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Gene editing: c’è un confine tra curare e creare superman?

Su Nature l'appello di scienziati di 7 Paesi del mondo per una moratoria di 5 anni sulla sperimentazione dell'editing genetico su embrioni umani destinati all'impianto. «Pensiamo alla possibilità di aumentare la forza muscolare modificando uno specifico gene», afferma Naldini: «un conto è farlo per curare la distrofia muscolare in un paziente, altro è farlo per migliorare la performance di un atleta e un altro ancora è farlo su un embrione per pianificare la nascita di un “superman”»

di Redazione

L’editing genetico è un possibile e concreto sviluppo della ricerca genica. Ha un approccio diverso da quello usato fino ad oggi: invece di fornire dall’esterno un gene corretto, si corregge direttamente in modo mirato la sequenza mutata, con delle “forbici molecolari”. Per due immunodeficienze rare al SR-Tiget hanno già dimostrato l’efficacia del gene editing e si sta lavorando a un prossimo trial clinico.

Il direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica, Luigi Naldini, ha contribuito a scrivere le prime linee guida internazionali per il gene editing, pubblicate nel 2017. Ora gli scienziati chiedono una moratoria di almeno 5 anni per sperimentazioni clinicche dell’editing genetico su gameti ed embrioni umani destinati all’impianto nell’uomo. Tra i firmatari c’è anche il professor Naldini.

L’appello è stato pubblicato su Nature, con le firme di una ventina di scienziati e bioeticisti (in coda all'articolo): è l’invito alla comunità scientifica ad una assunzione di responsabilità di fronte alle controverse applicazioni di una tecnica di modificazione genica dalle grandi potenzialità ma su cui c’è ancora tanto da studiare. Si tratta della risposta all'annuncio, avvenuto a fine novembre 2018, della nascita in Cina, presso lo Home Women’s and Children’s Hospital di Shenzhen, delle prime due bambine al mondo con il dna modificato a livello embrionale con la tecnica dell’editing genetico: le due bambine – definite “su misura” dai mass media – sarebbero resistenti all’Hiv grazie a una modifica apportata su un particolare gene coinvolto nell’ingresso del virus Hiv nelle cellule umane, gene che già oggi rende una piccola percentuale della popolazione naturalmente resistente all’infezione. Questo intervento ha suscitato moltissime perplessità, non solo perché avvenuto contravvenendo a varie norme e disposizioni che regolano una corretta sperimentazione clinica, ma soprattutto perché da molti è stato ritenuto prematuro rispetto a una reale comprensione del rapporto tra rischi e benefici.

«Chiediamo una moratoria, non una messa al bando: non si tratta di un tentativo di mettere i freni alla ricerca scientifica, piuttosto una robusta assunzione di responsabilità e forse anche un bagno di umiltà per noi scienziati e la chiamata in causa degli organi decisori nazionali» spiega Luigi Naldini, che nel 2015 è stato l’unico italiano invitato a far parte del gruppo di lavoro internazionale che ha scritto le prime linee guida sull’editing genetico ed è membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita. «L’editing genetico rappresenta indubbiamente una grande promessa della medicina del futuro, l’evoluzione naturale della terapia genica attuale, ma c’è ancora da studiare per affinarlo in termini di sicurezza ed efficacia. Per quanto poi riguarda l’applicazione in ambito terapeutico, se da una parte non ci sono dubbi nello sperimentarne l’impiego in individui affetti da gravi malattie quali quelle genetiche, certi tumori o la stessa Aids, diverso è pensare di applicarlo alle cellule germinali prima della nascita, apportando modifiche trasmissibili anche alle generazioni successive. La riflessione su dove mettere i limiti è delicata e non può essere appannaggio della sola comunità scientifica, ma della società intera, alla luce di un dibattito aperto e costruttivo».

