ha subito una perdita. Dal punto di vista della raccolta fondi, per una non profit, più che interagire con i “34” miliardari italiani, mi interessa lavorare con quei 1.115.000 individui che hanno liquidità e asset disponibili e probabilmente non si considerano nemmeno ricchi! Mentre per i piccoli donatori il tema è avere mezzi di comunicazione (lettere, telefonate, spot), ovvero investire in meccanica, per i grandi donatori è necessario investire in persone. Ci sarà sempre più bisogno di fundraiser piuttosto che di professionisti del fundraising. D’altronde il 2° Censimento nazionale dei fundraiser, appena terminato, che ho realizzato solo dopo 5 anni il primo, racconta di una realtà completamente cambiata nel mondo del fundraising. La percentuale di veri e propri fundraiser, a scapito dei professionisti del fundraising, è nettamente cresciuta. E ancora crescerà.

Che differenza c’è?
Se sono esperto di tecniche di fundraising, so come si fa una lettera o uno spot, mi occupo di piccoli-medi donatori: in quel caso sono un professionista del fundraising. Ma se invece sono esperto del relazionarmi con le persone affinché a loro venga in mente di donare, sono un fundraiser. E ci sarà sempre più bisogno di gente che sappia creare e mantenere questi rapporti positivi con i middle e i big donors.

Quello della disintermediazione è un tema su cui più volte ha richiamato l'attenzione: che rischio vede?
La grande azienda che oggi dà i soldi a una non profit per finanziare dei progetti, al quarto anno dice “il progetto me lo faccio da sola, attraverso la mia fondazione e parlando direttamente con l’università”. Ci sono molti casi così a livello internazionale. È preoccupante, perché è come l’idea “utopica” della democrazia diretta: tutti sanno che non funziona. La democrazia funziona solo se mediata, altrimenti è solo populismo. D’altronde quello che Paolo VI aveva affermato, «la politica è la forma più alta di carità», o che Ratzinger scrisse, «la politica è l’arte della mediazione e del compromesso», si può pienamente applicare al nonprofit. Il fatto che il non profit intermedi è un valore aggiunto, mentre ahimè è vissuto solo come un elefante fastidioso, che si mangia un po’ di costi generalo. Questa cosa accade identica nella grande azienda profit, così come per gli individui, o persino nelle minuscole raccolte fondi con l’esplosione delle raccolte fondi legate ai compleanni sui social network. Ma attenzione, non è la raccolta fondi per il mio compleanno fatta sul sito della organizzazione nonprofit, ma quella fatta attraverso Facebook. È una cosa che nel medio periodo potrebbe essere drammatica…. ci stanno portando via persino i compleanni e le nostre non profit ne sono contente perché fanno un buon risultato! Ma è una vittoria di Pirro! Occorre tenere in casa propria l’intellectual property, i propri contenuti, il proprio database! Se tutto resta proprietà del social network, che di fatto con la scusa di facilitarci la vita ci porta via il contatto, la conoscenza del donatore e la grande occasione di coinvolgerlo nuovamente, noi saremo disintermediati. Un bel problema!


Il IV Italy Giving Report è stato realizzato grazie al sostegno di myDonor® e AIFR – Associazione Italiana di Fundraising®


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