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Politica & Istituzioni

Bergonzoni: «Migranti? È tempo di una chiamata all’amore»

L'intervento dell'attore bolognese sul perché del suo impegno per i migranti e la sua partecipazione a manifestazioni pubbliche come “Non siamo pesci”. «Siamo ormai sotto un delirio di impotenza. Che è dovuto al fatto che demandiamo. Nello spettacolo li chiamo i “dieci demandamenti”. Demandiamo alla politica, al Governo, all’Europa. Ma in fondo chi sono l’Italia e l’Europa se non noi cittadini?»

di Alessandro Bergonzoni

La mia attenzione al sequestro e alla tortura nasce dieci anni fa. Nacque da Cucchi, dal mio interesse per le carceri e da un collegamento che io ho con il concetto antroposofico che ho dell’essere umano. Ecco il perché ho firmato l’appello di Manconi e Veronesi insieme ad Elena Stancanelli e Luca Doninelli.

Il perché è importante. Ormai le persone ti dicono tanto tu stai bene, in galera non ci sei, su quella barca non ci vai, hai i soldi e hai il benessere. La risposta è: e allora? Devo essere senza padre per capire il tema degli orfani? Devo avere un tumore per capire il tema della malattia? Il tema artistico e poetico che a me interessa è quello di prendere corpo. Oggi dicono: prendili a casa tu. Io a casa li ho sempre e li devo avere sempre. È importante andare nelle carceri e negli ospedali, sono d’accordo, ma io devo indossare questi corpi e devo vivere la loro vita. La frase mors tua mors mea, vita tua vita mea, è quello che mi muove da un punto di vista poetico, artistico e anche di azione. Come andare in piazza a Roma e fare presidi per tutti questi morti. La gente dice che vogliamo visibilità quando manifestiamo o chiediamo una Commissioni parlamentare sulle morti nel Mediterraneo. Certo che è una questione di visibilità. Lavoriamo per dare visibilità a queste persone, questi invisbili. Noi non vogliamo apparire. Vogliamo non fare scomparire nell’acqua e nelle galere queste persone. Ecco il tema del sequestro.

Siamo minacciati dall’abitudine. Siamo ormai sotto un delirio di impotenza. Che è dovuto al fatto che demandiamo. Nello spettacolo li chiamo i “dieci demandamenti”. Demandiamo alla politica, al Governo, all’Europa. Ma come si fa a demandare? Oggi noi votiamo tutti i giorni. Significa che comunque quello che vediamo e sentiamo dipende anche da noi, soprattutto da noi. Credo che le manifestazioni, per quanto tardive, dimostrino che non ci sia questa indifferenza. Ognuno di noi è anche Papa di sé stesso, Presidente della Repubblica di sé stesso, legislatore di sé stesso. C’è chi lo fa con la preghiera, chi con la meditazione e chi con la protesta.

Oggi questa azione è necessaria altrimenti siamo solo spettatori. Certo, il demandamento alla politica è giusto perché è vero che sono il Governo e l’Europa a dove decidere. Ma in fondo chi sono l’Italia e l’Europa se non noi cittadini? Noi siamo libici, siamo lampedusani, siamo francesi, inglesi. All’Europa mancano gli stati d’animo. Ecco perché parlo di anime: è un tema spirituale. Poi dopo parliamo di dove li metteremo. Il Decreto Sicurezza toglie lo Sprar, la remunerazione agli operatori, la formazione a chi l’aveva fatta, la possibilità alle famiglie di accogliere. Ma la politica è fatta da noi. Certo è stato votato questo Governo. Ma chi non l’ha votato che voce ha? Questa.

È un lavoro che viene prima, nel governo interiore. È un tema di costituzione interiore. E parte prima di tutto dai 170 annegati e i sequestrati che sono ancora in balia dell’acqua. Dobbiamo coprire e scoprire questa distanza che ci divide da loro. E qui si entra nell’intimità. Qual è la distanza che mi porta ad aver allontanato un carcerato? Ci sono i muri e il fatto che io non c’entro con loro. Ma oggi tutto c’entra con tutto. Il vero dramma sono i social e le televisioni che danno l’idea di parlare e di informare. Ma la conoscenza passa attraverso la coscienza. L’etica passa attraverso la poetica. Se non c’è questo lavoro interiore non servono a nulla la piazza e la protesta. Ecco perché insieme ad altri condivido la scelta di non andare in tv. Perché non si ascolta, perché l’intervistatore è un vigile che regola il traffico, si passa da un argomento all’altro. Ma tutto è collegato.

I migranti c’entrano con il Ministero degli Interni? Con il ministero della Giustizia? Per me c'entrano con il ministero della Cultura, con quello dell’Istruzione e con quello della Sanità. La sanità, curare. E qui arriva il tema della malattia. Dobbiamo avere lo stesso freddo che hanno loro quando siamo in casa e coprirci, quando abbiamo bisogno di lavarci. Il nostro corpo deve vibrare con loro. Dobbiamo dedicare quel freddo, quel caldo, quella fame. Altrimenti sarà sempre: io non sono lebbroso che ne so dei lebbrosi, io non sono prete che ne so delle anime, io non sono legislatore e quindi che ne so dell’etica.

Noi votiamo gli eletti. Che non sono le persone elette in una urna. Sono le persone che si alzano. Quando parlo di voto di vastità parlo di questo. Come cittadino, artista e scrittore non posso limitarmi a lavorare. I vari detonatori che ci stanno spiegando con la loro azione tutto questo, come Gino Strada, Don Ciotti o Don Zanotelli devono farci capire che queste azioni le possiamo fare quotidianamente. Non possiamo ringraziarli. Dobbiamo diventare loro. È una chiamata all’azione. Una chiamata all’amore. Si parla pochissimo di questa parola. Una parola chiave rovinata dalla rete. Dimmi che c’è dentro di te. Ci sono tutte queste persone. Questo è il grande lavoro che si deve fare: capolavorare. I temi politici sono importantissimi, ma devono trovare delle città interiori che protestano ogni secondo e compongono la diversità, la differenza, per colmare l’abisso. Ci sono abissi tra malati e sani, carcerati e liberi. Bisogna colmarli. Perché si lavora sul nascondere. Noi giochiamo a nascondino. Queste persone le teniamo nascoste. E dobbiamo ringraziare queste Ong, che fanno un lavoro artistico, da “arti”. Come quando si dice “tengo famiglia“. Significa tirar su famiglia, prendere qualcuno e tirarlo su. È un mestiere quotidiano che facciamo tutti. Ecco il capolavorato.


Testo raccolto da Lorenzo Maria Alvaro


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