Economia & Impresa sociale 

Servizi di qualità e skill digitali. I cooperatori sociali entrano nel futuro

Il sociale è sempre più protagonista del welfare aziendale. Dopo la legge di Stabilità del 2016, che ha spostato sui servizi il baricentro di un sistema incardinato quasi unicamente sui prodotti, si è aperta la possibilità per le cooperative di operare anche in questo ambito. Un'anteprima dell'inchiesta pubblicata sul numero di VITA di maggio

di Marco Dotti

Il sociale è sempre più protagonista del welfare aziendale. Dopo la legge di Stabilità del 2016, che ha spostato sui servizi il baricentro di un sistema incardinato quasi unicamente sui prodotti, si è aperta la possibilità per le cooperative di operare anche in questo ambito.

L’ingaggio più intuitivo per le coop sarebbe stato quello di limitarsi a fare i fornitori di servizi, attivando semplicemente rapporti con i provider. L’intuizione di Cgm — il Consorzio Gino Mattarelli, che comprende oggi 800 cooperative e imprese sociali operanti sul territorio nazionale, 42mila lavoratori, e un bacino di utenti di 800mila persone — è stata invece quella di allargare questa visione, rendendo le cooperative sociali protagoniste nelle relazioni con le aziende. L’idea promossa da Cgm nel mondo della cooperazione sociale è di poter raccontare alle aziende “che cosa è il welfare”, diventando al tempo stesso fornitori e player di welfare aziendale. Le capacità acquisite nel tempo nella relazione con gli enti locali hanno consegnato infatti al sistema cooperativo caratteri di affidabilità e reputazione che oggi possono essere spesi nell’alveo del secondo welfare.

Standard minimi

Il sistema pubblico impone il rispetto di requisiti formali e tecnici molto stringenti, pensati per garantire la qualità del servizio. Per quale motivo la medesima tipologia di servizi nel secondo welfare non dovrebbe essere sottoposte ad alcun parametro di riferimento, senza per questo dover ricorrere a un sistema rigido, al pari di quello del primo welfare? Siamo in presenza di un vuoto normativo (e ancor prima culturale) relativamente alla necessità di definire le caratteristiche “minime” dei servizi alla persona erogabili attraverso il welfare aziendale. Questa riflessione ha spinto Cgm e Uni, l’Ente italiano di Normazione a promuovere un tavolo — al quale hanno partecipato anche Franca Maino, direttrice di Percorsi di secondo welfare, ed Emmanuele Massagli di Adapt — per definire una nuova “Prassi di riferimento” che stabilisca i requisiti minimi di qualità per i servizi alla persona che gli operatori del welfare aziendale veicolano attraverso le loro piattaforme. Il 19 giugno, verrà inoltre presentata una ricerca promossa da Cgm che focalizza due ordini di questioni. La prima è, appunto, la qualità dei servizi alla persona (come si muovono gli altri player, come si orientano le cooperative della rete Cgm quando vanno a disegnare i servizi alla persona), la seconda — questa parte della ricerca è stata seguita da Paolo Venturi, direttore di Aiccon— riguarda invece i modelli organizzativi.

Il sistema del welfare aziendale è sfidante, ma oltre alle pratiche c’è da mettere a fuoco un modello organizzativo che tenga conto del fatto che, per affrontare la sfida, serve una precisa coerenza con le linee di sviluppo della cooperativa. Dal punto di vista organizzativo pesano molto anche le nuove skills e la digitalizzazione vero perno per connettere profit e non profit. Ed è qui che emerge la figura del welfare manager.

I social point
Il ruolo di questa nuova figura professionale è accompagnare e guidare la transizione verso un modello evoluto di welfare aziendale: avvicinano aziende, co-progettano i piani di welfare, propongono servizi b2b come i social point, un servizio che offre un ascolto qualificato diretto all’aiuto nell’individuazione del bisogno sommerso e un accompagnamento rispetto alla possibilità di individuare servizi in grado di affrontare il problema reale.

A questi pivot del secondo welfare servono competenze verticali e trasversali, sempre più ricercate dalle aziende. Per questo Cgm ha avviato programmi di formazione. Ad oggi, si sono già formati 28 welfare manager, che dopo l’estate diventeranno 45.

«Il welfare manager», spiega Martina Tombari, responsabile della divisione sviluppo di Cgm, «nasce come operatore sociale e deve conoscere il territorio e i suoi servizi». Le sue competenze vanno da quelle fiscali a quelle lavoristiche, integrate in una visione precisa di secondo welfare. L’idea è avere sempre più persone in loco capaci di intercettare i bisogni dei lavoratori: l’interfaccia del secondo welfare non deve essere solo digitale, ma umana. Un modello, questo, che inizia a piacere a un tessuto produttivo che, nel nostro Paese, poggia soprattutto sul modello delle piccole medie aziende.

Modello Tradate
A Tradate, in provincia di Varese, sta per prendere il via un progetto che si propone di integrare i servizi di welfare comunali, privati e, in prospettiva, anche quelli aziendali. L’iniziativa vede coinvolti il Comune, l’ente capofila dell’Ufficio di Piano, il gruppo cooperativo Cgm e 14 cooperative del territorio. Un portale digitale che consentirà di accedere facilmente ai servizi. Saranno inserite inoltre figure professionali che seguiranno il processo e che sosterranno i cittadini nella scelta degli interventi più adeguati ai loro bisogni sociali.

Cgm si è occupato di attivare il portale digitale attraverso cui tutti i cittadini del territorio dell’ambito di Tradate (parliamo di 56mila persone), tramite una procedura di registrazione, potranno accedere ad una rete di servizi di supporto alla famiglia, composta dai servizi pubblici comunali e da quelli accreditati dal Comune attraverso il bando per la domiciliarità…


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