L’editing genetico rappresenta indubbiamente una grande promessa della medicina del futuro, l’evoluzione naturale della terapia genica attuale, ma c’è ancora da studiare per affinarlo in termini di sicurezza ed efficacia.

Luigi Naldini

L’articolo di Nature passa in rassegna molte delle questioni ancora aperte, fra cui quella che riguarda l’enhancement, ovvero il potenziamento di una funzione biologica. Il consenso infatti è unanime sull’impiego dell’editing genetico per correggere dei difetti genetici associati a specifiche malattie, ma è molto più controversa la possibilità di aumentare o addirittura di creare ex novo una funzione biologica. «Pensiamo per esempio alla possibilità di aumentare la forza muscolare modificando uno specifico gene», continua Naldini, «un conto è farlo per curare la distrofia muscolare in un paziente, un altro per migliorare la performance di un aspirante atleta e un altro ancora è farlo su un embrione per pianificare la nascita di un “superman”. Per non parlare poi della possibilità di conferire all’uomo delle nuove capacità che non avrebbe naturalmente, come vedere la luce infrarossa o resistere a certe tossine batteriche o a un veleno. Per usare un gergo a effetto, dove sta il confine tra curare una persona e creare improbabili “super-uomini”? Chi e come decidere fin dove è lecito spingersi? Il fatto che si possa fare o che in un futuro prossimo questo diventi tecnicamente possibile non implica automaticamente che sia lecito farlo: secondo me e gli altri firmatari la decisione non devono prenderla gli scienziati da soli».

La richiesta degli scienziati quindi è che gli organi decisori di tutte le nazioni aderiscano normativamente alla moratoria e avviino in parallelo un processo di valutazione delle implicazioni che il gene editing implica e che prima di consentire l’avvio di sperimentazioni cliniche di editing sulla linea germinale, ciascun Paese informi per tempo tutti gli altri, garantendo che vi sia un ampio consenso da parte della società. Proprio per favorire il dialogo e soprattutto la costruzione di un consenso generale, i firmatari auspicano la creazione di un osservatorio globale sul tema, che coinvolga i principali stakeholder – scienziati, clinici, bioeticisti, giuristi, associazioni di pazienti. Proprio in questa direzione va un’iniziativa italiana lanciata da poco, l’Osservatorio per le terapie avanzate, del cui comitato scientifico fa parte anche lo stesso Naldini insieme ad altri esperti italiani del settore.

* “Adopt a moratorium on heritable genetic editing”. Nature, vol. 567, 14 marzo 2019.

Eric S. Lander, direttore del Broad Institute – MIT/Harvard (USA)

Francoise Baylis, Dalhousie University (Halifax, Canada)

Feng Zhang, Broad Institute – MIT/Harvard (USA)

Emmanuelle Charpentier, Max Planck Institute (Berlino, Germania)

Paul Berg, Università di Stanford (USA)

Catherine Bourgain, Institut national de la santé et de la recherche médicale – INSERM (Parigi, Francia)

Bärbel Friedrich, Berlin-Brandenburg Academy of Sciences and Humanities (Berlino, Germania)

J. Keith Joung, Harvard (Cambridge, USA)

Jinsong Li, Shanghai Institutes for Biological Sciences (Cina)

David Liu, Broad Institute – MIT/Harvard (Cambridge, USA)

Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Milano, Italia)

Jing-Bao Nie, Università di Otago (Nuova Zelanda)

Renzong Qiu, Istituto cinese di Filosofia (Cina)

Bettina Schoene-Seifert, Max Planck Institute for Molecular Biomedicine (Münster, Germania)

Feng Shao, Istituto nazionale per le scienze biologiche di Pechino (Cina)

Sharon Terry, Genetic Alliance (USA)

Wensheng Wei, Università di Pechino (Cina)

Ernst-Ludwig Winnacker, Human Frontier Science Program (Strasburgo, Francia)

In foto, il professor Naldini con alcuni ricercatori del Tiget-San Raffaele


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